San Valentino: il santo che riduce le distanze della pandemia, anche quelle dei “refusi”

TERNI – C’è una fila ordinata fuori dalla Basilica di San Valentino. Oggi, nel giorno in cui si festeggia il Santo Patrono della Città di Terni e di tutti gli innamorati, fanno entrare a gruppi di quattro. Davanti a me una coppia di giovani fidanzati si tiene per mano. Sotto una tramontana gelida, gli operatori passano col disinfettante per le mani, poi ci fanno entrare.

Dentro ci sono poche persone, la maggior parte cammina lungo le navate, un piccolo gruppo di fedeli si alterna pregando e cantando inni al microfono. Prima un’Ave Maria, poi un Padre Nostro. Chi vuole può sedersi sulle panche, rispettando le distanze indicate dai cartelli sulle sedute. Due operatori della protezione civile presenziano le spoglie del Santo ai lati della teca che le contiene. Ci si avvicina, poi si passa attraverso due cordoni, da lì si va in sagrestia e infine si esce sul retro. In sagrestia, si possono accendere le candele, quelle finte che si avvitano. Ne avvito una. Seduto sulla sinistra c’è un sacerdote in silenzio, con un cartello piazzato davanti che parla per lui: gli si possono portare gli oggetti da benedire. Sarei curiosa di sapere quali oggetti gli portino i fedeli. Esco dalla sagrestia e prendo un cero al negozio, la ragazza che è lì, gentilmente risponde alla mia domanda interiore ricordandomi che quel sacerdote che ho visto un minuto prima, è stato appositamente designato alla benedizione degli oggetti, indicando il mio cero. Poi mi regala un numero imprecisato di santini con la preghiera a San Valentino. Torno in sagrestia con il mio cero da due euro, lo scarto e glielo faccio vedere. Il sacerdote si alza, fa un gesto con la mano e mi allontano. Come faccio sempre da un anno quando un qualunque membro di un qualsiasi luogo pubblico – scuola, negozio, ufficio – mi fa un gesto. Ma lui sembra rimanerci male, è perplesso. Allora capisco e cautamente faccio un passo verso di lui, sempre con il cero in mano, sempre a distanza ma un po’ più vicini. Solo allora lo benedice e gli dà una sferzata di acqua santa. Lo ringrazio e esco dalla Basilica. Sul retro un giovane della protezione civile mi apre un cancello. Faccio il giro, scendo e lascio dietro di me due volanti della Polizia che amichevolmente salutano un passante di loro conoscenza.

Solo un anno fa, la Basilica era vivace, con almeno cinque volte le persone che c’erano oggi, intorno alle 16. Nessuno avrebbe potuto immaginare che a distanza di un anno, questo stesso luogo avrebbe visto un tale dispiegamento di personale addetto alla sicurezza, una tale ingombrante presenza di cartelli che ordinano di mantenersi distanti dal vicino. Eppure, nel breve tempo che ho trascorso qui, una serie di cose mi ha sorpresa e rincuorata. Su tutte, i due ragazzi davanti a me che si tenevano per mano e il sacerdote che voleva che mi avvicinassi. Gesti che fino a un anno fa, forse non avrei neanche notato ma che oggi hanno un sapore totalmente diverso. Dopo un anno in cui tutti ci siamo dovuti misurare con un distanziamento sociale che ha obbligato le relazioni umane alla distanza fisica e emotiva, quando ormai anche semplicemente abbracciare un amico, pone un inevitabile problema di salute. E poi, la gentilezza di tutti gli addetti ai lavori, dai paramedici ai volontari della Protezione Civile, dagli agenti di polizia ai fedeli che davano una mano agli altri fedeli.

Il clima che oggi si respirava alla Basilica era davvero sereno.

Il tutto mentre in città nei giorni scorsi è scoppiata la polemica per una citazione sbagliata della Divina Commedia. Mentre dalla Bct fanno appello al perdono, invitando gli utenti a partecipare a un contest in cui chiedere scusa. Mentre l’assessorato alla cultura, a corto di fondi, chiama a raccolta le associazioni che a titolo gratuito, donino un proprio contributo per una Valentine Fest online.

Oggi ho controllato, il manifesto 6×3 a ponte Garibaldi è stato sostituito con la citazione finalmente corretta. In basso, i biglietti da staccare con le citazioni d’amore, erano quasi finiti.

Sara Costanzi

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