Cerca
Close this search box.

La colorata vita di Umberto, artista di strada dall’Umbria al Brasile

PERUGIA – Ci sono persone con sogni troppo grandi per essere chiusi in un cassetto. Sono persone sensibili, che si sentono spesso sbagliate e fuori posto, troppo diverse rispetto agli altri.

Ma a volte per queste persone arriva un giorno cruciale, un giorno in cui si rendono conto che no,  non sono loro ad essere sbagliate ma forse lo è il posto in cui si trovano. A dispetto di un sistema che ci vorrebbe tutti uguali, iniziano a rendersi conto che la loro forza invece si trova proprio nella loro diversità e decidono di non rimandare più. Non vogliono più aspettare di essere felici “domani”, vogliono esserlo adesso e trovare il proprio posto nel mondo. E può capitare che decidano di saltare, lasciare le proprie sicurezze per seguire la propria vera natura.

 

Umberto Rosichetti, capelli rossi e un gran sorriso, è una di queste persone.

Originario di Cannaiola, un paesino della provincia di Perugia, dieci anni fa ha deciso di partire e di non fermarsi più. Oggi vive da 5 anni in Brasile dove, a bordo del suo furgone camperizzato di nome Furia, gira il paese lavorando come artista di strada e portando al pubblico il suo Doisberto street show”, uno spettacolo dove Umberto unisce le arti circensi della giocoleria, dei trampoli, del mimo insieme all’antica arte della clowneria.

Leggendo nel suo sito scopriamo come, dopo il diploma in Perito tecnico industriale, Umberto trovi lavoro come assistente di cantiere in un’azienda di installazione impianti a Foligno.

E’ il cosiddetto posto fisso, quello che avrebbe potuto garantirgli sicurezza e stabilità economica ma  lui continua a sentire che qualcosa non va. Pur continuando a lavorare nell’azienda, appena ne ha la possibilità parte per un viaggio, in Europa ma non solo, ed ogni viaggio è un piccolo tassello che aggiunge informazioni sulla sua personalità, sui suoi desideri e su ciò che lo rende davvero felice. Là fuori c’è un mondo che aspetta di essere scoperto ed il richiamo della vita si fa sempre più forte, finché non è  più possibile non ascoltarlo: nella primavera del 2010 Umberto decide di farlo questo salto nel buio e si licenzia, dice addio al contratto a tempo indeterminato e parte, iniziando a girare per l’Italia lavorando con la compagnia teatrale P.N.T. ATMO.

Dopo essersi formato corona uno dei suoi sogni, quello di creare un suo proprio spettacolo e portarlo sulle strade di Italia fino al 2015 quando parte per il Brasile e decide di rimanervi, girando il paese in lungo e in largo ed è qui che si trova quando lo raggiungiamo online per fargli qualche domanda.

 

Umberto, dove ti trovi adesso precisamente?

Ora sono ad Arrajal da Ajuda una cittadina turistica nel sud dello stato di Bahia, Brasile.

 Ci racconti quando e perché hai deciso di fare questa scelta di vita?

Da sempre sono stato attratto dagli artisti di strada, quando li vedevo esibirsi nelle piazze delle città, letteralmente “viaggiavo” con la mente e immaginavo la loro vita libera e avventurosa. Fu del tutto naturale cominciare a lanciare in aria oggetti, calzini arrotolati, mele e mentre ero a lavoro anche cacciaviti. Costruii dei trampoli e mi innamorai della sensazione di “elevarmi”, inconsciamente stavo già muovendo i primi passi nel mio percorso interiore che l’arte di strada ha reso possibile e che mi ha portato fino in Sud America.
Ho scelto di diventare un artista di strada e vivere viaggiando perché non mi sono adeguato al modo di vivere che la società ci propone, per la sensazione di inadeguatezza che fin da bambino mi accompagnava, non c’è niente di male nell’ammetterlo, anzi… Molti di noi convivono con questa sensazione spesso senza rendersene conto. Pensiamo di essere sbagliati, non sufficientemente forti, belli, intelligenti, ricchi, sentiamo questo leggero ma costante dolore che alla lunga annichilisce la nostra bellezza e le nostre qualità. Durante 10 anni di viaggi, esperienze introspettive e confronto con persone che sono nel cammino di autoconoscenza, ha iniziato a farsi strada dentro di me l’idea che forse, “sbagliati”, sono i meccanismi della società moderna, che ci impone padroni comportamentali, estetici, ecc… che non sono in armonia con il nostro Essere. Questo ci rende tutti un po’ malati. Vivere viaggiando, studiare teatro mi ha dato la possibilità di riconoscere e rifiutare questi meccanismi, di scegliere come vivere. Io ho semplicemente colto questa possibilità.

