L’Umbria che spacca: 4 giorni e 4 palchi che coincidono con 4 dimensioni molto diverse

PERUGIA – Se di notte incontri per le vie del centro storico di Perugia Aimone Romizi e Marco Pierini sai già che rimarrai a parlarci almeno mezz’ora. Non del Perugino, che pure, figuriamoci, a Romizi piacerà parecchio. Ma di musica, perché se c’è un sacro fuoco che ormai da tempo unisce i destini del direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria e del frontman dei Fast Animals and Slow Kids è proprio questo. Destini che di sicuro a beneficio del mondo là fuori si uniscono ogni anno nei giorni dell’Umbria che spacca, il festival che Romizi e i suoi Roghers si sono inventati dieci anni fa e che pian piano è cresciuto fino a diventare uno dei più importanti nel panorama italiano. Rock, pop, indie, mainstream: ma i concetti di indie e di mainstream ormai sono confusi al punto che forse non è più nemmeno sensato ragionare in certi termini. Provate ad affrontare la questione con Romizi all’una di notte davanti alla Fontana Maggiore. Non se ne esce più, non se ne viene a capo. Dieci anni fa era diverso, magari, ma oggi il mondo della musica, e soprattutto della musica dal vivo, risponde a logiche fluide, spesso inafferrabili. Dopo la pandemia, poi, a maggior ragione.

Di sicuro L’Umbria che spacca è cresciuto, dicevamo, e basta scorrere il programma dell’edizione 2023, la decima, per rendersene conto. Quattro giorni, da domani, 29 giugno, a domenica, e quattro palchi che coincidono con quattro dimensioni molto diverse.

A saltare all’occhio subito è il Main Stage: dalle 19 in poi al Frontone, dove a Perugia se si parla di musica sono successe molte delle migliori cose degli ultimi cinquant’anni. Domani sera  Nobraino e Lo Stato Sociale, in una delle prime uscite dopo la morte del produttore e manager Matteo Romagnoli.

Lo Stato Sociale

Per la band emiliana non può essere un tour come gli altri. Dopo domani, 30 giugno, Fabri Fibra e Big Mama, e questo è sold out.

Fabri Fibra

Sabato 1 luglio Verdena ed Elephant Brain. Domenica serata, 2 luglio, finale a ingresso gratuito (arrivate presto, suggerisce lo staff) con Finley, Naska, Lost e Dari.

Verdena

Dall’altra parte della strada c’è quel gioiello del complesso di San Pietro, dove i benedettini fecero nascondere una manciata di ribelli il 20 giugno del 1859 mentre la soldataglia papalina faceva scempio in città. Se a Perugia esiste un bel modo di essere preti, o meglio frati, è portando avanti l’eredità benedettina. Con L’Umbria che spacca è tutto molto meno drammatico, qua è una questione di chitarre e non di schioppi: si suona all’alba in quello che il festival ha ribattezzato Garden Stage, il palco dell’Orto Medievale. Nell’ordine, da dopo domani a domenica, tocca a Generic Animal, Giovanni Truppi e Melancholia. Ma occhio, è tutto esaurito.

Sempre a San Pietro, ma nel parcheggio della facoltà di Agraria, storica sede di memorabili feste d’estate, c’è l’Unipg Stage. Quattro serate a ingresso gratuito, a partire da domani sera, sempre dalle 20 in poi: Conundeca, 80s vs 90s, 1 Hour e Bounce.

Infine, l’affaire tra Romizi e Pierini, il risvolto pubblico delle notti di chiacchiere, e cioè La Galleria che spacca. Trovata semplice quanto illuminante: portare dei musicisti tra le pale rinascimentali della Galleria Nazionale dell’Umbria, e farli parlare di pittura prima di farli suonare.

Daniele Tinti e Stefano Rapone

Domani ci sono Daniele Tinti e Stefano Rapone, e loro sarebbero in verità degli stand up comedian. Dopo domani Piero Pelù, e sarà un pomeriggio leggendario. Poi Ditonellapiaga, sabato, e Tricarico, domenica. Pure qui, sold out.

Per Perugia è l’inizio di un periodo di fuoco. Tra una settimana arrivano Bob Dylan e Umbria Jazz, intanto si prendono la scena quelli che di Dylan potrebbero essere i nipoti. Sarà una lunga e faticosa festa, L’Umbria che spacca, per chi verrà ai concerti e per chi farà in modo che tutto vada come deve andare, uno stuolo di ventenni e trentenni armati di passione e sempre maggiori competenze. Un patrimonio nel patrimonio comune che è questo festival, di cui la città è forse meno consapevole di quel che dovrebbe.

 

 

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