“Scuola: ora è il momento di passare dall’alternanza all’alleanza Scuola-lavoro”

PERUGIA – Dall’Agenzia Umbria Ricerche riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Elisabetta Corbucci ANPAL Servizi – Area Territoriale Umbria Toscana.

“Le riflessioni illustrate nel documento [1] sono frutto di 12 anni di progetto FIXO, il programma nazionale del Ministero del Lavoro gestito da ANPAL Servizi, unico in Italia per estensione temporale e territoriale, che ha supportato con risorse ingenti prima le università poi nel tempo tutti i livelli di istruzione, dalle scuole ai CFP, per affermarne il loro ruolo come attori del mercato del lavoro. I contenuti derivano quindi da un lavoro in cui chi scrive è stata chiamata a “sporcarsi le mani” sul tema del rapporto fra scuola e lavoro e che ha però man mano ampliato i confini del campo di azione e di studio al rapporto fra scuola/territorio/sviluppo. Il perimetro di osservazione è circoscritto all’istruzione superiore di secondo grado.

Alla base dei ragionamenti proposti c’è la radicata convinzione circa il ruolo determinante che la scuola deve e può giocare non solo come attore del mercato del lavoro ma come soggetto determinante dello sviluppo locale. Parlare di sviluppo a livello locale significa:
·         partire dal presupposto che sviluppo non è la sola crescita economica ma crescita qualitativa e sostenibile declinata anche in termini di distribuzione della ricchezza e di benessere della comunità;
·         identificare i fattori di crescita locale: ambiente naturale, capitale infrastrutturale e culturale, lavoro, ma anche capitale umano, sociale;
·         innescare innovazione attraverso la valorizzazione/costruzione di filiere di conoscenza.

Se si considera il locale come dimensione attiva nei processi dello sviluppo, il modo di pensare il territorio deve essere coerente con tale visione. Vanno cioè tenute in conto differenze, specificità e identità territoriali così come le relazioni sociali che insistono sul territorio stesso, frutto delle intenzionalità e dalle azioni dei soggetti locali. La dimensione locale è quindi in grado di porsi come operatore attivo dei processi dello sviluppo solo se e quando gli attori locali definiscono azioni collettive rivolte al riconoscimento del ruolo svolto dai valori e dalle risorse territoriali, cui si accompagna la loro stessa capacità di azione e di autoorganizzazione (Memoli [2] 2017).

Molti mezzi e strumenti diversificati sono stati messi in campo negli ultimi decenni per favorire l’adeguamento e la convergenza fra attività didattiche degli istituti di istruzione superiore e territorio in cui operano, con una focalizzazione spinta sull’identificazione del territorio con il sistema produttivo locale: dalla flessibilità e piegatura della didattica fino alla didattica per competenze, dai processi per la programmazione dell’offerta formativa, ai Comitati Tecnico Scientifici e ai più recenti Laboratori Territoriali per l’Occupabilità, dall’Alternanza scuola lavoro al sistema duale con l’apprendistato di primo livello.

Con toni un po’ tranchant si può però affermare che le caratteristiche costitutive ed organizzative delle scuole, a partire dall’assenza di figure strutturate di alti profili al di fuori della didattica per arrivare alla grande mobilità di tutto il personale, docenti e dirigenti, che si accentua enormemente nelle aree più disagiate, tendono a favorirne la natura sostanzialmente conservativa. A ciò si aggiunge la frequenza delle riforme che investono ciclicamente il sistema di istruzione che faticano a produrre i risultati sperati nel tempo che intercorre fra una riforma e l’altra.

In sostanza, ai molteplici sforzi fatti sul piano legislativo e strumentale, non corrisponde in egual misura l’evolversi del dialogo sistematico fra scuola e territorio e, a maggior ragione, non risultano ancora compiuti e diffusi i percorsi, gli strumenti e le valutazioni sul contributo della scuola allo sviluppo locale. Se questa è la realtà come risulta dall’esperienza sul campo, la scuola può davvero essere un soggetto strategico dello sviluppo territoriale? Con quali formule e ingredienti? E come favorire la partecipazione degli studenti? Ma gli studenti sanno cosa sia lo sviluppo locale? e qualcuno riflette con loro come potrebbero contribuirvi?

