Istat, rispetto al 2019 nel turismo persi 187mila occupati (-11,3%) nella cultura 33mila (-5,2%)

Chi è senza lamentele scagli la prima pietra. Detto questo c’è l’Istat che ha disegnato il quadro dei “più aventi diritto” alla lagnanza. Tra questi senza dubbio il settore dello spettacolo e del turismo.

Secondo i dati dell’Osservatorio dello Spettacolo SIAE, il numero di manifestazioni di spettacolo dal vivo è diminuito, nel 2020, del 69,3% rispetto al 2019, gli ingressi sono calati del 72,9% (246 milioni nel 2019), la spesa al botteghino ha avuto un crollo del 77,6% (2,779 miliardi di euro nel 2019).

Anche dopo il primo lockdown, quello più severo, rileva l’Istat che “molti luoghi dello spettacolo non hanno riaperto le porte: complessivamente nel 2020 solo 46.724 esercizi hanno organizzato almeno un evento, a fronte dei 94.687 del 2019

Anche durante la ripresa estiva dal 15 giugno al 25 ottobre 2020, il numero di giornate è stato pari a poco più della metà (51,9%) dello stesso periodo dell’anno precedente.

Per quanto riguarda il cinema, calo del 70,9% degli ingressi (104,4 milioni nel 2019) e calo della spesa al botteghino del 71,6% (667,9 milioni di euro nel 2019).

Il teatro ha avuto una riduzione del 70,7% in termini di ingressi e del 78,5% per la spesa al botteghino, mentre i concerti fanno segnare -83,2% sugli ingressi e -89,3% sulla spesa al botteghino.

Per quanto riguarda le mostre, calo del 77,9% del pubblico (26,4 milioni di ingressi nel 2019) e introiti da bigliettazione diminuiti del 76,7% (196,1 milioni di euro nel 2019).

Nel settore delle manifestazioni sportive, l’Istat parla di una crisi “drammatica”: gli ingressi sono calati del 77,5% (30,8 milioni nel 2019) e la spesa al botteghino dell’84% (501,6 milioni di euro nel 2019).

OCCUPAZIONE

Nel 2019 gli occupati del settore turistico erano 1 milione e 647mila, il 7,1% del totale degli occupati in Italia, mentre la cultura coinvolgeva 636mila occupati , ovvero, 2,7% del totale. Interessante e indispensabile la ripartizione delle voci che i due settori intendono per occupati. Anche perché di figure che pure lavorano in questi ambiti ma che in piena pandemia non hanno potuto godere di sussidi e ristori, del tutto o parzialmente, ce ne sono molti.

Le categorie

Nel turismo quelli che lavorano in trasporto aereo, hotel e alloggi per vacanze, campeggi, agenzie di viaggio e tour operator nonché servizi di prenotazione, ma anche quanti lavorano in attività “parzialmente turistiche” come trasporto ferroviario interurbano, trasporto con taxi e noleggio di autovetture, trasporto marittimo e costiero, trasporto per vie d’acqua interne, ristorazione e bar, noleggio di autovetture, noleggio di attrezzature sportive.

Nella cultura i professionisti impiegati nella stampa e nella riproduzione di supporti registrati, nell’attività di produzione cinematografica, video, programmi televisivi, registrazioni musicali, i creativi, gli artisti, gli intrattenitori, i lavoratori di biblioteche, archivi, musei e altre attività culturali, i fabbricatori di strumenti musicali, i designer, i fotografi, i traduttori e gli interpreti, i gioiellieri e gli orefici, i librai, i giornalai e i cartolai, i venditori di musica e video, gli editori di libri, quotidiani e riviste, gli editori di giochi per computer, le agenzie di stampa, gli studi di architetture, i noleggi di videocassette e dischi.

La maggior parte degli occupati del turismo, fa sapere l’Istat, lavorano nei settori “parzialmente turistici” (sono il 79,8% del totale, mentre i rimanenti, 295mila occupati, lavorano nei settori strettamente turistici). “Nel 2020”, spiega l’Istat in merito alla composizione contrattuale dei lavoratori del settore, “il turismo mostra una quota di dipendenti a termine e di indipendenti più elevata di quella registrata per il totale dell’economia: i primi sono circa un quinto (il 20,3% rispetto all’11,7%) e i secondi quasi un terzo del totale (il 31,8% contro il 22,5%). Più diffuso è anche il lavoro part time (27,9% contro il 18,5% del totale occupati), che in oltre sette casi su dieci è di tipo involontario – svolto cioè per mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno”.

Diversa la situazione nel settore cultura che, spiega l’istituto, “si caratterizza per un’elevata presenza di indipendenti – che rappresentano oltre la metà degli occupati del settore (54,3% rispetto al 22,5% del totale occupazione), di professioni qualificate (67,2% contro 35,8%) e, soprattutto, di laureati (43,5% rispetto a 24,1%)”.

Il settore culturale è fatto soprattutto di unità di piccole e piccolissime dimensioni: il 97,8% delle imprese del settore è costituito da micro-imprese con meno di 10 addetti: si tratta del 64,7% della forza lavoro totale, del 41,2% del valore aggiunto e del 34,5% del fatturato.

La dimensione media delle imprese culturali è più piccola della media di tutte le imprese italiane: 2 addetti rispetto ai 3,8 della media totale (le imprese con 0-1 addetti includono l’81% delle imprese culturali occupando il 38,6% degli addetti e realizzando il 23,1% del valore aggiunto e il 16,1% del fatturato).

L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha “colpito duramente questi settori”, spiega l’Istat: il settore turistico ha perso 187mila occupati (calo dell’11,3%) e il settore della cultura 33mila (calo del 5,2%). Si tratta di valori molto più alti della media nazionale calcolata su tutti i settori (-2%). Infine, l’Istat calcola che i posti di lavoro persi in turismo e cultura rappresentino circa la metà di tutta l’occupazione persa tra il 2019 e il 2020, che ammonta a 456mila persone che non hanno più un lavoro.

Foto di copertina: elperiodico.com

Redazione Vivo Umbria: