I consigli dello chef per un Natale sostenibile e più leggero possibile

TUORO SUL TRASIMENO – Natale, periodo magico e speciale, sempre sinonimo di abbondanza, luce, grandi tavolate e regali incartati in pacchi scintillanti.

Dalle decorazioni sfarzose, al consumismo eccessivo però, molte tradizioni natalizie comportano un aumento del consumo di risorse come l’energia, l’acqua e i materiali e hanno conseguenze negative sull’ambiente, ad oggi già così delicato e provato.

 

E se per una volta provassimo noi a fare un regalo alla nostra terra, attraverso un Natale sostenibile e il più possibile leggero?

Possiamo farlo seduti alla nostra tavola, attraverso la piccola grande rivoluzione di un menu natalizio interamente a base vegetale.

La produzione di cibo di origine vegetale ha infatti un impatto ambientale inferiore rispetto alla produzione di carne e altri prodotti di origine animale in quanto la coltivazione di vegetali richiede  meno risorse naturali come acqua e terra. Le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale sono ridotte, la biodiversità è preservata, gli animali salvati da torture e sofferenze.
Un Natale buono insomma, sotto tutti i punti di vista, anche da quello del gusto.

Ce lo conferma Emanuele Di Biase, vegan master chef da oltre 20 anni, titolare di una rinomata home restaurant sulle colline di Tuoro sul Trasimeno e direttore della Veganok Academy in Umbria, prima scuola in Italia per la formazione di professionisti vegan. Secondo Emanuele, le persone possono modificare le proprie idee e abbracciare un’alimentazione interamente vegana partendo dalla tavola, attraverso piatti gustosi sia dolci sia salati, annullando la sofferenza animale e aiutando il pianeta.

Come fare, ce lo racconta in questa intervista.

 

 

 

 

La prima domanda è perché. Qual è stata la molla che ti ha fatto intraprendere questa scelta di vita e portarla poi nel tuo lavoro?

 

Io nasco pasticcere, ho iniziato a 14 anni, mentre lavoravo frequentavo la scuola di cucina e pasticceria e son diventato uno chef. Ho sempre avuto un palato particolare e ho cominciato da giovane a fare i primi prodotti dolciari confezionati che poi finivano sullo scaffale. Da lì è venuta fuori l’esperienza che mi ha cambiato la vita: la più grossa azienda di carne italiana mi ha chiamato per realizzare un hamburger, facendomi visitare l’azienda. Una volta arrivato al macello e visto quello che non avevo mai visto, mi si è incantato tutto, sono andato via e dal giorno dopo ho detto “fine”. Non sapevo dell’esistenza di una filosofia, di un’etica, di un nome, non conoscevo la parola vegan né che dietro ci fosse un movimento di rivolta umano, ma da lì ho iniziato a dire basta e a trasformare tutto ciò che facevo prima: dai cornetti, alla pasta fresca, dai dolci ai salati. E sono passati 25 anni.

Poi la sperimentazione è diventata la follia della mia cucina perché già amavo quel lato della cucina, la ricerca e lo sviluppo che è la cosa più potente, e con questa nuova visione era come entrare nel parco giochi, creare ogni giorno una cosa nuova.

 

 

Lo stereotipo del vegano è una persona triste che si nutre di insalata e verdure grigliate. Come sfati questo falso mito?

 

Quando ero onnivoro il mio cibo era più o meno lo stesso: 3 volte a settimana il petto di pollo, pasta tutti i giorni, la bistecca, gli affettati, l’insalata e il tonno. L’alimentazione umana di una persona non vegana gira che ti rigira ruota sempre intorno a quegli ingredienti.

Quando hai invece l’esigenza di sostituire tutte queste cose vai alla ricerca di ciò che c’è nel mondo ed è venuta fuori una quantità industriale di ingredienti di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. Solo di verdure te ne potrei nominare migliaia, stessa cosa con i cereali con i quali puoi creare delle farine proteiche e preparare poi una carne vegetale. Io mangio 365 giorni all’anno, per ogni pasto, un cibo differente.

 

 

Sui tuoi canali social sei anche un divulgatore?

 

Quando metti a fuoco tutto, nasce una sorta di tua missione interna: c’è chi fa divulgazione con video, con manifestazioni o altri metodi, io la cosa più forte che ho nella mia vita è sicuramente la cucina, la pasticceria. L’unico modo per far capire alle persone che non c’è nessun sacrificio in una dieta vegetale, anzi, è far vedere loro cosa mangio tutti i giorni, cosa realizzo nei corsi e nelle dimostrazioni.

Forse io sono il vegano atipico, non faccio divulgazione mettendo l’accento sulle sofferenze animali, anche se è questo il mio pensiero, però ho sempre detto che non ha senso che ti parli di etica se tu l’etica non ce l’hai.

Ho visto che con la cucina potevo aprire tante porte quindi mi sono orientato su questo. La mia conquista è il cibo, nella mia home restaurant vengono anche i vegani, ma il 90% dei nostri clienti sono onnivori che ne hanno sentito parlare da altri onnivori, e questo mi fa capire che sto per lo meno aprendo la mente a molti di loro.

Nelle altre nazioni è molto più facile, nel senso che hanno un metro di paragone diverso dal nostro: mi piace-lo voglio, non mi piace-non lo voglio. Mentre qui abbiamo una storia alimentare che è profonda, una tradizione, giusta o sbagliata che sia, radicata e un profondo amore per il cibo.