Interazioni possibili

Le leve per rendere le scuole protagoniste delle dinamiche territoriali esistono, sono ben codificate nelle norme e nelle prassi e risiedono tanto nelle mani degli Enti locali, in primo luogo nell’ambito della programmazione territoriale dell’offerta formativa – demandata a Regioni e Province e nella quale rivestono un ruolo importante anche i Comuni – quanto nelle istituzioni formative, insite nei diversi strumenti di cui sono dotate, primo fra tutti il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF).

Se le leve istituzionali che disegnano il rapporto fra scuola e territorio sono presenti e regolamentate, lo sono anche i luoghi fisici in cui il dialogo diventa possibile:
·         i momenti concertativi attivati dagli enti preposti ai fini della programmazione territoriale dell’offerta formativa;
·         i Comitati Tecnico Scientifici (CTS) attivati dagli istituti scolastici;
·         i Laboratori Territoriali per l’Occupabilità, finanziati con specifici bandi che mettono a disposizione risorse ministeriali;
·         le misure del “Piano scuola estate 2021” che fa delle scuole aperte un’occasione per recuperare la socialità perduta nel corso dell’emergenza sanitaria Covid 19.

Il momento in cui il rapporto fra scuola e territorio diventa però cogente è quando i soggetti istituzionali fanno un passo indietro ed entrano in campo gli studenti, cioè nelle misure che li vedono direttamente coinvolti. Tralasciando la sterminata casistica dei progetti educativi inseriti nei PTOF, si propone la focalizzazione su quelli che dall’esperienza risultano essere i più significativi in termini di impatto ed efficacia:
·         l’alternanza scuola lavoro;
·         l’apprendistato di primo livello.

Il nuovo apprendistato, disciplinato dal decreto legislativo 81 del 2015, è un contratto di lavoro per la formazione e l’occupazione dei giovani, finalizzato al conseguimento della qualifica professionale, il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore. Nasce da un accordo tra la scuola e l’impresa, lo studente continua a seguire l’attività curriculare, ma svolge parte di essa all’interno dell’azienda in base ad un piano formativo che viene co-progettato fra scuola e datore di lavoro. Ha un potenziale ineguagliabile per favorire il dialogo fra istituzioni formative e aziende e rappresenta un’occasione talvolta unica per venire incontro ai bisogni dei giovani con particolari esigenze educative, che necessitano di un intervento personalizzato. Anche se ad oggi la sua diffusione è a macchia di leopardo sul territorio nazionale, merita di essere preso in grande considerazione come strumento per far incontrare i bisogni di sviluppo di studenti, aziende e territorio.

Fra gli strumenti per favorire il rapporto fra scuola e territorio inteso come l’insieme dei soggetti che vi operano a vario livello e con diversi ruoli (aziende, liberi professionisti, privato sociale e terzo settore, pubbliche amministrazioni, parti sociali, ecc) la parte da protagonista è detenuta senz’altro dall’alternanza scuola lavoro [3], oggi percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO). L’introduzione, con la legge 107/2015, della sua obbligatorietà per gli studenti di tutti di indirizzi di istruzione superiore ha rappresentato infatti una vera rivoluzione che ha imposto, come non mai era avvenuto prima, alle scuole di fare i conti con le realtà produttive, economiche e sociali del territorio in cui operano e da cui provengono i propri studenti. La progettazione e realizzazione dei percorsi in alternanza richiede un sistematico raccordo tra le scuole e il contesto socio-produttivo locale, considerando prioritariamente tre aspetti: i diversi  bisogni  degli studenti, cui debbono corrispondere percorsi di apprendimento flessibili,  personalizzati  e capaci di motivarli; le esigenze formative della scuola, previste dal Piano dell’Offerta Formativa; i fabbisogni formativi delle aziende e del territorio, anche con riferimento al loro sviluppo.

La scuola ha quindi tutte le carte in regola per essere soggetto aggregante, propulsore e trainante di un territorio, capace di offrire servizi, mettere a disposizione risorse, cooperare nella lettura condivisa dei bisogni culturali e formativi del proprio territorio, volano per la co-costruzione della cultura e del “capitale sociale”. Da questo punto di vista la realtà italiana è costellata di bellissime esperienze che vanno in questa direzione così come è ricca di iniziative di ogni genere volte a stimolare una progettualità che porti la scuola ad entrare in sinergia con famiglie, enti locali, istituzioni e privato sociale, in modo da accrescere le risorse necessarie a far fronte alle molteplici richieste a cui oggi è chiamata a dare risposta.

