Assisi e la frana di Torgiovannetto: l'inchiesta di Mediacom043

ASSISI – Inchiesta realizzata da Mediacom043, diretta da Giuseppe Castellini, sulla annosa vicenda della frana di Torgiovannetto, ad Assisi. Pubblichiamo per i lettori di Vivo Umbria uno stralcio della complessa indagine portata avanti dall’Agenzia che introduce così l’argomento:  “Dopo quasi 3 anni e mezzo lavori ancora fermi. Circa 10 milioni spesi dal 2003 ad oggi, ma il rischio non è stato minimamente intaccato e resta altissimo. Una storia tutta italiana”. 
L’inchiesta
Dopo circa 10 milioni di euro spesi complessivamente dal 2003, il rischio frana non è stato minimamente ridotto e resta altissimo. Si tenga presente – afferma Mediacom043 – che si tratta di una frana molto vasta che minaccia direttamente la strada provinciale 249 che da Assisi va verso Spello (giornalisticamente è stata sempre presentata come costa di Trex).
Dopo campagne di stampa, comitati cittadini e polemiche varie la svolta sembrava arrivata con il bando 20 marzo 2015 del Comune di Assisi, destinato appunto alla “mitigazione del rischio idrogeologico in località Torgiovannetto”. Una svolta giunta grazie anche alla forte pressione del comitato dei cittadini, allora guidato dall’attuale sindaco di Assisi, Stefania Proietti, che sosteneva come si trattasse di un dissesto idrogeologico di livello massimo e che i lavori dovessero essere finanziati ed eseguiti “al più presto”. Alla fine l’operazione decolla grazie a un finanziamento regionale, grazie al quale il Comune di Assisi può imbastire il bando per l’assegnazione dei lavori.
E qui inizia una tipica vicenda da ‘Belpaese’ (come lo era stata anche la fase precedente, con una frana pericolosa come quella di Torgiovannetto della quale non si riusciva a venire a capo).
Benché il finanziamento regionale sia importante (circa 2 milioni di euro) è insufficiente ed effettuare tutti i lavori (dalla progettazione a quelli preliminari e complementari della parte superiore di terreno sovrastante la vasta frana) e allora si procede da un lato lesinando su tutto, ma soprattutto mettendo in piedi uno scambio. In sostanza si afferma che gran parte del materiale ricavato dallo scavo (parliamo di quasi 240mila metri cubi, tanto per dare un’idea delle dimensioni delle frana) è di pregio – maiolica compatta – che può essere ben venduta.
In soldoni, l’appalto – 2 milioni di euro circa lo stanziamento – viene strutturato in questo modo: circa 1,4 milioni per progettazione e lavori pagati all’azienda vincitrice per stati di avanzamento lavoro (Sal), mentre 500mila euro circa riguardano lo ‘scambio’. Il bando, basandosi appunto su una previsione di 236mila 400 metri cubi di materiale scavato, calcola che il prezzo di vendita della maiolica compatta è di 2,20 euro a metro cubo, la cui vendita da parte dell’azienda serve proprio a coprire i 500 mila euro. 
Un appalto che non è troppo ricco, e piuttosto complicato, tanto che 21 aziende prendono visione dei documenti di gara, ma alla fine partecipa una sola, la Graziano Belogi s.r.l di Senigallia.
E poi il bando deve superare ricorsi al Tar da parte dell’Ordine dei geologi e altri incidenti, per cui si arriva alla consegna parziale dei lavori solo il 30 novembre 2015, provvedendo alla consegna definitiva l’11 aprile 2016, ben 7 mesi dopo la consegna del progetto esecutivo e ben un anno dopo l’aggiudicazione della gara. 
Insomma, la partenza non è certo di quelle brillanti – prosegue l’inchiesta – ma per qualche mese tutto sembra filare liscio, tanto che Stefania Proietti (nel frattempo diventata sindaca di Assisi) visita il cantiere ed elogia pubblicamente, anche sulla stampa, l’operato dell’impresa.
Ma, a parte alcuni contrasti minori su tempi di pagamenti e altri aspetti superabili, il nodo arriva quando l’azienda scopre che il materiale scavato è maiolica compatta – quindi vendibile – solo per il 60%, mentre per il resto si tratta di materiale di altro materiale scadente e quindi non vendibile. Insomma, si crea un buco economico che rende l’appalto non solo poco conveniente (già lo era in partenza), ma addirittura negativo in termini economici.
Tralasciamo i vari passaggi (incontri, impegni per approvare una variante mai varata e così via) per arrivare al cuore del problema. Alla fine del 2016 l’impresa manifesta l’intenzione di rescindere il contratto, il Comune reagisce contestando l’impresa per inadempimento e minacciando a sua volta la rescissione del contratto. A rigor di logica, se fosse stato convinto di quanto sosteneva il Comune avrebbe potuto incassare la fidejussione e dare vita a un nuovo bando di gara, ma non lo fa – sostiene Mediacom043 – forse perché sa che con quelle condizioni nessun’altra azienda avrebbe partecipato. Niente si muove più, tutto resta immobile. I avori sono sospesi. Siamo al 18 novembre 2016 e non riprenderanno più, con quasi 3 anni e mezzo che passano inutilmente e altri che probabilmente ne passeranno.
E allora? Allora il punto è che sono stati realizzati i lavori cosiddetti ‘complementari’, che riguardano la parte superiore dell’area della zona di frana e che servono ad evitare che, facendo i lavori nella zona di frana, la parte superiore non crolli su di esse precipitando sulla strada provinciale a valle. Ma, appunto, la zona di frana non è stata toccata e resta lì con tutto il suo pericolo.
Anche se forse qualcuno pensa che con gli interventi realizzati fino alla sospensione dei lavori i pericolo sia stato di molto ridotto. Ma non è così – sostiene l’Agenzia –  lo stato “massimo pericolo” di cui parlava il comitato cittadino allora presieduto da Stefania Proietti resta tale e quale e altri anni sono passati praticamente invano. 
Ogni giudizio è superfluo. Un pericolo grave che continua a restare sulla testa e una situazione burocratica e gestionale paralizzata. Una storia tutta italiana, appunto. Di quelle che dicono che, senza profondi cambiamenti, il futuro del Belpaese sarà ancora più magro di quello già magro di oggi. Il mondo corre, situazioni come quelle della grossa frana di Torgiovannetto vanno invece a passo di lumaca. Sono infatti casi come questo, che in Italia non si contano, non solo a mostrare tutta l’inadeguatezza dei ceti dirigenti e il burocraticismo che paralizza tutto, ma a porre un’ipoteca sulla crescita e la sicurezza del Paese. Dal quale, non a caso, molti giovani se ne vanno.
Questa sperando sempre che la frana di Torgiovannetto – conclude Mediacom043 – non precipiti sulla strada provinciale. A quel punto, non sarà più questione di appalti e lavori, ma di magistratura penale.

Redazione Vivo Umbria: