Il viaggio di Ayo alla scoperta del diritto all’infanzia nello spettacolo di Massimiliano Burini

PERUGIA – “Non ci può essere rivelazione più acuta dell’anima di una società che il modo in cui tratta i suoi bambini” (Nelson Mandela).

“Il bambino e la formica” è il titolo dello spettacolo in scena questo fine settimana al Teatro Bertolt Brecht di Perugia nell’ambito della stagione di teatro ragazzi curata da Fontemaggiore Centro di Produzione Teatrale.
Sul palco Giulia Zeetti, Andrea Volpi e due muppets portano una favola che vede protagonista Ayo e la formica Undici. Come i due arrivano a incontrarsi e cosa andranno a condividere ce lo spiega il regista Massimiliano Burini, anche autore della pièce – che ha visto il suo debutto lo scorso mese di luglio nella vetrina nazionale del teatro infanzia “Palla al centro” a Pescara – insieme a Giuseppe Albert Montalto.

Come nasce l’idea dello spettacolo?

“Da molti anni sto cercando di portare nel linguaggio dell’infanzia dei temi sociali o che riguardino l’identità, il bullismo, la genitorialità. Temi che in qualche maniera siano inerenti la crescita di un individuo, nell’ambito della formazione che può avere, poi, nella vita da adulto. Questo del lavoro minorile è un concetto che spero di continuare a trattare con un ulteriore lavoro cui sto già lavorando e che con “Il bambino e la formica” ho iniziato a sondare”. 

Un tema che colpisce molto il regista “perché ci sono molti bambini che purtroppo vengono sfruttati, soprattutto nella fascia del terzo mondo”. Un problema che ognuno di noi cerca di contrastare nel suo piccolo, nella propria quotidianità, per quanto sia possibile, ma “non ci rendiamo conto che quasi il 70% delle cose che noi indossiamo, che noi utilizziamo, può essere stato lavorato da bambini di giovane età che, invece di passare il loro tempo a giocare, ad andare a scuola, a stare in famiglia, vengono sfruttati in quanto manodopera a basso costo”.

C’è stato un fatto specifico che l’ha colpita e spinta verso questo argomento?

“Diversi anni fa, lessi un articolo che parlava del coltan, un minerale con il quale si realizzano i circuiti elettronici, soprattutto dei cellulari e delle televisioni al plasma. Elementi che usiamo quotidianamente. Non tutti sanno che c’è una guerra a dir poco spietata per l’accumulo di questo minerale. È richiestissimo”. Un minerale che si trova “nella culla della civiltà umana: l’Africa, in particolare nel Congo”.

E per raccogliere questo minerale si hanno due ha due possibilità: “o la miniera a cielo aperto o la miniera in profondità”. Sembrerebbe difficile al momento, ci spiega Burini, usare tecnologie adatte per poterlo trattare, in grado di sminuzzare la terra senza rovinarla in maniera eccessiva, o, forse “questa tecnologia costerebbero molto e andrebbe ad alzare il costo di questo minerale”. Più facile, dunque, sfruttare una forza lavoro a costi ridottissimi. Come riportato dalle informazioni reperite “I bambini scavavano dei cunicoli molto piccoli con arnesi rudimentali e setacciavano, minacciati costantemente da forze armate”, realtà colpevoli allora anche del rapimento dei suddetti.  “Ci sono bambini che sono diventati adulti crescendo in queste miniere”.

Al momento, dopo tanto clamore, alcune miniere sono divenute legali e vi lavorano persone adulte. Usiamo il termine “legale”, ma certo sarebbe da riflettere su quali possano essere le norme di sicurezza del lavoro e le condizioni sanitarie, di prevenzione e quant’altro.

E comunque i costi sono zero. La vendita di questo minerale da parte delle multinazionali non ha nessuna ricaduta nella qualità della vita di queste persone”.