La questione che si pone è che le condizioni fino ad ora richiamate, pur nella loro strutturalità, significatività ed estensione raramente consentono al sistema nel suo complesso di fare un passo in avanti, di rappresentare il gradino più alto di un nuovo punto di partenza. Molti addetti ai lavori concordano nell’affermare che la scuola rischia di trovarsi nella condizione paradossale di avere confini non definiti, tante sono le aspettative puntate nei suoi confronti, ma contemporaneamente risultare impermeabile al mondo esterno – tutto ciò che fa la scuola è molto “scolastico”; questo quando invece servirebbe l’opposto: precisi confini ma molto permeabili alle realtà in cui è calata, per farsi conoscere nella sua complessità e ricchezza.

Fra egli elementi alla base di tale difficoltà ritroviamo, sul fronte territoriale, la fatica a riconoscere nelle scuole un soggetto attivo del territorio, del mercato del lavoro e dei percorsi di transizione. Nonostante i tanti anni passati, gli attori locali non partecipano in maniera propositiva e operativa alla progettazione educativa delle scuole, né tantomeno coinvolgono organicamente le scuole nella progettazione territoriale, limitandosi a proporre attività sporadiche e non sempre funzionali alla realizzazione di una programmazione integrata. Sul fronte delle scuole, invece, la modalità dei progetti di istituto o dei percorsi di alternanza rappresenta un approccio che raramente prende in considerazione l’analisi sulle capacità di generare risultati oltre la durata dell’intervento, di reperire nuove risorse necessarie a rafforzare/replicare le azioni messe in campo e la possibilità di trasferire o riprodurre l’esperienza e generare un cambiamento stabile negli interlocutori interni ed esterni alla scuola.

Dal binomio scuola-lavoro al trinomio scuola-lavoro-territorio

Un importante inquadramento concettuale ed operativo del tema scuola/territorio è presente in un documento del 2015 a cura del MIUR e della SNAI (Strategia Nazionale per le Aree Interne) “Le Aree Interne nel contesto de “La Buona Scuola” Linee guida per gli interventi nelle aree-progetto” che, a partire dall’analisi delle criticità della scuola in queste aree, ne ha evidenziato i problemi rilevanti e le ipotesi di intervento da attivare sui territori. Nella guida i bisogni e le potenzialità della scuola nelle aree interne sono stati ricondotti a sette ambiti di intervento e azioni di carattere sperimentale. Fra questi viene dato rilievo al miglioramento dell’offerta formativa quale volano per innescare “vantaggi cooperativi” tra formazione e lavoro. Nel documento, in sostanza, il focus del rapporto fra scuola e sviluppo locale è identificato in modo forse riduttivo e non esaustivo nel rapporto fra scuola e lavoro.

C’è un consistente filone di pensiero dentro le istituzioni scolastiche che valuta in maniera accorta la celebrazione del rapporto fra scuola e lavoro, mettendo in guardia da uno sdoganamento eccessivo del potenziale formativo ed educativo del lavoro quando questo viene inserito nel contesto scolastico.

Non si mette cioè in discussione l’esigenza di superare la separazione tra scuola e lavoro ma si teme che spingere in questa direzione sottenda l’idea che la scuola, soprattutto negli indirizzi di studio tecnici e professionali, debba svolgere il mero compito di preparare studenti con abilità immediatamente spendibili nel mondo del lavoro. Compito della scuola deve essere invece quello di preparare i futuri lavoratori capaci di imparare ad apprendere ed essere dotati di flessibilità e adattamento al cambiamento.

In questo filone di pensiero c’è il timore che strumenti quali l’alternanza siano mossi dall’idea di avviare gli studenti al lavoro per una loro immediata occupabilità, in una logica che contrasta con la sua visione di modalità didattica e formativa. In questo caso il concetto di scuola che prepara all’occupabilità viene inteso nella sua accezione negativa, configurando un ruolo e un compito della scuola solo funzionale alle esigenze più immediate del mondo produttivo a discapito di una preparazione ampia e forte che è invece nell’interesse dello studente e dello stesso mondo del lavoro.

Per fugare tali rischi e richiamando l’obbiettivo primario della scuola, che consiste nel formare cittadini critici, le esperienze di lavoro che hanno a che fare con la scuola devono sempre consentire di rappresentare l’intreccio tra scuola, vita e società.

