“Timida” di Karen Righi: tra intimità e condivisione

Non semplice è esprimere il concetto di “timidezza”, soprattutto per chi la sente parte di sé. A provare a raccontarla è la fotografa Karen Righi che, negli ambienti di “La Fame” in via della Viola, a Perugia, espone sei scatti nella mostra che prende il titolo di Timida”. In realtà la particolarità dell’allestimento è che queste immagini, collegate fra loro, sono esposte a coppie, accompagnate dalla fotografia di un occhio, il mio occhio che osserva, ci spiega proprio Karen. È l’unico quadro che, dall’inaugurazione avvenuta circa due settimane fa, è interamente scoperto. Non solo, le sei immagini, poste a coppia hanno accanto ognuna un paio di forbici. Sono tre forbici diverse “perché ogni coppia deve avere la sua intimità”.

Ma partiamo dall’inizio. Karen la conosciamo bene, da anni, e di lei, la narratrice fotografica di storie, abbiamo sempre apprezzato la l’attenzione e il rispetto che mette in ogni particolarità che riesce a ritrarre con occhi limpidi. Ogni suo scatto parla di vita, di emozioni, di colori e di suoni, riusciamo a percepirne persino profumi e rumori, tanta è l’emozione che ogni sua fotografia riesce a rimandare a chi la osserva. Non c’è mai una fotografia buttata lì a caso, tanto per fare. Ogni volto ha la sua storia.
L’idea dell’esposizione – perché chiamarla “mostra” la mette a disagio, le sembra di darsi troppa importanza, lei che con la sua umiltà rimane con i piedi ben piantati a terra, e ha sempre un sorriso sincero per ogni persona che incontra – nasce quasi per caso “alla fine dalla scorsa estate, dopo Umbria Jazz, quando ho iniziato a frequentare più assiduamente via della Viola, nello specifico La Fame”. Il luogo in pieno centro storico non è solo un punto di ristorazione ma una sorta di ritrovo culturale dove non “si mastica solo cibo, ma arte”.

Per questo la scelta di Karen ricade sul locale, “lì, in maniera continua, ogni mese, c’è qualcuno che espone delle opere. Lì gravita molta arte, tra i frequentatori, ma anche fra i dipendenti e lo stesso proprietario, Giuseppe Matozza che è introdotto nell’associazione “Fiorivano le viole” ed è legato a tutto il fermento che c’è in via”. Chi va a La Fame “di solito ha qualcosa da dire”.

Karen Righi_Foto di Vinicio Drappo

Dopo aver frequentato alcuni eventi, arriva l’incrocio tra Giuseppe e Karen, l’invito del proprietario ad esporre e, in contemporanea, la richiesta della fotografa di poter fare qualcosa di culturale all’interno del locale. Ragionando in funzione del fatto che volesse anche lei fare qualcosa di bello a livello artistico per il luogo di cultura, Karen pensa subito alla fotografia, che è poi il suo modo di esprimersi.
“Sono passata per varie idee. La prima in realtà era quella di descrivere l’ambiente in cui mi trovavo, il posto, quello che accadeva lì dentro a livello fotografico” perché all’interno di La Fame si rimane svegli anche fino a tardi per confrontarsi su diversi temi “ho però poi realizzato che quello che accadeva lì dentro era bello che rimanesse fra le sue mura” vivere le emozioni, dunque, di persona.
“Timidezza” di Pablo Neruda