Com’è la tua giornata tipo? E com’è la vita di un artista di strada durante un momento storico così particolare?

Sono costantemente in viaggio e dormo quasi ogni giorno in un posto diverso, ma in generale una giornata tipo potrebbe essere così: sveglia in un orario consono all’ora in cui sono andato a letto, al posto che ho scelto per dormire (rumori e esposizione al sole) agli impegni che ho quel giorno. Cerco sempre di dormire 8 ore per essere in forma e pronto agli imprevisti, se sono vicino a un fiume o mare salto direttamente in acqua, poi un piccolo rituale che può contemplare una meditazione e-o un allungamento, con durata variabile che dipende da quanto ho bisogno di coccolare la mia anima e il mio corpo.

Abbondante colazione con frutta, pane o “tapioca” (una specie di piadina fatta con la farina di un tubero), burro di arachidi, caffè fatto con la moka che mia zia mi ha regalato e sono pronto per sbrigare gli impegni. Guidare fino al prossimo paese o città, sistemare le mie attrezzature di spettacolo, fare e montare video nei quali racconto quello che mi sta succedendo o, se sono in un bel posto, godermi la natura. Quando la fame si fa sentire penso al pranzo che di solito avviene nel primo pomeriggio, poi dopo un riposino, inizio a prepararmi per lo spettacolo serale.

A volte faccio solo musica con la fisarmonica, più spesso il mio spettacolo di clownerie e circo “Doisberto street show”, quindi vado in piazza, cerco di dare il meglio di me, passo il cappello sperando che il pubblico valorizzi degnamente il mio lavoro (il che succede il 99,9% delle volte). Dopo lo spettacolo viene il momento di celebrare l’abbondanza della vita, fraternizzando con colleghi e-o persone conosciute lì per lì, bevendo una birra e fumando un “paiol” tipica sigaretta artigianale del centro del Brasile, quasi sempre con un sottofondo musicale improvvisato.

Poi si cerca un posto per dormire e viaggiando con un furgone allestito a camper, la cosa è molto facile, posso dormire virtualmente ovunque.
Rispetto alla situazione “pandemia”, ogni artista di strada la affronta come può, io ho deciso di continuare a fare arte di strada dal vivo, andando in piazza con tutte le accortezze del caso, ma sto vedendo molti colleghi che fanno spettacoli e danno lezioni online. Il virtuale mi sembra molto potente perché ti permette di arrivare in un istante in tutto il mondo, ma io personalmente preferisco continuare le attività dal vivo perché è l’essenza di questa arte: tolto ciò diventa un’altra cosa e non mi interessa più.
In Brasile c’è una grande anarchia da questo punto di vista, il negazionismo del presidente Bolsonaro ha reso ancora più confusa la situazione, soprattutto nei primi mesi dell’emergenza e legittimato atteggiamenti irresponsabili riguardo la situazione sanitaria.
Mi sento molto privilegiato, vivendo in furgone posso decidere dove andare, ovviamente preferisco i piccoli paesini del litorale alle grandi città. È vero che lavoro con un pubblico che ha la tendenza ad assembrarsi, ma il mio spettacolo dura al massimo 40 minuti, nei quali faccio mantenere il distanziamento, mostro come usare disinfettante e metto a disposizione alcool e mascherine per il pubblico, cerco in chiave comica di sottolineare l’importanza di avere certe accortezze. Posso dire che arriva ad essere un’azione considerevole per la divulgazione di abitudini importanti per la sicurezza di tutti.

