Intervista a Umberto Orsini: “Nella Giornata mondiale del teatro il mio auspicio si chiama attesa”

Un anno fa, sempre in occasione della Giornata mondiale del teatro che si celebra oggi, intervistammo Umberto Orsini. Assieme a Luchino Visconti e Dario Fo, è stato uno dei tre italiani illustri chiamati per l’occasione a formulare il proprio messaggio augurale alla platea internazionale di artisti e amanti di teatro. Un anno fa la pandemia era agli inizi anche se c’erano terribili e inquietanti segnali. Alla domanda sul che cosa fare, Orsini, da subito, disse: da un lato riflettere su come riorganizzare il modo di pensare, vedere, proporre, produrre il teatro soprattutto per le cosiddette compagnie di giro; dall’altra garantire liquidità per consentire la sopravvivenza a quante più realtà possibili nella consapevolezza che alcune, nel frattempo, si sarebbero estinte. Ci è parso interessante verificare, oggi, quei convincimenti.
A distanta di un anno, Orsini, a che punto è il teatro?
“Sotto l’aspetto finanziario il Ministero ha fatto quello che poteva per agevolare chi aveva un inquadramento normativo; ha cercato di agevolare l’accesso alle sovvenzioni però, è ovvio, che così non si può continuare”.
Che scenari si prospettano?
“Nel momento in cui riapriranno i teatri le compagnie saranno costrette a ridurre il numero degli strutturati. Dovremo fare spettacoli che costano poco perché gli incassi saranno un terzo di quelli preventivabili in condizioni normali a causa del contingentamento dei posti. Una limitazione destinata a perdurare fino a quando la pandemia non sarà debellata ed è difficile prevedere quando effettivamente si potrà riaprire con qualche costrutto. I ristoratori lamentano il tira e molla che mette a repentaglio la conservazione dei generi alimentari e dei rifornimenti di carne o pesce. Altrettanto possiamo dire noi per quanto riguarda le prove e l’allestimento che hanno dei costi. Chiaro che non ci si rientra se poi non possiamo andare in scena”.
In ambito teatrale chi sta meno peggio in questa situazione?
“Gli Stabili indubbiamente soffrono meno in quanto le sovvenzioni restano per gran parte le stesse: generalmente riescono a mantenere le quote di impiegati anche se invece diverso è il discorso per gli attori.
Di fatto possono mantere congelati gli spettacoli che hanno in produzione per poi metterli in scena, appena si potrà, nei teatri del loro circuito”.
Nel caso delle compagnie come la sua?
“Gli spazi li dobbiamo trovare. I più ambiti sono evidentemente quelli del teatro pubblico ma ci sarà un intasamento di date”.
Come trovare, allora, gli spazi necessari?
“Occorrerebbe pensare a un circuito alternativo a quello degli Stabili; forte, anch’esso sovvenzionato dallo Stato, che consenta alle compagnie di giro di fare il proprio lavoro perché è evidente che la saturazione sarà notevole viste anche le ridotte possibilità di accogliere pubblico. Prvedo che almeno per un anno o due sarà difficile lavorare non dico per trarne profitto, ma perlomeno non in totale perdita”.
La riflessione per la Giornata mondiale del teatro quest’anno l’ha fatta Helen Mirren (l’abbiamo riportata già stamattina su Vivo Umbria ndr.) E’ d’accordo sulla parte che riguarda Intenet in cui dice che l’immaginazione degli artisti “si è già tradotta, in queste nuove circostanze, in modi di comunicare creativi, divertenti e toccanti, naturalmente soprattutto grazie a internet”?
“No. Si guarda internet per trovare Fedez, la Ferragni non il teatro. Le visualizzazioni medie degli spettacoli sommano trecento al massimo mille visualizzazioni. Non esiste. Il teatro va fatto a teatro. Non mi sono mai avvicinato a questo tipo di comunicazione. Non ho fatto nulla in questo senso. Non ci credo”.
Teatro virtuale da censurare?
“Se ci fosse una qualche remunerazione, se fosse un modo per far lavorare gli attori, i tecnici, allora sì. Per il resto mi annoiava vedere la Tempesta di Strehler in tv, figuriamoci in internet, un mezzo che stritola, allontana, snatura”.
A livello personale, non necessariamente professionale, cosa le manca di più del fattore teatro?
“Sono uno che è abituato ad andare in giro a fare tournée per mesi in città diverse e mi è mancato questo modo di vivere da globe-trotter”.
A cosa si può affidare, in questo momento, il teatro?
“All’attesa”.
In che senso?
“Attesa da intendere come auspicio che si riaprano i teatri perché altrimenti non possiamo fare il nostro lavoro. Attesa che confida nell’attenzione, da parte di chi deve, di aiutarci a risorgere guidando il mercato e preparandolo ad accoglierci”.

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