“Nessun uomo è un’isola”: il mondo dell’associazionismo e i ponti che uniscono solitudini

PERUGIA – Quando a cavallo tra il XVI e il XVII secolo il poeta John Donne scriveva “Nessun uomo è un’isola. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità” di sicuro non pensava che le sue parole sarebbero state di enorme attualità nell’anno 2021.

Mai come negli ultimi mesi la vita ci ha messo davanti, spesso senza sconti né mezze misure, quanto tutti siamo interconnessi e di come il nostro benessere sia legato a filo doppio a quello del resto del mondo.

Possiamo criticarla, osteggiarla oppure osannarla o anche subirla, ma volenti o nolenti siamo tutti fili di quell’intricato ordito chiamato “società”. La società non si sceglie, in un certo senso è ineluttabile perché ci nasciamo e dobbiamo per forza farci i conti. Nello stesso tempo però è, o dovrebbe essere, anche un nostro compito, da vivere con coscienza, nel dialogo costruttivo con l’altro, nel prendersi cura del bene comune, di se stessi e del prossimo, per realizzare consapevolmente la nostra innata vocazione di uomini sociali.

Purtroppo nella realtà, assistiamo ad una globalizzazione che è prevalentemente una massificazione alla quale non corrisponde una visione altrettanto globale dello stare al mondo in società, anzi, non passa giorno in cui non vengano evidenziati drammatici episodi di intolleranza razziale e culturale e la rete, che potrebbe essere un meraviglioso strumento di unione tra realtà distanti, diventa invece campo di battaglia dove le diverse fazioni, forti della protezione dello schermo, si fronteggiano, si insultano e si odiano ognuno convinto della bontà del proprio pensiero. All’abbondanza di saperi accessibili online fa eco una blanda superficialità che fa sì che vi si possano trovare miliardi di informazioni ma approssimative, miliardi di voci e soprattutto una narrazione catastrofista che ci vuole imbevuti di bruttezza e sospetto.

Nel mondo disorientante di oggi, dove tutto è cambiato, dove per salutarsi non ci si stringe nemmeno più la mano e l’alterità è vista come un potenziale pericolo, sembra che tutto lavori per allontanare anziché unire.

Il solco tra spazio privato della propria casa considerato come sicuro e spazio pubblico fonte di ansia e preoccupazione, è andato via via allargandosi e ha dato vita a tutta una serie di malesseri e patologie tipici della nostra epoca. La cosiddetta “sindrome della capanna”, ossia la paura di lasciare la propria tana accogliente e percepita come sicura per dover affrontare nuovamente il mondo, è uno dei contraccolpi emotivi più diffusi dell’emergenza Covid: a lanciare l’allarme è la Società Italiana di Psichiatria che parla di oltre un milione di italiani afflitti da tale patologia che, oltre la paura, porta con sé frustrazione, ansia, insonnia e senso di impotenza.

Allo stato delle cose, una delle sfide maggiori del nostro tempo è proprio la costruzione, simbolica e non, di luoghi dove scoprire l’altro a misura dei tempi, dove allenarci e re-imparare a vivere insieme rimodulandoci in base alle nuove esigenze senza rinunciare alla socialità.

Perché, come scrive il pedagogista brasiliano Paulo Freire  “La Storia non è che l’insieme delle risposte date dagli uomini alla natura, agli altri, alle strutture sociali. […] L’uomo fa la storia anche quando, al sorgere di nuovi temi e nella ricerca di valori inediti, suggerisce formulazioni nuove, cambiamenti nei modi di essere e di agire”.

Anche nella nostra piccola Umbria ravvisiamo ogni giorno tanta desolazione ma, nel nostro viaggio alla scoperta della Perugia che cambia, ci eravamo ripromessi di trovare delle realtà positive, segnali di speranza concreta e di risposte innovative ai cambiamenti.

E le abbiamo trovate. Non nelle istituzioni ma nelle persone, uomini e donne delle associazioni che, come piccoli ponti uniscono isole di solitudini e preoccupazioni, fornendo soluzioni, sostegno, cura a 360 gradi.

Dalle associazioni del centro storico a quelle nelle periferie, sono presidio del territorio, fucina di iniziative volte al recupero di zone spesso abbandonate e strumento di valorizzazione dell’inestimabile patrimonio storico e artistico della nostra città.

Impossibile citarle tutte, magari nel nostro viaggio ci sarà modo di parlarne ancora ma intanto segnaliamo i volontari di Vivi il Borgo e Ya Basta e il loro quotidiano lavoro di inclusione, di tutela degli spazi verdi del parco Sant’Angelo, oltre alla spesa solidale, l’orto urbano e mille altre iniziative; l’associazione Priori che, tra le altre cose, ha dato vita ad Artcity, per valorizzare e sostenere il lavoro degli artigiani umbri. E ancora, la cellula di resistenza creativa Fiorivano Le Viole con Alchemica, il paniere solidale e l’arte nelle vie del centro, l’associazione Borgo Bello in corso Cavour con le notti bianche e i cittadini che ridanno vita e lustro alle strade del rione, Elce Viva con le tante attività di tutela del quartiere.

Ma pensiamo anche a Legambiente con le attività di pulizia del territorio, monitoraggio ed informazione; ai vari Gas, gruppi di acquisto solidale, sparsi nel tessuto urbano che contribuiscono alla valorizzazione di prodotti genuini a chilometro zero; ai comitati di quartiere.

Realtà eterogenee ma unite dal comune denominatore di essere luoghi di incontro dove si instaurano relazioni reali e si procede insieme per costruire sì una città migliore e a misura d’uomo, ma anche la versione migliore di se stessi e del senso della propria incarnazione. Dove si ricerca e si definisce il senso che si vuole dare alla propria vita e al proprio posto nel mondo fatto di relazioni, incontri, fiducia, condivisioni.

La ricerca di senso che, come forse sfugge a chi ci governa, non si trova in vendita negli scaffali impersonali dei supermercati che dalle istituzioni continuano a propinarci come unica realtà possibile, ma va cercato ogni giorno della propria vita per diventare noi tutti, uomini e donne, cittadini attivi di questa società.

Francesca Verdesca Zain

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