Rispetto alla tua arte, qual è la differenza tra la risposta brasiliana e quella italiana, umbra in particolar modo?

In linea generale posso dire che il pubblico brasiliano è più interattivo, empatizza più facilmente, poi tutto ciò che è spettacolo in Brasile è molto apprezzato. Amano le discipline circensi, la musica e sicuramente il fatto di essere italiano mi aiuta molto, dà quel fascino esotico, che ha un brasiliano in Italia… Anche perché praticamente non ci sono europei che fanno spettacolo in strada; per vari motivi gli artisti del “vecchio continente” fanno spettacolo negli eventi o nei centri culturali statali, dove ricevono dei cachet considerevoli.
Dobbiamo considerare però che “la risposta del pubblico” dipende da infiniti fattori, orario, giorno della settimana, condizioni climatiche e altro, non soltanto da fattori culturali.

Dall’Umbria al Brasile, qual è la cosa, se c’è, che ti manca di più di questa regione?

Sicuramente quello che mi manca di più è la nostra cultura enogastronomica. Rispetto al Brasile l’Italia ha una varietà e qualità di prodotti incomparabile… In Italia e in Umbria “mangi bene con poco”, in Brasile se vuoi spendere poco mangi sempre le stesse cose: riso, fagioli, insalata, carne.
D’altra parte in Brasile c’è una natura che noi ci sogniamo, spiagge tropicali, Amazzonia, mata atlantica, cerrado, un’enorme varietà di frutta. Da tutte le parti ci sono alberi che fruttificano anche due volte all’anno, spesso faccio colazione con qualche mango raccolto direttamente dalla pianta, divino!

Durante il primo lockdown eri in Umbria, come hai vissuto quel periodo, ti sentivi a casa o ti sei sentito a casa quando sei tornato in Brasile? Oppure per te, la casa è un luogo del cuore piuttosto che un luogo geografico?

 

Per me il primo lockdown è stato una vera e propria follia.
Mentre ero in Brasile ricevevo le notizie dall’Italia e percepivo il peggiorare della situazione dalla voce di parenti e amici con i quali ero in costante contatto. La preparazione del mio progetto “Doisberto project” era quasi al termine e avrei dovuto passare gli ultimi mesi a Belo Horizonte per aspettare i documenti della residenza per poi poter partire per questa nuova avventura.
A metà marzo ho iniziato ad avere veramente paura, ho svuotato la casa che stavo affittando da appena due settimane e ho preso il furgone per allontanarmi dalla metropoli, lasciando alla sorte tutto il progetto. Riempii il furgone di alcool, mascherine e beni di prima necessità, come in un film di fantascienza per passare mesi “in mezzo alla macchia”, che non è “macchia” bensì “cerrado” biotipo del centro del Brasile dove vivono, puma, serpenti corallo, a sonagli e vari tipi di ragni velenosi; non sarebbe stata una passeggiata.

Ad un certo punto mi sono reso conto che stavano cancellando tutti i voli e chiudendo le frontiere, per mesi o chissà anni non sarei potuto tornare in Italia e che, se fosse successo qualcosa, non avrei potuto stare vicino ai miei cari. Così decisi di prendere uno degli ultimi voli San Paolo-Roma col rischio di rimanere bloccato a San Paolo. Per fortuna riuscii a viaggiare senza problemi. All’aeroporto di Roma alla vista di mia madre scoppiai a piangere come un bambino e mi sentii meglio per poter perlomeno stare vicino ai miei, solo che non avevo calcolato il lockdown… Dopo 5 anni di viaggio mi sono ritrovato chiuso in casa di mio padre per due mesi senza poter uscire, deleterio, ho rischiato di cadere in depressione, mi sembrava tutto surreale e il fatto di non poter portare avanti il mio progetto mi stava lacerando. Avevo lasciato tutto in Brasile. Lì mi sono reso conto che la mia casa è dove sta il mio cuore e in quel momento era oltre oceano. Così mi sono ripromesso che se fossi riuscito a tornare in Brasile, avrei portato avanti il mio sogno con tutte le forze, senza dubbi, senza paure perché vivere senza approfittare del potenziale che la natura ci ha dato mi sembra un insulto alla vita stessa.

