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Le esplosioni d’arte di Attilio Quintili

UMBRIA – Il primo focus di Vivo Umbria della rubrica dedicata all’arte contemporanea umbra frutto della collaborazione con Lorenzo Barbaresi della galleria GC2 è intitolato ad Attilio Quintili.

 

 

Quello che andremo a incontrare oggi – afferma Lorenzo Barbaresi – è un artista del tutto unico che in questi ultimi anni è riuscito  ad attirare l’attenzione di gallerie di importanza mondiale, tra le tante anche la galleria Montrasio di Milano e la galleria Contini London e numerosi altri musei.

Conobbi le sue opere quasi 10 anni fa e ricordo che fui istantaneamente colpito dalla forte contraddizione che emergeva dai suoi lavori tra la a ceramica tradizionale derutese e la ceramica informale-contemporanea la quale fonda le sue radici sugli studi fatti da Leoncillo e da molti altri maestri umbri.

Le sue opere trasmettono intrinsecamente il risultato di tutte la saggezza dei suoi avi che con la terracotta facevano oggetti indispensabili all’evoluzione del genere umano, riportato a ciò che è più disfunzionale cioè l’arte. Queste, infatti, seguono la forza degli elementi piuttosto che la maestria dell’artista, le sue opere nascono con una o più cariche esplosive che vengono fatte detonare all’interno del panetto di terracotta la successiva deflagrazione squarcia questo fragile composto segnandolo con movimenti e le forme che la cottura al forno renderà perenni.

 

 

Al primo appuntamento con il primo artista che incontriamo insieme a Lorenzo Barbaresi, entro nello studio in punta di piedi. Rigidissima e con le braccia che si fanno strette per non toccare nulla e la paura di distruggere tutto, sono emozionata. Fuori, tra i vicoli di una Deruta crepuscolare ferma nel tempo, ci attendeva l’artista: Attilio Quintili. Ci fa fare un primo giro del suo studio, poi, inizia a parlare.

 

Tutto è iniziato una sera di Capodanno di qualche anno fa. C’erano i miei nipoti che giocavano con raudi e miccette. Quasi per gioco ho inserito uno di questi in una delle mie argille: il risultato era stato innocuo, solo un piccolo foro sulla superficie. Ma da quel momento ho iniziato a pensare soprattutto su quale potesse essere l’equilibrio migliore tra il peso dell’argilla e la quantità di esplosivo.

Pian piano è diventato il mio modo di esprimere migliore. Si tratta di forme che non escono né dalle mie mani, né dalla mia mente: nessuno riuscirebbe a pensare alla forma che nasce da un’esplosione. 12 anni dopo questo concetto è maturato molto. L’ho approfondito e calibrato al meglio che ho potuto.

Nel vicinato mi conoscono e non si preoccupano dei botti che ogni tanto si sentono, anche se, a volte c’è chi pensa si tratti di qualcosa di più funesto. Insomma, dopo anni di intenso lavoro sono riuscito a trovare la giusta proporzione affinché le ceramiche possano ripiegarsi su se stesse invece di dilaniarsi

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Non sempre riesce però riesce l’esperimento, a volte rimangono i frammenti.

 

 

 

 

Il bello di queste esplosioni è che rimane l’impronta dell’esplosione.

 

 

 

 

Seguendo le tradizionali tecniche derutesi con l’apposizione dello smalto, si andrebbe a coprire queste tracce. Così ho scelto la tecnica del bucchero, dove grazie alla ossidoriduzione (fumo nel forno) il materiale diventa nero, lasciando visibile il segno dell’esplosione. Questa è stata un’intuizione che ha rappresentato una svolta per me.

 

Contemporaneamente le ho sciolte, l’esplosione viene immersa nell’acqua dove resta la posa e poi la muffa.

 

 

 

 

Ora immergendo il materiale nell’acqua, nego completamente la forma, al suo posto rimane solo l’argilla. È questa l’idea che mi spinge e che mantiene la mia voglia in me di fare.

