Le api a rischio estinzione. Cosa fare per difenderle

PERUGIA – Vola di fiore in fiore, impollina, costruisce l’alveare dove vive in una comunità strutturata e fa il miele.

Quando pensiamo alle api più o meno a tutti vengono in mente queste cose.

Tutti noi sappiamo che la vita sulla terra dipende dal lavoro incessante di questi insetti e si parla anche molto della loro precaria condizione. Inquinamento di aria e terra, cambiamento climatico, monocolture intensive e uso di pesticidi, cementificazione di aree sempre più vaste e disequilibrio nell’avvicendarsi delle stagioni infatti, causano la distruzione del loro habitat naturale, riducono i luoghi in cui trovare il cibo e stanno di conseguenza portando questi insetti sull’orlo dell’estinzione.

Si sente tanto parlare di “moria delle api” ma cosa si intende realmente con questa frase? Considerando che al mondo ne esistono più di 20.000 specie, quali di queste sono in pericolo? E cosa possiamo fare noi per contribuire alla loro salvaguardia?

 

 

DIFFERENZA TRA API DA MIELE E API SELVATICHE

Siamo abituati a pensare alle api come un’unica grande specie eppure, pur essendo della stessa famiglia, l’ape da miele o domestica e l’ape selvatica hanno comportamenti ed esigenze molto diversi.

L’apis mellifera è stata allevata nei secoli dall’uomo per produrre il miele, la pappa reale, la propoli e tutto quello che l’articolato organismo dell’alveare produce. Per farsi un’idea di quanto antico sia il rapporto che lega l’uomo all’ape da miele basti pensare che la prima iconografia che raffigura un nido d’api e un cacciatore di miele, scoperta in Spagna sulle pareti della grotta Cueva della Araña, viene fatta risalire a circa 9000 anni fa, ossia al Neolitico. Anche se può suonare strano, ad oggi la maggior parte delle api da miele vive solo in allevamento, come un maiale o una mucca e non ne esistono quasi più in natura. Esse dipendono dal lavoro dell’apicoltore che si prende cura di loro e può intervenire in caso di problematiche o situazioni di emergenza.

L’ape selvatica invece non fa il miele, non costruisce alveari né vive in comunità con altre api. Di dimensioni più piccole, per via di conformazioni fisiche e biologiche spesso è “monolettica”, ossia si nutre di una sola specie di fiori. Vive in solitaria o in piccole comunità allo stato brado, cercando riparo nei tronchi, nei minuscoli fori degli steli o nelle buche del terreno.

Questi insetti così piccoli hanno in realtà una valenza ecosistemica enorme in quanto sono responsabili dell’impollinazione di circa l’80% delle piante di cui ci nutriamo (circa l’84% delle specie di piante e l’80% della produzione alimentare in Europa dipendono in larga misura dall’impollinazione ad opera delle api ed altri insetti pronubi – dati Ispra 2020).

Più fragili e delicate delle mellifere, dimenticate e poco considerate, con il loro habitat naturale sempre più ridotto e distrutto, sono loro le vere vittime dell’estinzione delle api ed è su di loro che bisogna riportare l’attenzione.

 

LA SITUAZIONE ATTUALE

Sono numerosi i recenti studi che riferiscono la situazione critica in cui versano api e altri insetti impollinatori.

Sì perché non solo le api contribuiscono ad impollinare e fecondare piante e fiori. Ci sono anche le temutissime vespe contro cui si fa guerra serrata, i bombi, le farfalle, le coccinelle ma anche i pipistrelli ed alcuni tipi di uccelli come i colibrì.

Ebbene, il Rapporto di valutazione tematico su impollinatori, impollinazione e produzione alimentare, pubblicato 2016 daIl’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) ha stimato che un numero crescente di specie di impollinatori è sull’orlo dell’estinzione a causa di fattori legati prevalentemente alle attività umane.

Lo Iucn (International Union for the Conservation of Nature, organizzazione non governativa internazionale con sede in Svizzera), ha pubblicato nel 2015 una Lista Rossa Europea delle Api evidenziando che il 9,2% delle 1965 specie di api selvatiche è in via di estinzione.