L’arte di strada mi ha salvato: da tre mesi non lavoravo, oltre alla situazione economica stavo iniziando a sentirmi inutile, senza uno scopo. Così presi la fisarmonica e una piccola lavagna: erano i primi giorni di Maggio quando tornammo a poter uscire di casa senza autocertificazione, andai a Foligno con l’intento di riprendere il mio posto, seppur marginale, nella società.
Andai di fronte al teatro da anni inutilizzato in Corso Cavour, scrissi “L’Arte cura” sulla lavagna e la collocai a terra vicino al mio fedele compagno di avventure, il mio cappello.
Iniziai a suonare… Avevo paura, potevo farlo? I vigili mi avrebbero multato? Le persone avrebbero visto come un atto sconsiderato stare lì in strada per suonare? Ma l’emozione prese il sopravvento, suonai come atto di liberazione, da subito iniziai a percepire lo stupore della gente, quando da lontano iniziavano a sentire le note che uscivano dalla mia fisarmonica i loro corpi cambiavano postura, prima un’espressione interrogativa, poi un gran sorriso. In quel momento avevamo tutti un gran bisogno di entrare in contatto con qualcosa di bello e io, per congiunture astrali, ero il mezzo per questo contatto, un grande privilegio.

E a proposito di luoghi del cuore, ce n’è uno in Umbria che ami particolarmente?

Sì, ce ne sono vari, due in particolare. Il primo è il Monte Serano sopra Trevi, è un luogo che mi ha donato tanto conforto quando la vita mi dava lezioni dure da accettare, lì ho urlato, pianto e trovato la pace quando più ne avevo bisogno.
Il secondo è il Ponte delle Torri a Spoleto, dove andavo con gli amici quando iniziavamo a uscire in macchina, portavamo una bottiglia di vino una chitarra e “facevamo serata”. In qualche modo stavamo entrando nel mondo adulto e percepivamo che qualcosa non andava.

Pensi mai di fermarti o di ritornare qui un giorno?

Chiaro, ho tante persone care in Italia, parenti, amici e colleghi, ma per ora non voglio fare programmi, la vita per me in questo momento è troppo piena di possibilità per ridurla a un canovaccio dettato dalla mente.

Come mai hai deciso di condividere il tuo percorso tramite la rete?

In questi anni di viaggi ho a volte avuto la sensazione che quello che stavo vivendo aveva un grande potenziale che si stava perdendo, chiaro è importante per me perché è il mio cammino di vita, qualcosa che ho sognato e raggiunto con tanta forza, coraggio e un pizzico di follia. Ma ho pensato che se avessi trovato il modo di condividere quello che vivo con gli altri avrei potuto dimostrare che è possibile vivere in forma differente, è possibile vivere la propria vita come se fosse una grande avventura e come diceva Chaplin “fare della propria vita un’opera d’arte“.
La tecnologia mi ha dato i mezzi per farlo, il modo di poter portare chiunque voglia venire con me, in giro per il Brasile e vedere com’è la vita di un clown artista di strada.

Per essere trasportati nel quotidiano di un viaggiatore incallito:
https://www.youtube.com/channel/UC7tEm7L_5AxnJF82F3vTDzQ
Facebook: https://www.facebook.com/clownDoisberto
Instagram: @Clowndoisberto

 

Francesca Verdesca Zain

Articoli correlati

Commenti