Un articolo che colpisce molto il regista che per anni studia il “fenomeno” e cerca la chiave giusta per poterne parlare. Poi arriva l’urgenza di portarlo alla luce. “Ho pensato potesse essere costruttivo raccontarlo ai bambini, anche se è un argomento duro e crudele sotto certi punti di vista”. Così, il testo arriva a Fontemaggiore Centro di Produzione Teatrale che accoglie di buon grado l’idea. Affiancato da Giuseppe Albert Montalto nella scrittura drammaturgica, il regista perugino sceglie di recuperare lo stile della favola e dà vita a “Il bambino e la formica”.

Arriva poi la decisione di “lavorare con due attori in scena che però sono due muppets, un bambino e una formica, realizzati da Marco Lucci. Con i due attori che manipolano i due muppets – Giulia Zeetti e Andrea Volpi – raccontiamo la storia di Ayo un bambino di cui non specifichiamo la provenienza, i cui tratti somatici sono però facilmente riconducibili a un paese africano”.

Perché la formica?

“Queste miniere a cielo aperto vengono chiamate “formicai”. Visti dall’alto – ci spiega Burini con un velo di tristezza – questi piccoli bambini del Congo, accucciati a terra a lavorare, ricordano piccole formiche”. 

La storia è all’apparenza molto semplice e ci porta a un fatto di cronaca tipico del lavoro in miniera: durante una giornata di lavoro un cunicolo frana. All’interno c’è anche Ayo, bimbo operaio che incontra Undici che vive nel formicaio adiacente la miniera e lo aiuta a ritornare in superficie.

“L’elemento drammatico è che questi bambini vengono prelevati dalle loro case alle prime luci dell’alba, quando ancora è molto buio. Lavorano tutto il giorno sottoterra ed escono la sera senza mai aver visto la luce del sole. Non la vivono. Addirittura, alcune ricerche dimostrano che questi bambini non hanno nemmeno la capacità di sorridere perché non hanno mai sorriso. Non viene data loro la capacità di esprimersi”. Quindi, nella nostra storia, “Ayo scoprirà il sole all’uscita e capirà l’importanza di vivere nella natura, di giocare, piuttosto che lavorare. Un bambino non dovrebbe lavorare”. Un messaggio più rivolto agli adulti ma che cerca di far capire ai bambini che assisteranno allo spettacolo quanto siano fortunati a poter vivere una vita “normale”, a vivere la propria infanzia come giusto che sia. Uno stile di vita che a noi diamo per  scontato ma che per alcuni sarebbe un privilegio. Altri ancora non ne conoscono nemmeno l’esistenza e “questa è forse la cosa peggiore”.

Il tema può apparire sconcertante “ma è giusto che venga conosciuto anche dai più piccoli. È importante raccontare storie che parlano di cose che accadono davvero. Il bambino così prende coscienza della realtà. Credo che il compito del teatro dell’infanzia oggi sia quello di collocare le favole e i racconti in un’attualità sociale che possa essere utilizzata poi per far crescere questi bambini in una realtà più consapevole”. Sfruttare la favola, la poesia, come racconto ovviamente senza “mai fare una narrazione violenta”.

Le favole, nella loro struttura originale, essendo nei tempi tradizione orale del racconto di vita e della natura umana, d’altro canto, non hanno mai avuto paura di raccontare fatti drammatici.

Lo spettacolo, rivolto ai bambini dai 4 anni in su, sarà in scena oggi e domani alle ore 17.00 al Teatro Brecht (viale San Sisto 06132, San Sisto Perugia).

Scheda: Produzione Fontemaggiore, regia Massimiliano Burini, di Massimiliano Burini e Giuseppe Albert Montalto, con Giulia Zeetti, Andrea Volpi, muppets e supervisione ai movimenti scenici Marco Lucci, composizioni musicali e suono Gianfranco De Franco, dramaturg Giuseppe Albert Montalto.

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Francesca Cecchini: Giornalista pubblicista e ufficio stampa tra sport, teatro e musica. Penna e taccuino sempre in borsa, sono fermamente convinta che l'emozione più grande sia vivere ogni progetto "dietro le quinte", assaporando minuto per minuto quel work in progress che porta alla realizzazione finale di un progetto. Come diceva Rita Levi Montalcini: "Amare il proprio lavoro è la cosa che si avvicina più concretamente alla felicità sulla terra".