 

ADOTTARE UN ALVEARE SALVA LE API?

Negli anni, come soluzione a questo quadro preoccupante, ha preso sempre più piede la pratica di adottare un alveare per salvare le api.

Dopo aver compreso però la differenza sostanziale tra api mellifere e api selvatiche si capisce benissimo che adottare un alveare può forse contribuire a salvare o aiutare gli apicoltori, che hanno tutti i loro problemi e che andrebbero comunque tutelati, ma di sicuro non serve a niente se si vuole cercare di salvare le api. Anzi, poiché l’ape domestica è molto più competitiva di una selvatica quando si tratta di bottinare, tale pratica risulta addirittura nociva alla causa. Una proliferazione di alveari gestiti e curati dall’uomo con api più grandi e più forti delle selvatiche rappresenta quindi una minaccia per queste ultime.

 

 

COSA POSSIAMO FARE PER AIUTARE LE API

Fiori! Fiori! Fiori!

Tutti possiamo contribuire semplicemente piantando fiori autoctoni ovunque.

Ma non solo, tutti possiamo aderire al “No Mow May” (non falciare a maggio), iniziativa lanciata dalla Ong britannica Plantlife che invita tutti i proprietari di giardini e i gestori degli spazi verdi urbani a non falciare l’erba nel mese di maggio per lasciare spazio alla natura e lasciare che gli impollinatori compiano il loro ciclo vitale.

Un prato sano con un po’ di erba alta e fiori di campo avvantaggia la fauna selvatica, contrasta l’inquinamento e può persino bloccare il carbonio sotto terra. Senza contare che falciando il prato a inizio primavera si uccidono migliaia di insetti, larve e crisalidi che finiscono fatti a pezzi dalle lame.

Un giardino rasato come un campo da golf è un ecosistema morto che non porta nulla, un giardino punteggiato di fiori colorati è bello per gli occhi e fa davvero la differenza per le api, per il pianeta, per tutti noi.

Ancora meglio se decidiamo di installare un Bee Hotel, particolare casetta in legno che simula i luoghi dove le api solitarie, ma anche tanti altri insetti impollinatori, si rifugiano e svernano.

Stesso discorso per i parchi dove, ben venga il taglio lungo le strade di passaggio o presso le aree giochi dei bimbi, ma dove non c’è bisogno di radere al suolo fino al più piccolo filo d’erba.

Il comune, anziché precipitarsi a tagliare allo spuntare dei primi fiori, dovrebbe non solo ripensare il proprio piano di gestione del verde, ma sensibilizzare chiunque abbia un fazzoletto di terra a fare altrettanto.

Cosa che non è avvenuta ad esempio in molte zone di Perugia dove quest’anno i tagli nei parchi Chico Mendez, dellle Foibe e Rimbocchi sono avvenuti addirittura nelle settimane tra il 24 aprile ed il 2 maggio. Altro che No Mow May!

 

E infine, ricordiamo che possiamo sempre fare la differenza con i nostri acquisti: non finanziare la grande distribuzione con la sua frutta e verdura proveniente da culture intensive che uccidono la biodiversità ma sostenere un’agricoltura più rispettosa e in linea con il ciclo naturale della stagioni, può cambiare il mondo.

Le api, il Pianeta, i nostri figli e nipoti ringraziano.

 

 

Fonti:

https://www.isprambiente.gov.it/files2020/pubblicazioni/quaderni/declino-impollinatori_quaderno-ispra_20maggio2.pdf

http://www.iucn.it/pdf/Comitato_IUCN_Lista_Rossa_delle_Api_italiane_minacciate.pdf

https://ilbolive.unipd.it/it/news/mappa-mondiale-api

https://www.plantlife.org.uk/campaigns/nomowmay/

– Per il taglio erba a Perugia: file:///C:/Users/User/Downloads/Cronoprgramma_Taglio_2023_agg._05-05-2023.pdf

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