Stefano Cipiciani: confidenze, riflessioni, storie dell’operaio della cultura che va in pensione e lascia Fontemaggiore

Fosse dipeso da me, in pensione non ce lo avrei mai mandato. Il motivo? Meriti professionali. E’ pur vero però che, proprio in virtù di ciò che si è fatto, meritatamente si va a riposo. E allora? Stefano Cipiciani è vissuto, cresciuto e di conseguenza invecchiato con il teatro di Fontemaggiore. Con lui il sottoscritto condivide molte cose della stessa città natale, Perugia, e alcune delle strade percorse. Per evitare imbarazzanti e lagrimosi amarcord, così, si è deciso di fare domande che nelle intenzioni sarebbero dovute servire a dirgli in qualche modo “grazie” anche a nome di molti. Il soggetto, però, è schivo per natura; rustico come un gallo da combattimento che si è cibato delle granaglie degli anni Settanta. Per cui, dalle sue risposte, nel bilancio di una vita, emergono più gli altri che lui. Il bello è che lo sapevo fin dall’inizio. E proprio per questo quel ragazzo di allora, posso dirlo, so che continuerà a piacermi anche  da pensionato.

Sei in pensione per davvero?

“Al di là del passaggio di consegne alle quali sto provvedendo, sì. Perché la vita ha i suoi passaggi. Ho trascorso i miei primi 20 anni di vita da studente  e gli altri 44 da lavoratore dello spettacolo credendoci fino in fondo. Adesso c’è un’altra fase della vita”.

Ti ho visto recitare. E bene. Hai iniziato così, del resto. Ci potrebbe essere un ritorno da dove hai cominciato?

“Non lo so. Potrebbe anche essere ma non è che lo desidero così ardentemente. Chi ha il sacro fuoco dell’attore è giusto che prosegua. Per me che ho pensato per la maggior parte della mia vita all’organizzazione degli spettacoli, alla loro distribuzione, alla politica culturale di Fontemaggiore il discorso è diverso”.

Fontemaggiore ora avrà una nuova guida, quella di Beatrice Ripoli. Lasci in buone mani?

“E’ giusto passaggio di consegne. Servono occhi nuovi per il teatro. Non mi sento vecchio ma se arriva gente nuova che si muove attraverso il nuovo gli va dato spazio. La ‘cadrega’ va lasciata, personalmente ne sono stato sempre convinto e mi piace essere coerente. Con Beatrice, poi, ho lavorato assieme per 20 anni. Fontemaggiore  è un Gruppo nato nel 1948 che esiste da oltre 70 anni e c’è bisogno che prosegua ad attraversare il futuro. La mia parte l’ho fatta. Ora tocca a Beatrice e farà benissimo”.

Passo indietro: il primo contatto con il teatro?

“Un laboratorio di Fontemaggiore con Giampiero Frondini. Avevo 17 anni”.

La miccia si accese lì. Perché? 

“Per la possibilità dello scambio di idee, del confronto con modalità diverse rispetto a quelle del quotidiano. L’evidenza del funzionamento di meccanismi particolari che nella vita normale ti ci sarebbe voluto un secolo per costruirli. Il gioco del teatro è stato la scintilla. E poi quelli erano anni Settanta, complessi, drammatici, ma senza dubbio densi di fermenti, di idee”.

Di  quella Fontemaggiore cos’è che hai cercato di conservare nel tempo?

“L’apertura verso l’umanità. Il principio inculcato da Frondini che entrava nelle carceri, negli ospedali psichiatrici. La presenza di Carlo Carini…”.

L’impegno  sociale del teatro, in sostanza.

“Avevo 18 anni e la voglia di sentirmi utile, di realizzare ciò in cui credevo e Fontemaggiore mi dava questa opportunità. Quello spirito ho cercato di preservalo in questi anni”.

Scusa se torno a accendere l’occhio di bue su Cipiciani attore: ti ho visto sul palco una sola volta qualche anno fa in “Ricordi con guerra”. Una bella cosa davvero. Un monologo intenso.

“Del teatro amo tutto. Nasco come macchinista e mi piace scaricare i furgoni, montare le scene. Anche recitare. E’ stata questa la molla che mi ha mosso, come ho detto, però mi piace poter dire soprattutto essere stato parte di quel gruppo che ha creato il Premio Scenario  nel 1987. A 29 anni mi ero messo in testa di pensare al teatro del futuro. E poi, da qui, è nato il lavoro sul territorio. Ci siamo inventati il teatro per ragazzi in tutta la regione. Sai cosa vuol dire incontrare 20 assessori, un numero consistente di presidi delle scuole di 20 Comuni?”.

No, francamente non lo so ma posso immaginarlo.

“E’ impegnativo ma davvero stimolante. Abbiamo portato il teatro dove potevamo, dove trovavamo referenti motivati”.

Poco ego per sentirsi attore?

“L’attore deve averlo ma non è solo io, è anche noi. E’ attraverso quell’ego che riesce a raccontare le cose. L’organizzatore è noi ma sta diventando per quello che vedo anche abbastanza io”.

Quanto è stato complicato essere a capo di Fontemaggiore?

“Quando ti muovi da privato, soprattutto nel campo culturale, non è mai facile. Fontemaggiore ha comunque prodotto tante cose in questa regione. Tanti gruppi sono in qualche modo emanazione di Fontemaggiore grazie ai nostri laboratori, al nostro lavoro”.

