Paolo Conte non parla, fa parlare la sua musica davanti a un pubblico estasiato

PERUGIA – E’ memoria liberata, è amore infranto e ricomposto, è ironia graffiante, è malinconia fatta poesia. Paolo Conte è tutto questo e ancora una volta l’ha dimostrato nella serata all’arena di fronte a un pubblico estasiato. Non parla, fa parlare le sue canzoni per lui, inforca un paio di occhiali da sole giallo-neri e si siede al Fazioli usandolo solo per colorire qua e là le sue poesie in musica. Presenta al termine degli assoli i suoi musicisti uno ad uno, ma basta. Nulla più, non una parola ai suoi fan perugini, non una rivolta a Umbria Jazz. Alle sue spalle un drappo colorato che fa molto anni Venti (del secolo scorso), quando Eleonora Duse vi si avvinghiava per animare i suoi drammoni teatrali. Lui è lì quasi impassibile e attacca con Aguaplano. Neanche il tempo di assaporare il pezzo che omaggia il jazz e la memoria “fatta di attimi e settimane enigmistiche” perché “qui, ora è il mio jazz”. Sotto le stelle del jazz quasi sussurrata con la sua voce rauca e vellutata, passa veloce. Per “Ratafià” lascia il piano e si alza, un po’ instabile, e canta ancora sul filo della voce che si fa ancora più flebile. Poi “Uomo camion” e “La frase”.

 

 

Si chiude il primo tempo. Torna in scena dopo una quindicina di minuti e il tempo pare dilatarsi per fare spazio alla musica strumentale con una serie di assoli sax, clarinetto, fisarmonica, violino che incantano il pubblico. Passano veloci “Dancing”, “Gioco d’azzardo”, “Gli impermeabili”, sino a “Madeleine” ed ecco “Via con me” riconoscibilissimo cavallo di battaglia, ma è con “Diavolo Rosso” che la musica domina la scena su un plafond ritmico incessante da dove spiccano pregevolissimi soli. Giusto il tempo di “ridere a crepapelle” con “Le chic e le charme” poi il bis con “Via con me”. Poi Conte si dilegua, si spengono le luci, il sipario si abbassa. Resta il piacere della poesia e della musica con quella “faccia un po’ così” e “quell’espressione un po’ così”, pure suo patrimonio lasciato ai posteri.

 

Foto di Federica Mastroforti

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