La prima di queste l’ho versata sul Monte Subasio. E pensare che volendo si potrebbe anche tornare indietro perché quell’argilla ormai sulla terra contiene le informazioni su tutto quello che prima poteva essere stata.

Ha un tuo nome la tecnica che utilizzi? 

La tecnica “Informale” che ho scelto non è nemmeno una corrente artistica, semplicemente significa dire a me stesso che non mi riconosco in alcuna forma. Ho preso consapevolezza di non essere il mio corpo, di non essere il frutto della mia mente, figurarsi delle mie mani. E le esplosioni rispecchiano questo concetto: la mente umana non può partorire queste forme e in questo modo io non posso far altro che negare la paternità di queste opere.

 

La ceramica tra le varie forme artistiche è del tutto particolare, basta pensare al colore.

Quando si decide un colore si deve necessariamente considerare il processo di cottura, come parte di ciò che contribuirà ad arrivare al colore che hai pensato, il quale spesso è diverso. Si tratta di un ulteriore passaggio che elimina l’apporto dell’uomo, grazie all’elemento del fuoco, che si pone come un giudice della tua opera.

La serie rossa che ho fatto è arrivata dopo 12 anni.

Sono partito dall’argilla, sono passato al nero bucchero, poi alla porcellana bianca (non smaltata). Ognuno di questi materiali dona dei risultati diversi con la chimica esplosiva. Ad esempio, la porcellana cotta a 1250 gradi, molto più dura, lascia questi gretti, delle crepe molto visibili.

A me interessava il bianco e il migliore dei bianchi nella ceramica è la porcellana.

 

 

 

 

Questi sono 25 selezionati dai frame dei 60 che compongono di 1 secondo di video. C’è una nuova forma dopo l’esplosione.

 

 

 

 

Dal nero al bianco e poi al rosso, come?

Il rosso è molto legato al mondo dell’alchimia ma è tutto ricollegabile ad un caso. Avrei dovuto presentare la mostra Rosso alla Galleria GC2 il 1 marzo del 2023 ma per motivi, appunto, casuali è stata spostata al 9 dello stesso mese: era il giorno prima del venerdì santo e il giorno dopo la morte di Cristo. Ho avuto l’illuminazione: nell’alchimia questo ha un suo riflesso, la rubedo. Il rosso nell’alchimia rappresenta il limbo tra la morte e la resurrezione. Il rosso è l’inizio della rinascita.

L’argilla è il momento dell’introspezione, quando l’uomo si guarda dentro, quando inizi a scavare dentro ecco quindi il nero o la nigredo nell’alchimia. Un riflesso anche della mia vita che è durato 10 anni.

Quando poi si riemerge ecco il bianco. Ma anche qui il caso ha voluto che non fosse così: il risultato dell’esplosione era che io avevo tra le mani un bianco sporco. Pensavo di essere in una certa fase ma le ceramiche mi hanno fatto capire che così non era. (serie OFF WHITE, BIANCO SPORCO)

Per arrivare al rosso infine si deve aver superato il bianco. Il rosso è quindi l’elemento di passaggio fra la vita e la morte.

 

IN CHE DIREZIONE TI STAI MUOVENDO ADESSO?

Ora tutto il lavoro è incentrato su San Francesco.

Il mio prossimo progetto sarà ambientato nella valle santa reatina dei quattro santuari, i quali formano una perfetta croce: il santuario di Greccio, di Fonte Colombo, della Foresta e di Poggio Bustone. In ognuno di questi San Francesco si è fermato e sono successe delle cose incredibili. La figura di San Francesco è molto legata all’acqua e al suo simbolismo e difatti, in ogni santuario c’è la presenza di una fonte. Così ho deciso di prendere l’acqua che sgorga da questi santuari per mettere in atto quattro scioglimenti. Per ribadire la negazione di qualsiasi forma come impulso della mente.

 

Lorenzo: un particolare che non abbiamo specificato è che le acque provengono sempre da delle zone “importanti” che hanno dato vita a civiltà o a eventi storici, a Terni sono state utilizzate le acque del Nera che diedero vita e sostentamento alla civiltà degli Umbri. Stesso discorso per gli scioglimenti con l’acqua del Tevere e gli Etruschi.