Da organizzatore, allora, una tua “scoperta” teatrale che ti piace ricordare?

“Con Scenario abbiamo creato tanti…mostri. In senso positivo, si intende. Tra questi Emma Dante, Marta Cuscunà, produzioni come Fratelli Dalla Via o Sacchi di Sabbia. La mia fortuna è stata poterli conoscere, e proporre, grazie a questo circuito virtuoso che abbiamo creato”.

Di Ascanio Celestini hai proposto molte cose…

“Il primo è stato Roberto Biselli che di fatto è il Teatro di Sacco. Lo portò alla Sala Cutu con Baccalà. Ho contribuito a farlo conoscere, Ascanio, per la mia parte, dopo aver visto a Roma ‘Radio clandestina’, spettacolo che ho portato a Spello. Poi il rapporto si è solidificato”.

E quanto li aiuti a diventare famosi…

“Costano tre volte tanto. Sta nelle cose”.

A proposito: chi ti è stato più riconoscente?

“Tutti e nessuno. Qualche volta qualcuno esprime giudizi positivi su Fontemaggiore per le possibilità che abbiamo aperto”.

Delusioni?

“Non ho mai fatto eventi ma progetti. Questo dà molta forza”.

Teatro Stabile: Franco Ruggieri e ora Nino Marino. Che ne pensi?

“Franco Ruggieri si è inventato lo Stabile in Umbria per cui tanto di cappello per la forza, la tenacia e determinazione di perseguire un progetto così ambizioso che è riuscito a  realizzare. Nino Marino rappresenta una buona continuità nel segno del nuovo. Ed è giusto che sia così”.

C’è qualcosa, in generale, che questa regione potrebbe fare di più per il teatro?

“La parola non mi piace molto perché abusata ma è: sinergia. Capisco che ci sono le logiche del singolo che deve rendere conto del proprio operato, ma se si potessero mettere in moto  relazioni diverse ne guadagneremmo tutti. Soprattutto il teatro. Di questo sono sicuro. Detto questo, i soggetti importanti ci sono ma servono risorse. Nostri omologhi in altri territori possono contare su ben altri investimenti e finanziamenti. Poi nel nostro ambiente accade che qualcuno lavori 5, 6 giorni anche senza stare a fare i conti, ma il lavoro va pagato, retribuito e riconosciuto”.

La nuova giunta regionale come la giudichi in questo senso?

“Per me l’assessore Paola Agabiti sta lavorando bene. La rispetto molto. Ha messo in moto energie che le precedenti giunte non stavano mettendo in campo. Certo, serve amio parere analizzare con attenzione, riconoscere e individuare le proporzioni di ogni singolo soggetto che fa cultura, le sue dimensioni, in quanti ci lavorano. Detto questo, trovare due bandi al di fuori delle risorse regionali non è cosa da poco. Agabiti lo ha fatto. Complimenti. Il taglio della giunta precedente del 60% dei fondi, seppure dovuto a questioni procedurali, è stato una mazzata per i nostri bilanci”.

Di Brunello Cucinelli e del suo impegno nella cultura che ne pensi?

“Che è un imprenditore illuminato che nella nostra regione mancava. E’ innegabile, è di fronte agli occhi di tutti quello che ha fatto. Che poi ne abbia anche un ritorno d’immagine è indubbio, resta il fatto che ha contribuito a mettere a posto il Morlacchi, che ha creato il teatro a Solomeo, che ha restaurato l’Arco Etrusco. Massimo rispetto per chi le cose le  fa, costruisce e mette in moto altre cose”.

Il complimento più bello che hai ricevuto?

“Dal capo ufficio stampa dello Stabile di Torino. Una signora di una certa età e di bellissimo aspetto che venne a farmi i complimenti per come avevo presentato il Premio Scenario a Torino”.

Il nome?

“Non l’ho mai saputo. Mi sono bastate le sue parole”.

Il Teatro Brecht è stato un bel regalo…

“E’ stata una bella conquista. Al Sant’Angelo non riuscivamo più a lavorare. Troppo piccolo il palcoscenico, spazi angusti. Non potevamo ospitare a Perugia spettacoli che eravamo costretti a dirottare altrove in Umbria”.

Oltre a Frondini,a chi ti senti di dire grazie?

“A Maria Rita Alessandri con la quale ho lavorato moltissimo sull’animazione, a Piero Giacché che mi ha insegnato a fare il teatro, che mi ha fatto conoscere l’altro teatro e al quale mi lega una amicizia vera; anche con Claudio Carini abbiamo lavorato bene”.

Domanda personale. Posso?

“Sentiamo”

Pensando ai tuoi genitori, Alviero e Wilma, pensi che sarebbero contenti della vita e della professione che hai fatto fin qui?

“Penso di sì. All’inizio mi chiedevano che lavoro facessi visto che quando rispondevo ‘il teatro’ non erano bendisposti. Devo che mi ha aiutato molto Il Tg 3 regionale: quando hanno visto che mi stavano intervistando hanno cominciato a pensarla in maniera diversa. Sapevano che guadagnavo quattro soldi, ma questa immagine pubblica in qualche modo li rassicurava sul mio futuro”.

Una definizione che possa andarti bene: operaio del teatro potrebbe andare?

“Operaio di sicuro. Della cultura mi piace di più”.

Buona vita, Stefano. Ci rivediamo a teatro.

 

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