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Pensando poi alla difficoltà di stampare ed esporre i suoi lavori per via del disagio che prova a vedere fisicamente e non digitalmente le sue produzioni, arriva il concetto di “timidezza”. E il timido non si rivela agli altri se non con i suoi tempi, in base a ciò che lo fa sentire a suo agio, sicuramente un processo lungo e complicato. Perciò Karen prima sceglie cosa fotografare, anche se aveva già un sentore su come sviluppare questo suo pensiero, e poi arriva all’oggetto, il corpo. O meglio, alcuni particolari del corpo.
“Mi sembrava un buon elemento su cui lavorare perché una persona timida non espone generalmente il suo corpo in modo palese. Poi ci sono dei dettagli del corpo che comunque nell’essere umano in genere creano sempre un po’ di disagio quando arriva il momento di mostrarli”.   
Dopo aver scelto il corpo, Karen capisce subito che “sarebbe stato difficile mettere una fotografia nuda e cruda su una parete, non mi avrebbe rispecchiato”. Così nasce un percorso, un viaggio durante cui le fotografie sarebbero state svelate lentamente nell’arco dei giorni di esposizione. Anche perché, a seconda del livello di timidezza, cambiano le tempisriche del riuscire a raccontarsi agli altri. Il giorno dell’inaugurazione ogni foto aveva il suo velo nero a coprire precisamente la misura dell’immagine. Oggi possiamo invece vedere stralci dei corpi di ogni fotografia e iniziare a capire il collegamento. Un collegamento che però sarà completo solo al termine della mostra. “Ogni volta che vado a La Fame taglio dei pezzi di stoffa irregolari e senza mai uno schema preciso. Non ce n’è ancora una interamente scoperta”. Il taglio avviene a seconda del mood del momento. “Piano piano mi rivelo”, proprio come fa una persona timida. Questa la sua interpretazione, ma l’arte è anche interpretazione personale e “il concetto diventa soggettivo perché l’osservatore deve capire da sé come vivere l’esposizione. L’arte è anche soggettiva a livello di emozioni”.

Soltanto tu puoi tagliare i drappi di stoffa?

“Non è detto. Devo ringraziare molto, tra gli altri che mi hanno supportata, una persona, Vinicio Drappo, che mi ha aiutato ad affinare il tutto. Lui è autorizzato, come Giuseppe che ospita la mostra, a tagliare quando e come vuole. È capitato anche che qualcuno, non conoscendo bene il percorso dell’esposizione, abbia tagliato della stoffa. Perciò abbiamo anche la casualità che, alla fine, ci sta. Ci sono poi le persone che nella vita mi trasmettono qualcosa. Anche loro possono tagliare quando me lo chiedono. Li “autorizzo” a svelare la mia timidezza”.
Altra particolarità è un diario appeso accanto alle fotografie: “Sulla copertina c’è scritto “Che cos’è la timidezza?” ed è un invito a chi visita la mostra di esprimere, se vuole, il proprio concetto di timidezza. Ci sono già diversi pensieri. Pensieri belli, pensieri particolari, pensieri rivolti a me. Scrivere nel diario, alla fine, è un po’ rompere la timidezza, ma è anche momento di condivisione”.
“In corso d’opera mi sono resa conto di una cosa, per me importante. La gente quando entra spesso domanda il perché ancora le fotografie non siano state svelate del tutto. Questo, secondo me, rispecchia in pieno la frenesia che viviamo ai nostri giorni: tutto avviene velocemente, tutto è immediato. In questa mostra occorre adeguarsi a tempi diversi, più lenti, più scanditi a cui non siamo più abituati”.
“Ogni volta che taglio la stoffa – conclude Karen – così come a chi capita di farlo, mi tengo il pezzo di telo. Vinicio ha scattato delle immagini di diverse persone con i pezzi di stoffa in mano. Si è creato così un racconto nel racconto e il mio auspicio è che questi scatti magari siano utilizzati in progetti futuri”.

Francesca Cecchini: Giornalista pubblicista e ufficio stampa tra sport, teatro e musica. Penna e taccuino sempre in borsa, sono fermamente convinta che l'emozione più grande sia vivere ogni progetto "dietro le quinte", assaporando minuto per minuto quel work in progress che porta alla realizzazione finale di un progetto. Come diceva Rita Levi Montalcini: "Amare il proprio lavoro è la cosa che si avvicina più concretamente alla felicità sulla terra".