Quell'immagine simbolica che evoca lo sterminio e l'orrore ma che oggi è motivo per un selfie ad Auschwitz

Ferdinand de Saussure ed Umberto Eco avrebbero tracciato il loro triangolo semiotico: quelle lunghe rotaie che si rimpiccioliscono in prospettiva sino all’ingresso della struttura che avrebbe ospitato migliaia e migliaia di ebrei, rom e omosessuali, ispirano l’associazione mentale di un itinerario obbligato verso la morte nelle camere a gas e all’annientamento delle spoglie nei forni crematori. Neanche il diritto alla sepoltura e a un “luogo” che ne rievocasse la memoria avevano gli “essere inferiori”. La follia del Nazismo è sintetizzata tutta in quella immagine, testimonianza d’epoca in bianco e nero, che è stata, come in un gioco, replicata migliaia di volte dai visitatori del lager di Auschwitz-Birkenau. Un simbolo in cui il semiologo può facilmente individuare il significante, l’insieme degli elementi che compongono la foto, il significato di cui abbiamo appena detto, associato all’idea di morte che la Shoah e il lager porta con sé e il referente: lo stato di minorità e di abiezione della condizione sociale dei deportati. Ma se i segni conservano una specificità semiologica, il rischio che corriamo oggi è che neanche la scienza che approfondisce concetti filosofici e linguistici basti più per analizzare un approccio ai simboli storicizzati che, spesso, lascia indifferenti le giovani generazioni sino a cadere nel sonno della ragione che ricomincia a generare i mostri dell’odio e del razzismo, della violenza e del sopruso di individui su altri individui. Il mass-mediale che ha formato anche le nostre coscienze critiche dal dopoguerra in poi, è ormai oltre e ha originato il crossmediale, vale a dire ha stabilito una rete di connessione tra tutte la piattaforme mediali, comprese naturalmente quelle del Web. La nuova era del crossmediale ha ampliato di molto le prospettive non solo informative, ma anche quelle dell’entertainment e del videoludico e del virtuale che, a sua volta, rischia di creare nei giovani pericolosi stati confusionali in cui virtuale e reale non trovano soluzione di continuità. Per questo simboli iconici come l’immagine di cui parlavamo rischiano di ottenere nelle giovani generazioni l’effetto opposto rispetto a quello delle associazioni mentali più immediate, come appunto l’evocazione della morte e l’annientamento delle spoglie. Perché nel virtuale quella morte magari è solo lo step di un videogioco in cui l’eroe di turno può risorgere immediatamente perché immune a qualsiasi proiettile. Va da sé quanto sia necessaria oggi più che mai un’educazione all’immagine e alla bellezza che in sé continua a racchiudere il valore di un senso etico, sia della vita che della morte.

Claudio Bianconi: Arte, cultura, ma soprattutto musica sono tra i miei argomenti preferiti. Ho frequentato il Dams (Scienze e Tecnologie delle Arti, dello Spettacolo e del Cinema). Tra i miei altri interessi figurano filosofia; psicologia archetipica; antropologia ed etnologia; fotografia-video; grafica, fumetti, architettura; viaggi.