Ricordi dal Salto del Cieco: detti e curiosità nelle sere d’estate del primo dopoguerra

FERENTILLO – Continuiamo  a raccontare i detti e le curiosità del territorio della Valnerina, singolare per le tradizioni per gli usi e i costumi di un popolo legato alla fede, alla terra e agli affetti familiari, ma soprattutto da legami di amicizia che continuano nel corso degli anni. Dopo aver riscoperto e spolverato i detti e tradizioni di Gabbio, questa volta ci spostiamo più in alto sulle montagne sovrastanti i paesini di Castellone, Colleolivo, quindi le alture del Salto del Cieco e la sua leggendaria osteria della dogana.

Torniamo indietro nel tempo, esattamente nel primissimo dopo guerra.

Al Salto del Cieco: Annamaria, Vincenzina, Luigi e i fratelli Bartoli

“Andavo in estate spesso a villeggiare al Salto del Cieco, mi affidavano i miei nipotini luigina, Luigi, Gisella, Paola e Lucia già grandicella. Mio cugino Arnaldo, che teneva il negozio a pizza Garibaldi a Ferentillo, ci preparava in un sacco i rifornimenti di viveri, sufficienti  per una quindicina di giorni e via…..ci spediva in montagna. Era un periodo un po’ scuro per l’Italia. Ci apprestavano alla guerra, ma noi giovani non avevamo ancora in mente ciò che sarebbe accaduto. Spesso, dopo aver scorrazzato tutto il giorno sui prati, a rincorrere i ragazzi che cavalcano sui cavalli, ci raccoglievamo, dopo cena,  nell’aia a località Salto del Cieco, fino a tardi a goderci la frescura. Dopo che i ragazzi più grandi avevano messo a ricovero nei recinti gli animali, noi, in tanti, i bambini compresi, i giovani fratelli Bartoli, la mia amica del cuore Annamaria, Luigi Bartoli, tutti ad ascoltare Loreta. Ed e’ Loreta che allietata con le sue storie le serate. Storie pregne di valori e sani principi”.

Salto del Cieco: Annamaria e Vincenzina assieme al cavallo Stella

Questo ci era stato tramandato da Vincenzina, ormai scomparsa, che di Loreta ha raccontato a noi. E noi, di conseguenza, vogliamo divulgare a tutti coloro che hanno il tempo di leggerci e apprezzare. Tanti sono i detti e i racconti. Ogni frazione li conserva gelosamente. Ogni ricorrenza si accompagna con riti e usanze: nascita, matrimonio, fidanzamento, gioventù, vecchiaia e infine la morte.

Annamaria e Vincenzina: ricordi di montagna

“La nascita avveniva in una stanza a piano terra se le camere erano dislocate ai piani superiori della casa. Ma ecco le usanze che accompagnavano il momento: nella camera era presente la madre della puerpera e la levatrice (ricordano a Ferentillo 1900 -1961 Paolina Ortenzi Sapora e Rina Romanelli), lo sposo, tre o quattro amiche o parenti (fino al  secondo grado di parentela). Al parto non potevano assistere donne gestanti, non sposate e chiunque avesse difetti fisici. Si metteva  sopra al comò l’immagine di Sant’Anna (patrona di Castellone Alto) con davanti una candela accesa. Se il nascituro era maschio il grido era di gioia, se era femmina …  il maschio, a quei tempi, era spesso più desiderato. Il parto gemellare era poco gradito (economicamente), comportava il doppio delle spese. Nella bacinella, in porcellana bianca o terracotta, dove veniva messo il nascituro per il bagnetto già era stata immersa la candela della Candelora, alcune foglie di palma benedetta, la corona del rosario. Alcuni esponevano anche la fede d’oro come auspicio di fortuna; la fede in argento affinché il nascituro fosse vivace; una piastrina di ferro perché fosse forte. Abbondavano erbe aromatiche e amuleti.

Dopo aver fasciato il bambino, gli si poneva al collo un sacchettino a forma di cuore dove erano contenuti una immagine di Gesu’ o Santi, frammenti della Candelora e di palma benedetta, pelo di tasso, un pezzetto di ferro o polvere di luoghi sacri. Nelle fasce era fissato un nastro rosso. Si credeva che sarebbe stato felice chi nasceva settimino;  di breve vita quello di otto mesi; fortunato chi nasce con la camicia (che viene essiccata e portata addosso tutta la vita, contro l’invidia).

Se il nascituro presentava il naso lungo, si diceva: “sara’ una spia”; capelli rossi “di animo cattivo”. I nati di venerdì potevano addirittra diventare stregoni; di sabato felici; di domenica sfaticati. I nati di gennaio? Saranno i primi e intelligenti.

Contro il malocchio e le fatture si usava l’aglio raccolto nella notte di San Giovanni, possibilmente con il cielo  sereno. Contro le convulsioni si usava mettere antiche monete dello Stato Pontificio “sede vacante” (in questi luoghi erano comuni da trovare visto il confine) .

Si era soliti dire da queste parti della Valnerina che ad una donna incinta nemmeno le streghe e le fattucchiere avrebbero fatto del male. Ci si addentrava persino a prevedere il sesso del nascituro: tirando lo sterno di un pollo fino a spezzarlo, era maschio se a quello che lo prevedeva restava in mano la parte più piccola; oppure amcora maschio se buttando a terra il pestello del sale e una scopetta veniva raccolto prima il pestello.

A parto avvenuto, la madre per ritornare in chiesa, dopo la quarantena veniva purificata dal sacerdote: veniva benedetta sull’uscio mentre lei offriva un cero. Prima di quel giorno, la donna non poteva uscire di casa, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto portare in testa un coppo.

Tante anche stornellate e burlate che il poeta dialettale Luigi Bartoli cantava e recitava per rallegrare le fresche serate sotto la luna. Eccone alcune: “Fiore de melu quando te veco penzo a questu solu: che le stelle non stanno solo in cielu; Fiore de linu, tu sai per corpa tua se quanno peno, ma tu li core ciao de travertino”.

In quel territorio cosparso di ulivi e dedito all’allevamento e agricoltura, molti erano i detti legati alla vita contadina. Ad esempio al paese di  Colleolivo: per Santa Caterina e’ fatta la bianca e la nera (olive); per San Bastianu va alla costa e mira lo piano, se lo piano fa virdura aristrigni la cintura ( Matterella) ; Santa Eurosia benedetta salvace da lu fulmine e la saetta, scampare dalla grandine impetuosa dacce la spiga bella e rigogliosa (Precetto); San Pietro primo papa a te me rivolgo, famme fa presto stu figlio prete e liberace dalla fame e dalla sete. Chi non ha voglia de fatica sbirro e frate se vole fa (Macenano).

Bene, ci sono tanti altri detti e storie da raccontare che testimoniano la cultura di questa parte dell’ Umbria ricca non solo di opere d’arte ma anche di tradizioni antropologiche che non devono assolutamente scomparire. Gli anziani sono una ricchezza sotto tutti i punti di vista, proteggiamoli, coccoliamoli, amiamoli, assistiamoli,  stiamo  sempre con loro: uccide di più la solitudine che una malattia

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