“In questo caso appare addirittura fuorviante il termine “alternanza” a cui sarebbe preferibile sostituire quello di “alleanza”, in quanto la qualità dell’insegnamento sta proprio nella coniugazione dell’impianto teorico con l’applicazione delle categorie operative e pratiche, realizzata con l’adozione di una didattica esperienziale, che deve risultare arricchita, e non “alternata”, dal percorso dell’ASL” [4]

È la cultura del lavoro, e non solo – o non tanto – il vissuto da lavoratore, a doversi integrare in modo sinergico e non episodico nel percorso curricolare: nei contenuti dello studio, nell’approccio esperienziale al conoscere, nell’assunzione di responsabilità e autonomia personali e collettive e nella pratica di azioni con valenza sociale e di cura di sé, degli altri, dell’ambiente.

Così come quelli del lavoro, i temi dello sviluppo hanno anch’essi necessità di trovare dimora stabile nelle esperienze di pratica e di ricerca, in linea con quanto previsto dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Goal 4.7) che impone di ri-orientare in questo senso il modo di fare scuola affinché gli studenti possano:
·         recuperare il rapporto con l’ambiente;
·         comprendere la complessità e l’interdipendenza delle sfide globali che caratterizzano la nostra epoca;
·         adottare conseguentemente scelte consapevoli sui diversi aspetti della sostenibilità e dello stretto legame tra fattori ambientali e cambiamenti sociali;
·         riscoprire il “senso del limite” e affrontare i limiti e i vincoli, intesi come “risorse” intorno alle quali far emergere e crescere proposte di cambiamento creative e innovative;
·         imparare ad apprezzare le esperienze virtuose provenienti da istituzioni, imprese, cittadini, enti di ricerca, nonché il reale contributo dell’innovazione e della tecnologia;
·         conoscere gli strumenti operativi per dare il proprio contributo e acquisire le basi per poter diventare protagonisti dello sviluppo sostenibile, dell’economia verde e circolare.

Il rapporto fra scuola/lavoro/territorio, ha degli indiscutibili punti di forza: la valorizzazione della realtà quale occasione unica da cui mutuare esperienze ricche di senso per gli studenti, l’occasione di “studiare” il lavoro nei contesti in cui si esplica, la collocazione esperienziale delle discipline, l’opportunità di intrecciare i percorsi educativi a momenti di collaborazione e scambio con le comunità locali di cui la collettività scolastica fa parte. Questo porta con sé che il mezzo più potente per l’apertura delle scuole al territorio sia insito in ogni occasione in cui gli studenti escono dalla zona protetta dove rischiano di essere isolati per entrare in contatto con il mondo che li circonda.

I presupposti per una scuola soggetto attivo del cambiamento

Grazie all’attivazione di questi meccanismi virtuosi le istituzioni formative possono essere considerate a pieno titolo parte integrante delle dinamiche locali dello sviluppo. Ma perché questo avvenga in modo consapevole, organizzato, funzionale e permanente sono necessari alcuni presupporti che devono operare sia sul fronte delle istituzioni formative e, per il loro tramite, degli studenti, che degli attori e degli agenti dello sviluppo locale.  Il più importante fra questi è la presenza di un linguaggio condiviso.

La capacità di dialogare, integrarsi a anche contaminarsi implica necessariamente la presenza di un linguaggio comune con cui misurarsi. Da questo punto di vista il linguaggio delle competenze, la possibilità di renderne consapevoli i soggetti in campo, a partire dai docenti e dagli studenti per arrivare agli attori locali, rappresenta un veicolo potente, forse l’unico possibile, per attivare quei processi di apprendimento permanente individuale e collettivo carburante dello sviluppo locale. L’esperienza di quattro anni di attività di supporto alla qualificazione dell’Alternanza Scuola Lavoro prima, e dei PCTO dopo, e della transizione realizzata da ANPAL Servizi hanno consentito di sperimentare in quest’ottica l’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni di INAPP e la sua applicazione ha dato risultati inimmaginabili all’inizio della sperimentazione in quanto ha consentito di rappresentare la base di lavoro per il dialogo sia con le scuole che con la rete degli attori locali. Questo dialogo incrociato ha innescato in molti casi un circolo virtuoso di apprendimento e diffusione della qualificazione dell’alternanza, di miglioramento della conoscenza del proprio territorio da parte delle scuole, di creazione di nuove relazioni o consolidamento di quelle preesistenti, di esplorazione delle reciproche aspettative e bisogni tra scuole e imprese.

