Squid Game: i media convergono sulla banalità del male

PERUGIA – Com’è possibile che un gioco da bambini che tutti abbiamo praticato possa diventare il simbolo di una terrificante saga di Netflix? Come traslare l’innocenza e semplicità di “Un, due, tre, stella” in un macabro rituale di morte? E come tale capace di offrire una luce nuova ma decisamente macabra ad un gioco che celebra in sé l’aspetto più condiviso dell’essere bambini: giocare per crescere e crescere per continuare a giocare? Da giorni l’apparato mediale e crossmediale sembra essere investito dalla squidgame-mania, la serie tivù di Netflix che ha stracciato ogni record e che si attesta in tutta tranquillità in cima alla classifica delle serie più viste. Se ne celebrano o se ne stigmatizzano i contenuti, la narrazione di giochi semplici diffusi soprattutto nella Corea del Sud, ma condivisi e condivisibili in tutto il mondo occidentale dove i partecipanti vengono eliminati uno ad uno. Nel gioco domina il più forte, il principio della competitività viene estremizzato e portato all’estrema conseguenza in iperboli di sensi e significati che finiscono per produrre un prodotto che affabula l’attenzione generale. Gli ingredienti di questo straordinario successo sono alla base di quello più generalizzato della piattaforma digitale Netflix che, con Squid Game, conferma la tendenza alla crossmedialità, dove generi e vari media di intrecciano e si intersecano, dove dalla spettacolarizzazione cinematografica si passa a quella videoludica e viceversa, dove il plot narrativo del videogioco segue un incedere filmico e dove il film celebra definitivamente l’ingresso della videoludica nelle sue trame. E’ la più palese evidenza di quanto la cosiddetta convergenza mediatica tra vecchi e nuovi media stia dominando le scene, soprattutto quelle digitali e di come questa convergenza stia realmente cambiando le carte in tavola, tra nuove strategie di marketing e la scoperta di mondi paralleli, ma simili al nostro, come la Corea del Sud. Cosa sono infatti la competizione portata alle estreme conseguenze, la celebrazione del vincitore e quindi dell’affermazione del più forte sul più debole, l’esaltazione del possesso del denaro come unico scopo di vita se non le insalubri metafore del mondo che abitiamo? Non ci si ferma in questo gioco al rialzo delle estremizzazioni neppure di fronte alla morte, banalizzata come unica e sola posta in palio pur di affermarsi sugli altri: la celebrazione narratologica dell’eroe su tanti e vari antagonisti. Ma di cosa narra Squid Game? Seong Gi-hun (Lee Jung-jae), un uomo divorziato e sommerso dai debiti, viene avvicinato da un misterioso uomo d’affari che gli propone di partecipare a una serie di vecchi giochi per bambini in cambio della promessa di una solida vincita in denaro.

Rinchiuso in un luogo sconosciuto insieme ad altre 456 persone con gli stessi problemi, scopre un ambiente fatto di violenza e sorveglianza.

Nel primo gioco, una versione di “Un, due, tre, stella”, molti compagni di Gi-hun cadono sotto i colpi di guardie vestite di rosso guidate da un capo. Nel corso degli episodi, assistiamo a un crescendo di tensione e alla nascita di alleanze tra i perseguitati, in un vortice oscillante di scelte collettive e pulsioni individuali. La serie tivù coreana lascia nel finale uno spiraglio di positività dell’eroe che fa intendere – ponendo le premesse di una successiva serialità – che si impegnerà a smascherare i potenti e intoccabili che muovono i fili della macabra competizione, ma intanto ci si interroga sul come la Corea del Sud abbia assunto un ruolo preminente nel successo dei contenuti digitali delle piattaforme e di come Netflix rappresenti il punto di arrivo di un graduale avvicinamento al pulp iperrealistico di Squid Game, passando per Hunger Games, ma prima ancora nei sequel di Lara Croft e Tomb Raider e in quelli dei supereroi che dai videogiochi e dai fumetti hanno animato il cinema. La Corea del Sud che negli ultimi anni ha vissuto una crisi sociale senza precedenti, aggravata dalla pandemia, rappresenta al momento lo specchio migliore delle contraddizioni di un capitalismo sempre più spietato in cui la frammentazione sociale e la disperazione finiscono per prevalere su una società depauperata degli anticorpi naturali alla estremizzazione competitiva. Il film “Parasite” datato 2019 ne è stato una premessa importante, punto intermedio di una progettualità narrativa che infine si è manifestata con Squid Game.

Claudio Bianconi: Arte, cultura, ma soprattutto musica sono tra i miei argomenti preferiti. Ho frequentato il Dams (Scienze e Tecnologie delle Arti, dello Spettacolo e del Cinema). Tra i miei altri interessi figurano filosofia; psicologia archetipica; antropologia ed etnologia; fotografia-video; grafica, fumetti, architettura; viaggi.