Il Natale sta tornando, ma neanche i Maya potevano prevederne uno così

PERUGIA – I panettoni con o senza uvetta, con o senza canditi, con o senza cioccolato stavano provando a dircelo già da settimane, tutti in fila sugli scaffali dei supermercati. Anche i pandori e i torroni, il black friday e quest’aria fredda che da un po’ si spalma su giornate ancora assolate: sta arrivando dicembre, sta arrivando la fine dell’anno e l’inverno ma, soprattutto, sta arrivando Natale! Cose da non credere. In questo anno tremendo, di malati e di morti, di lockdown e regioni rosse, arancioni e gialle, in quest’anno di mascherine, distanziamento, litigate fra virologi, esternazioni poco caute di esponenti politici, in quest’anno di “la scuola chiude o apre”, “possiamo uscire dal Comune o dobbiamo restare in casa”, di partite iva disperate, di aziende chiuse, in quest’anno di movide abolite, poi permesse, poi additate al pubblico ludibrio, ebbene: in quest’anno  che neanche i Maya hanno saputo prevedere sì, ci sarà comunque il Natale.

 

 

Lo certifica il centro storico (quello di Perugia, nel nostro servizio, ma è così ovunque) che si sta ricoprendo di orpelli, luci, alberini intermittenti e un grande alberone ormai finito di montare in piazza IV Novembre. Il salotto buono di Perugia è ancora ingombro di camion, di operai, di scale retrattili ma non danno fastidio, no, fanno allegria. Si addobba la città con frenesia, con simpatia, perché la festa dei bambini, la festa di Babbo Natale con l’outfit della Coca Cola, la festa della famiglia e – non ultimo, anzi, primo elemento per importanza – la festa dello shopping, ecco: sta per cominciare. Adesso sì, adesso possiamo correre a comperare i panettoni, e come falene radunarci nel Centro luminoso per comperare regali e regalini, ché in Centro trovate certamente qualcosa di costoso ed esclusivo, ma se preferite anche tanta paccottiglia se il portafogli è sottile.

Ci chiediamo se qualcuno ricorda ancora il senso del Natale. Quello cristiano prima di tutto ma, per i laici, anche le precedenti tradizioni pagane: il Natale è la nascita di Cristo per i credenti, ma è comunque per tutti un valico oltre il quale si attende la rinascita. È la speranza in una natura benigna che si stancherà del buio e del freddo e ci condurrà nuovamente alla primavera, e oltre al ciclo stagionale non è così difficile vedere una grande allegoria umana. L’allegoria dell’inverno della condizione umana che spera, resiste, e rinasce, semmai nel lascito nelle nuove generazioni.

Gli anziani ricorderanno i Natali di parecchi decenni fa, fatto della cena in famiglia (non si chiamava ancora “cenone”, perché il potlach pantagruelico è arrivato di recente), delle partite a briscola o a bestia, la tombola coi bambini… e poi la messa a Natale e finiva lì. I più giovani saranno stupiti di apprendere che non solo l’albero non aveva ancora spodestato il presepe, ma specialmente non c’erano i regali; quelli li portava la Befana (l’Epifania, con l’arrivo dei Magi che portano doni) ed erano decisamente morigerati: un balocco per i bambini, del cibo o un capo d’abbigliamento per gli adulti.

Cos’è diventato il Natale? Cosa siamo diventati tutti noi?

E come festeggiare, quest’anno, nelle ristrettezze imposte dal Dpcm, dai limiti negli spostamenti, dai limiti dei quattrini disponibili (Confcommercio stima che si spenderà il 18% in meno)? E quelle 50.000 sedie vuote, nelle tavole natalizie funestate dalle vittime del virus, con che spirito festeggeranno?

 

 

Occorrerebbe riprendere l’usanza della Quaresima natalizia, quel periodo di digiuno che anticamente iniziava il 15 novembre per terminare il 24 dicembre; era un periodo di astinenza dal cibo (escluso il pesce in certi giorni) che preparava alla festa della nascita del Salvatore, ma occorre sottolineare come la pratica del digiuno, come forma spirituale di attesa e preparazione al divino, sia comune in pressoché tutte le religioni. Non sono più tempi per quaresime e altre ingombranti pratiche spirituali, ma forse una “Quaresima mentale” si potrebbe proporre: un digiuno razionale e consapevole, per esempio, da idee eccessivamente consumistiche; un astenersi volontario da gozzoviglie e sprechi che fornirebbero (come sempre) solo l’illusione momentanea della gioia, per lasciarci il 26 dicembre con l’alito pesante, qualche euro in meno, e il senso di vuoto che avevamo prima.

Forse questo Natale può tornare ad essere quello che era fino a pochi decenni fa: una festa di speranza e rinascita, di intimità familiare e riposo dallo stress del lavoro, dalle preoccupazioni materiali e dall’accumulo di oggetti.

Il vaccino non è poi così vicino; per quanto siano stabilizzati e forse in recessione i dati epidemiologici, continuiamo a contare morti e sofferenze, e per molti anni, anche dopo la cura, dovremo scontare le conseguenze di questa crisi. Un Natale lieto ma sobrio, sereno ma senza eccessi, potrebbe essere lo stile giusto per attraversare questo doloroso valico.

Facendo il servizio fotografico per questo pezzo abbiamo incontrato un suonatore di strada, in piazza della Repubblica. Anche le sue musiche erano meste, e fanno da colonna sonora al video che vi abbiamo proposto.

Claudio Bezzi

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