Pietro Paris: il contrabbasso per scoprire cosa c’è sotto la superficie del jazz. Questa sera in concerto a Palazzo della Penna

PERUGIA – Questa sera, in due set alle ore 19.30 e alle 21.30, il contrabbassista perugino Pietro Paris presenta in concerto a Palazzo della Penna il suo album d’esordio “Underneath”, uscito lo scorso 7 dicembre per la Encore Music.

Oltre a Paris, completano il quartetto il trombettista Paolo Petrecca, il pianista Manuel Magrini e il batterista Lorenzo Brilli, a cui si aggiunge l’ospite Lorenzo Bisogno al sassofono.

Del nuovo album, del suo percorso di formazione musicale e umana parliamo con lo stesso Pietro Paris.

 

 

 

Intanto diciamo che fai parte della generazione dei quarantenni del jazz, gente che ha consolidato già un buon background e che sente il bisogno di dire la sua nel jazz e nella musica. Giusto?

 

 

“Credo che sia una questione di autenticità, piuttosto che di originalità. Esprimersi in qualche modo è un’esigenza che va fatta fiorire. E’ impossibile partire dal presupposto di continuamente dover cambiare la storia della musica, ma ognuno di noi ha questo rapporto con l’autenticità nel dire qualcosa che sia proprio, che sia personale. Soprattutto nel jazz, credo sia difficile da contenere e do non relazionarsi a quello che è stato…”.

 

C’è una linea di continuità, insomma…

 

“Assolutamente sì”.

 

Pochi giorni fa ho scritto un articolo su Charlie Mingus che aveva un suo ruolo specifico nell’ispirare e indirizzare la musica del suo gruppo. E’ il ruolo che si addice anche a te?

 

“Charlie Mingus è stato un band leader e soprattutto un compositore e l’ideatore di un suono con una personalità musicale profondissima e soprattutto con una capacità di scouting molto spiccata. Addirittura la leggenda vuole che la collaborazione con Dannie Richmond sia stata una sorta di “mi sono cresciuto il batterista per il gruppo che vorrei tra qualche anno”. Però potrei parlare anche del sodalizio con Eric Dolphy. In Mingus convergono diverse forme: il compositore, l’uomo, il musicista e un’idea di suono molto forte che riesce a mettere in connessione persone perfette per quella musica. Dal mio punto di vista l’idea è che il contrabbasso questa cosa un po’ la suggerisce intimamente, perché è lo strumento che per sua natura specialmente fa un po’ da mediano tra i musicisti; propone e se propone lo fa con assoluto garbo e con assoluta educazione dietro le linee e soprattutto percepisce le proposte dei vari musicisti della band”.

 

Il collettivo. In questo album suoni con musicisti che conosci bene e con cui condividi molte esperienze: Magrini, Bisogno… che tra l’altro fanno riferimento all’ambito perugino del jazz…

 

“Diciamo che ho due “case musicali” qui in zona; una è Perugia che per tanti motivi è una città di jazz e l’altra mia comunità di adozione è Siena, dove ho studiato. In particolare qui ho trovato nella generazione a metà, diciamo più giovane della mia delle persone con cui veramente condividere la musica, ma anche la vita, perché poi siamo profondamente amici, siamo più che colleghi. Tanto è vero che è nata Hatanbeard che è questa associazione di promozione sociale che si occupa di connettere le persone non addette ai lavori con quello che facciamo. Il sodalizio è stato profondo secondo me anche perché è molto rispettoso e curioso delle differenze e delle peculiarità degli altri. Tu hai citato Manuel Magrini, straordinario pianista che riesce a coniugare la musica classica, la cura dello studio dello strumento con l’improvvisazione jazz e io sono molto curioso nei suoi confronti, dato che io sono un po’ più radicato nel jazz e soprattutto nell’improvvisazione libera. La stessa cosa per il rapporto viscerale che ho con Lorenzo Brilli che è un incredibile batterista ma è anche un percussionista classico con una bella esperienza., E’ come cercare degli stimoli gli uni con gli altri”.

