Spoleto, alla Rocca tutta l’eccentricità di Beethoven grazie al Trio Scarponi, Vallini, Tambè

SPOLETOÈ a lui che si deve una prima poetica compositrice sui grandi quesiti universali che rivelano l’uomo per quello che è, tormentato da sempre alla ricerca di una fede superiore. Beethoven riponeva nell’arte e nella sua arte la musica, la sola che potesse innalzare l’uomo verso il divino e il trascendente, proprio sui modelli impressi da Goethe e poi seguendo le origini e la tradizione settecentesca abbracciata da Haydn e da Mozart. Ieri sera, 21 luglio, alla Rocca Albornoziana di Spoleto il Trio di Perugia formato da Patrizio Scarponi al violino, Vito Vallini al violoncello e Gualtiero Tambè alla viola, ha eseguito un repertorio ricercato: due delle Sonate scritte per trio d’archi, l’op. 3 N. 1, creata prendendo spunto dal Divertimento di Mozart K563, e l’op. 9 N. 3 in Do Minore. 
 

 
Se in giovinezza le forme stilistiche di Beethoven erano più classiche e nelle Sonate si percepisce, fin dal terzo movimento, tutta la narrazione storica che egli stava vivendo in quel momento prima che diventasse sordo, durante la maturità e in vecchiaia nell’Ottocento diventerà uno dei primi romantici, tanto che ancora oggi i critici discutono in quale periodo collocarlo. Il violinista del trio alla domanda sul perché in quel repertorio ricercato avessero scelto proprio quelle due Sonate, quei due trii, risponde che “sono quelle che io preferisco, sono rappresentative del trio d’archi di Beethoven (che ne scrisse cinque in totale, ndr.)” con  quella settima dominante che lasciava tutto un po’ teso.  
Se nella prima si è permesso un ampio scambio tra la viola e il violoncello, nella seconda Sonata (Op. 9 N. 3 in Do Minore), con una tonalità minore rispetto alla precedente, il violino torna ad essere protagonista. Anche se Beethoven smise di comporre trii d’archi nel 1798 non si pensi che gli unici che scrisse fossero mancanti di qualche parte. Non possiamo escludere che gli servirono come trampolino di lancio verso la completezza musicale che tanto desiderava. 
La visione sonora del suo discorso musicale, più spesso cadenzata sul pentagramma da una forma-sonata tripartita, segue sì linee metriche precise (esposizione, sviluppo, ripresa) dove nel progresso si trasforma e nel processo si sintetizza, ma poi segue anche l’intuito e l’ispirazione: “Quando ho preso coscienza di ciò che voglio, l’idea che ne è fondamento non mi abbandona mai, cresce, si fa più intensa, io odo e vedo l’immagine in tutta la sua ampiezza, in un unico blocco”, scriverà il compositore tedesco. È così che, più dei singoli temi, resta importante considerare l’intero percorso scelto.
Il pubblico in religioso silenzio si è lasciato cullare da quell’espressione eccentrica che in passato aveva fatto amare e odiare Beethoven per il suo temperamento, mentre ogni sezione rimaneva, ingegnosa, in equilibrio. Il bis fortemente richiesto è stato estratto dalla seconda Sonata, quasi sul finale lo scherzo, allegro molto e vivace.
Il concerto rientrava nell’ambito del progetto “Dalla Rocca alla Roccia”, vincitore del bando Por Fesr 2014-20 realizzato da Rete Icaro per tutte quelle imprese culturali che, tramite iniziative creative a tutto tondo, promuovono e valorizzano il territorio della regione. In questo senso la “Rocca”, rappresentativa della città di Spoleto, recupera il rapporto con la natura, quindi con la “Roccia” e con il territorio. Alla fine della serata, per gli ospiti, era stata allestita un’apericena a cura dello chef Alberto Vallefuoco del ristorante “Carfagna” di Assisi e del catering “Istinti del Gusto”.

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