 

E questa testa?

Tarquinia nel passato è stato un posto dove le famiglie delle classi più benestanti decidevano di passare i loro ultimi anni di vita. L’attenzione al defunto, con tutte le sue tecniche di inumanazione, è ben visibile al museo archeologico di Tarquinia dove sono conservate benissimo delle tombe etrusche.

La Testa e il Vaso Canopo (che contenevano le ventri del defunto) si trovavano all’interno delle tombe di questi personaggi facoltosi così da rendere loro omaggio.

Io ho creato tre vasi canopi aggiungendo ad ognuno una “testa esplosa”, ora esposti al Museo Archeologico di Tarquinia

I riflessi argentati sono un altro frutto del caso: sono emersi spontaneamente al momento della lavorazione del nero bucchero.

 

 

 

 

Quando hai capito che volevi fare questo nella vita?

Prima di tutto questo io lavoravo con le tradizionali tecniche della ceramica derutese come quella del lustro (antico metodo decorativo che produce effetti cromatici iridescenti). Mia madre dipingeva i famosi piatti di Deruta. Mi sono iniziato subito a fare domande.

Ho ben presto capito che il frutto del mio lavoro doveva essere l’essenza di quello che volevo dire.

 

Non senti un senso di colpevolezza di fronte all’esplosione della ceramica?

No assolutamente no.

L’informale è un linguaggio universale. Per Douchamp la perfezione era la ricerca della partita patta nel gioco degli scacchi, dell’equilibrio tra il bianco e il nero. Questo significava perdersi nel linguaggio universale.

 

La spiritualità e l’artista vanno sempre di pari passo?

L’arte è umana, è frutto della mente umana. Ma è una mente che abbiamo sopravvalutato nel tempo, altrimenti come è possibile che questa testa da millenni partorisce sempre gli stessi errori?

La spiritualità e la materia sono due facce della stessa medaglia, anche di noi stessi. La prima ci aiuta a cercare il sacro e ognuno la mette in atto come crede. Ma da sola non è sufficiente. Il sacro è perdersi nella “partita patta”, ma significa perdersi appunto, non la racconti. Nessuno può raccontarti della nostra vera essenza perché è fuorviata dal nostro essere uomini. L’amore è l’unica cosa che ci si avvicina, dopotutto che cosa resta di noi se non l’amore che doniamo?

L’informale che intendo io è questo: guardare un’opera e immergersi insieme ad essa. Diventare un tutt’uno.

 

Do ut des tra artisti: hai un’artista umbro in mente che ammiri e che vuoi menzionare?

In termini artistici e spirituali (a tratti persino medievali) farei un riferimento a Bruno Ceccobelli. Ha indagato nella vita e ha sempre cercato questi aspetti dell’anima.

Anche Marco Tirelli ritengo sia una grande personalità artistica umbra.

L’arte è consapevolezza. Io devo giustificare la mia arte con il percorso che ho fatto e le mie opere effettivamente mi comunicano tranquillità e consapevolezza.

 

LORENZO

Non è facile trovare artisti di questo calibro. Nell’arte c’è anche molta arte-fazione, dove mancano soprattutto i contenuti che portano ad un determinato processo produttivo. Quando ho approfondito i temi dietro le “Esplosioni” di Attilio Quintili mi sono subito reso conto che quello che era stato per me una semplice attrazione dovuta dell’estetica dell’oggetto aveva invece innumerevoli risvolti spirituali.

 

 

Che rapporto hai con le altre arti?

Non ascolto musica, non la conosco e non l’ho studiata e di questo me ne rammarico.

Mi piace la poesia ma ha un grosso limite: le parole che conosciamo. È vincolata fortemente a un limite umano: scriveresti una poesia con le stesse parole se ne conoscessi un giorno di nuove, magari migliori? Un nostro grande limite sono i concetti che abbiamo perché frutto delle parole che conosciamo.

 

 

 

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