 

 

A proposito di tradizione, cosa rispondi a chi dice che “si è sempre fatto così”, che la sera della vigilia si mangia il pesce e il giorno di Natale i cappelletti?

 

Rispondo che anche mio nonno andava col carretto e io ho la macchina! C’è un’evoluzione nel mondo in tutti i campi e ci deve essere anche nel cibo, tanto più per quello che sta succedendo a livello di pianeta. Il pianeta sta soffrendo e ce lo dimostra. Lo abbiamo massacrato in ogni modo e dobbiamo essere ora noi ad aiutarlo a rimettersi, tra virgolette, in sesto.

Sicuramente un’alimentazione vegetale produce meno gas e inquinamento, basti pensare che l’inquinamento di tutti i mezzi di trasporto del mondo è un terzo di quello prodotto dagli allevamenti intensivi. Inoltre, se un supermercato vende 100 chili di carne, significa che ne ha acquistati 500, che vengono poi buttati via, una follia dove inquiniamo per poi re inquinare.

E’ il momento di dare una svolta, di rimettere, per quanto possibile, le cose a posto.

 

 

Ci puoi fare un esempio di menu importante, adatto ad esempio per le feste natalizie?

 

Così su due piedi, dovessi stasera fare la cena di Natale lavorerei con gusti, colori e sapori.

Sicuramente partirei con un crudo perché è il miglior modo di far mangiare gli ospiti, spiegando loro che mangiando prima il crudo digerisci meglio anche se dopo mangi in maniera importante. Ad esempio un’insalatina gentile o mista con delle arance rosse a pezzetti e dei gherigli di noce per dare croccantezza e colore.

Poi almeno due antipasti dove di solito gioco con qualcosa di cremoso e morbido, come una vellutata di zucca e cocco o la storica e intramontabile fave e cicoria, avvincente e aromatica, per andare a finire con un secondo antipasto più croccante, una polenta fritta con i funghi o delle verdure pastellate.

Per il primo, essendo in una terra come questa, giocherei dei maltagliati all’aglione oppure una pasta, sempre rigorosamente fresca, acqua, farina e olio di gomito, con crema di broccoli o piselli.

Per il secondo un goulash con straccetti di soya, una buona quantità di cipolla, qualche pezzetto di peperone, carote, dei funghi e dei cubetti di patate. Volendo si può utilizzare invece della soya, del seitan o del tempeh. Qualcosa di aromatico, caldo, che scalda l’anima.

Per quanto riguarda il dolce, quello che preparerò io durante la sera di capodanno in cui sarò a fare una cena in un locale di Cortona, sarà una Sacher. Una Sacher particolare: creerò un calice con il cioccolato che poi farcirò con tutti quelli che sono gli ingredienti della torta.

 

 

Una domanda su un tema attuale: con tutte le varietà vegetali, dove per vegetale intendo le verdure, i legumi, la frutta, i semi oleosi e gli oli, le alghe e i funghi, che abbiamo e riconvertendo anche tutti i terreni che destiniamo all’alimentazione degli animali di allevamento, abbiamo davvero bisogno della carne coltivata?

 

Per me personalmente che esista o non esista la carne coltivata non cambia assolutamente niente perché io comunque non la mangerei. Detto questo, da vegano e amante profondo degli animali e del pianeta, se ciò servisse a ridurre l’inquinamento e il numero di animali che soffrono e facilitare il passaggio per quelle persone che non vogliono abbandonare il consumo di carne verso un’alimentazione vegetale, allora ben venga.

Anche perché ad oggi c’è in atto un cambiamento epocale e piano piano le cose stanno cambiando.

E’ giusto anche dire che la guerra che stanno facendo Coldiretti e company alla carne coltivata è una mera guerra di potere e di interessi economici dove non c’entra il benessere umano né tantomeno quello animale. Con la carne coltivata infatti gli allevatori saranno sempre meno, anche se poi l’America ci sta insegnando che gli allevatori possono diventare coltivatori. Stanno proprio attuando questa conversione da allevatori in agricoltori anche per il latte vegetale, tra parentesi tassato in Italia al 22% contro il 4% del latte vaccino, ed è giusto che invece le persone sappiano che la carne coltivata è veramente la soluzione, per il benessere animale, per il pianeta e anche per creare nuovi posti di lavoro.

 

 

Le ultime domande sono sulla nostra regione: perché hai deciso di svolgere qui il tuo lavoro e, in termini di scelta vegana, come sono gli umbri?

 

Sono arrivato in Umbria per amore di mia moglie e poi mi sono totalmente innamorato di questa terra e della sua varietà. Abbiamo deciso di impiantare il mio lavoro qui proprio perché è situata più o meno al centro dell’Italia ed è comodissimo per i miei ospiti. In più abbiamo vicino la terra che dovrebbe essere sacra, la terra di San Francesco, protettore degli animali, sembra un po’ assurdo ma sto cercando di riportare un po’ di luce su questo.

A livello di numeri non saprei, ma posso dire che tutte le volte che ho fatto qualcosa per la comunità come la Festa dell’Orto a Tuoro sul Trasimeno o la cena di beneficenza per un santuario animale di poche sere fa, sono arrivate tantissime persone e tanti umbri. Poi ovvio ci sono regioni più aperte e altre meno, devi capire qual è la strada giusta, qui ho capito che era il cibo e con lui ho aperto davvero tante porte.

 

 

 

 

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