 

Come valuti la relazione tra letteratura e musica, tra parola e jazz? Per esempio, come nasce il riferimento al secondo brano del tuo album dal titolo “Euripide”?

 

“Devo fare una brevissima premessa, Sono appassionato all’arte e alla letteratura e di conseguenza alla musica. E se ci si avvicina alla musicologia o all’affrontare alcuni argomenti, credo che siano anche necessari. La musica non trasportando mai oggetti o concetti, rischia un po’ di diventare una gabbia nella quale non si riesce mai a fare un’operazione di sintesi. Uscirne e fare riferimento ad altri ambenti è uno stimolo fortissimo. Qual brano è stato scritto nel periodo in cui mi avvicinavo ad alcune letture specifiche sulla tragedia, soprattutto dal punto di vista nietzschiano, nel senso di fare un’operazione di sintesi per cercare di capire quanto c’è di apollineo o di “bacchiano “ nel senso di Bacco. Euripide nelle Baccanti parla propria della follia, parla del dionisiaco. E parla proprio di come certe cose siano incontrollabili. E c’è da fare probabilmente un’operazione nella vita di tutti i giorni: una sorta di accettazione e di rinuncia nel dover dominare costantemente le cose con la ratio”.

 

Sì, anche perché siamo di fronte giornalmente a contraddizioni evidenti e quindi se non fai riferimento a quel minimo di follia dionisiaca, è difficile accettare e metabolizzare il tutto…

 

“Assolutamente. E’ difficile capire ed è difficile fare quel passo in profondità. Sia dentro di noi che fuori. Probabilmente la nostra società è una società che fa della comprensione razionale l’unico ed esclusivo strumento di confronto. In realtà è possibile che ci siano delle comprensioni su piani diversi, su piani più emotivi e irrazionali”.

 

Insomma, cosa c’è sotto Underneath?

 

“Diciamo che il fulcro del disco è l’idea del processo, della ricerca. Nel senso che sia artisticamente che artigianalmente è difficilissimo fare delle fotografie delle cose, ma è più facile raccontare quello che si va a fare, la direzione che si sta prendendo. E’ più facile spesso dire sto andando in quella direzione. Diciamo anche che negli ultimi anni questa è stata una direzione verso il basso: cercare di andare in profondità nelle cose, nella musica, in profondità nel contrabbasso, nei rapporti, nella letteratura, nella consapevolezza artistica. Diciamo che questo è il leit motiv del disco e del gruppo con cui sto suonando, perché poi sono persone con cui condivido questa ricerca in profondità”.

 

Laurea triennale in Fisica poi la scelta definitiva della musica. E’ stata una scelta sofferta oppure no?

 

“In parte no e in parte sì. Diciamo che è stata una scelta un po’ agrodolce, perché vengo da una famiglia in cui lo spirito scientifico è importante. Mio padre è medico e da ragazzino mi ha sempre spinto in quella direzione, ho sempre suonato e le due cose erano in qualche maniera sempre presenti. Fare l’operazione di tagliare un po’ uno dei due cordoni sicuramente ha lasciato dei piccoli dispiaceri. Però, d’altra parte si apre comunque una storia e non puoi fare ameno di notare che certe esperienze hanno sì che tu oggi sia questo musicista. Per cui alla fine è una combinazione molto curiosa, ma dell’esperimento se così si può definire, sono soddisfatto”.

 

Otto brani originali compongono l’album. Sono tutti tuoi?

 

“Sì, mi piace molto la composizione, mi piace scrivere dei brani su cui sia bello improvvisare che lascino spazio ai musicisti. E’ anche bello lasciare delle parti senza un arrangiamento deciso, ma arrivare alle prove e dire: “Come senti questa cosa, cosa ti piacerebbe suonare qui”.

 

Claudio Bianconi: Arte, cultura, ma soprattutto musica sono tra i miei argomenti preferiti. Ho frequentato il Dams (Scienze e Tecnologie delle Arti, dello Spettacolo e del Cinema). Tra i miei altri interessi figurano filosofia; psicologia archetipica; antropologia ed etnologia; fotografia-video; grafica, fumetti, architettura; viaggi.