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Nello scrigno della chiesa di San Benedetto dei Condotti spicca l’esposizione degli antichi strumenti

PERUGIA – Tra i tesori artistici nascosti nel capoluogo umbro, sicuramente merita una giusta valorizzazione e riscoperta la chiesa di San Benedetto dei Condotti, scrigno tardogotico che offre preziose testimonianze della pittura perugina del Quattrocento e dei primi del Cinquecento. Edificata nel borgo Sant’Angelo nel XV secolo per una comunità di frati agostiniani, la chiesa prendeva inizialmente il nome di Santa Maria Novella. Fu poi affidata alle brigidine e nel 1644 passò alle suore silvestrine che intitolarono la chiesa a San Benedetto dei Condotti, in riferimento alla posizione della chiesa che sorge in cima al tratto cittadino del vecchio acquedotto. Si deve alle suore silvestrine la divisione, tuttora apprezzabile, in due distinte zone della chiesa, una parte aperta ai fedeli e l’altra riservata alla clausura. Rimaste in poche, nel 1820 le silvestrine furono accolte in monasteri limitrofi e la chiesa divenne parrocchia fino alla chiusura del 1970.

Grazie al restauro degli ultimi decenni, è tornato alla luce parte del ciclo pittorico originale che ornava le pareti della chiesa, come la Visione di Santa Brigida dell’eugubino Ottaviano Nelli, e pregiati affreschi non firmati, riconducibili ai pittori della cerchia di Gentile da Fabriano (impegnati, poco tempo prima, a Foligno per la decorazione della Sala dei Giganti di Palazzo Trinci). Altre opere, un tempo presenti a San Benedetto, sono ora esposte alla Galleria Nazionale dell’Umbria, tra queste la Madonna della Consolazione dipinta dal Perugino tra il 1496 e il 1498. Di grande valore anche lo splendido pavimento del 1500 realizzato in maiolica di Deruta.

 

 

Il complesso religioso è attualmente sede dell’Adisu (Agenzia per il Diritto allo Studio della Regione Umbria) e, grazie all’accordo firmato con la Fondazione Bernardini e l’Associazione Arte e Musica nelle terre del Perugino, la chiesa di San Benedetto dei Condotti è diventata uno spazio espositivo per la Collezione di strumenti musicali antichi creata dal musicista Daniele Bernardini: un prezioso tesoro artistico che custodisce al suo interno un patrimonio culturale e strumentale eccezionale. Purtroppo, gli orari di visita della chiesa e dell’esposizione degli strumenti musicali sono vincolati all’apertura degli uffici dell’Adisu, ma sabato 24 febbraio, grazie all’apertura straordinaria in occasione della Giornata internazionale della guida turistica, circa centosettanta visitatori hanno avuto la possibilità di scoprire un angolo nascosto e incantevole di Perugia.  L’interessante percorso guidato ha esplorato dapprima due edifici simbolo di Borgo Sant’Angelo e della città, il Cassero (la grande torre che si erge in uno dei punti più alti e panoramici di Perugia), e la chiesa di San Michele Arcangelo, il noto “tempietto” di forma circolare, chiesa tra le più antiche d’Italia.

Giunti infine a San Benedetto dei Condotti, i visitatori hanno potuto ammirare la ricchezza artistica della chiesa e i circa cento strumenti antichi esposti: flauti, tastiere storiche, arpe, violini. Tra i flauti traverso, costruiti tra il 1750 e il 1930, spiccano: un flauto in avorio e argento datato 1820, un altro flauto dell’Ottocento del costruttore milanese Rampone in argento massiccio decorato con fregi floreali, e il flauto brevettato dal grande flautista ternano Giulio Briccialdi, uno dei rari esemplari conservati in Italia. Strumento decisamente originale è il flauto bastone, un vero e proprio bastone da passeggio in ebano che, grazie a fori a sbalzo in argento, permetteva di intonare melodie mentre ci si rilassava al parco. Uno degli strumenti più pregiati della collezione è il flauto diritto contralto del 1725, rarissimo modello costruito dal veneziano Castel, in bosso tinto ad esaltare le venature del legno, dotato di quattro anelli di corno e sei chiavi d’ottone.

 

 

Tra gli strumenti a tastiera troviamo gli “square piano” databili tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, delle tastiere mute da carrozza (con la sola tastiera e senza meccanica, per esercitarsi senza disturbare), un “dulcitone” – strumento inglese di fine Ottocento che al posto delle corde ha diapason che creano un effetto magico e fatato – e ancora fortepiani a coda. Di grande rilievo il clavicembalo del prestigioso marchio francese Pleyel, ideato e fatto costruire all’inizio del secolo scorso dalla grande clavicembalista polacca Wanda Landowska per riscoprire tutto il repertorio bachiano. Per quanto riguarda gli strumenti ad arco, da segnalare un violino del 1790 del liutaio perugino Pietro Pallocca e una “pochette”, strumento piccolo e sottile a 4 corde, ricavato da un blocco unico di legno, e utilizzato dai maestri di danza a corte.

In esposizione, oltre agli strumenti musicali antichi, troviamo parte della ricca collezione di volumi di teoria didattica, partiture, manoscritti ed enciclopedie della Fondazione Bernardini. Degne di nota le edizioni settecentesche di due fondamentali trattati strumentali: il celebre saggio per flauto scritto da J. J. Quantz, riferimento imprescindibile per la tecnica flautistica, e il trattato per violino di Leopold Mozart, caposaldo della didattica violinistica scritto dal grande musicista austriaco che, da grande maestro, ebbe il merito di riconoscere e coltivare la genialità del figlio Wolfgang Amadeus.

 

 

 

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