Sul fronte della scuola sono poi necessarie:
·         azioni di accompagnamento orientativo alle esperienze vissute dagli studenti;
·         il passaggio dalla progettazione dei singoli interventi alla programmazione integrata delle azioni;
·         l’adozione di procedure di qualità e standard di riferimento di tali processi.

Dal punto di vista degli studenti che vivono l’esperienza di rapporto con il mondo esterno alla scuola, occorre far sì che tale vissuto non si riduca all’essere semplicemente coinvolti in attività. L’esperienza prende forma quando il vissuto diventa oggetto di riflessione ed il soggetto se ne appropria consapevolmente per comprenderne il senso. Con il termine “accompagnamento orientativo” non si intende la pratica orientativa in se, pur strutturale all’interno della scuola [5], ma un modello di accompagnamento alle esperienze che gli studenti sperimentano nella pratica, con il quale si perseguono obiettivi educativi di crescita della consapevolezza dei ragazzi, della propria capacità di rileggere e riflettere sulle esperienze vissute per generare saperi utili a sostenere motivazione, capacità di scelta e progettualità futura. L’esperienza in situazione, prima fra tutte quella dell’alternanza, diviene in quest’ottica una privilegiata esperienza di orientamento e auto-orientamento che va però progettata, guidata e accompagnata con attività strutturate utili a realizzare il momento riflessivo. Torna in questo ambito il concetto di occupabilità come combinazione di adattabilità, capacità di far fronte, percezione di autoefficacia, capacità di riflettere sulle cause, percezione delle caratteristiche del mercato del lavoro e dei suoi bisogni. Non intesa, quindi, nella sua accezione restrittiva, ma come la caratteristica fondamentale di ogni individuo che è in continua crescita e cambiamento.

Se il problema delle scuole non sta, come detto, nella capacità di proporre/accogliere/programmare progetti in grado di arricchire il percorso formativo ed educativo dei propri studenti, quello che necessita ulteriormente è un’azione di sistema in cui convivano: il riconoscimento delle diverse esperienze che hanno funzionato e la loro re-impostazione in un’ottica di sostenibilità; l’adozione del linguaggio comune delle competenze, all’interno dell’istituzione scolastica, fra scuole e fra scuole e territorio; la co-progettazione dei percorsi in una relazione caratterizzata da partenariato e corresponsabilità; azioni e strumenti per sostenere la capacità dello studente che partecipa al progetto di individuare, leggere e interpretare l’esperienza vissuta; la riconoscibilità del ruolo della scuola attraverso l’uso strategico della programmazione triennale di istituto in ragione delle proprie esperienze, delle esigenze territoriali e dei bisogni dei propri studenti. In questo circolo virtuoso di azioni sta il punto di forza dell’approccio sistemico alla programmazione integrata delle azioni che nella scuola supportano il rafforzamento del proprio ruolo in qualità di attore del cambiamento.

Un’ultima suggestione, in riferimento alle funzioni che vedono gli istituti scolastici direttamente coinvolti nei percorsi di integrazione con il lavoro, con il territorio e le sue dinamiche di sviluppo riguarda la possibilità che esse promuovano l’adozione di procedure di qualità e standard di riferimento di tali processi. Un simile approccio potrebbe rappresentare un antidoto alle ripercussioni negative della mobilità del personale; un valido mezzo per il coinvolgimento su obiettivi e risultati di tutto il corpo docente, anche quello più lontano dalle lusinghe del rapporto con il territorio; innescare meccanismi virtuosi di razionalizzazione e di programmazione delle attività; costruire partnership stabili con gli altri operatori pubblici e privati del mercato del lavoro.

Le risorse per lo sviluppo di un territorio non sono dotazioni, cioè non sono presenti a prescindere. Un processo di sviluppo richiede una sorta di attivazione dei beni presenti, che nasce a partire dal loro riconoscimento in quanto risorsa (Notarstefano [6] 2016).

Riconoscere e attivare la scuola in processi di sviluppo locale necessita allora, sul fronte degli animatori territoriali, che essi si adoperino per:
·         riconoscere nelle istituzioni formative e negli studenti delle risorse privilegiate; occorre però avvicinarsi nel rispetto dei ruoli avendo una precisa conoscenza degli strumenti a disposizione, delle loro potenzialità e modalità attuative;
·         adottare e favorire a tutti i livelli quelle modalità progettuali auspicate all’interno della scuola, immaginando il coinvolgimento degli studenti in azioni non episodiche ma strutturali e ripetibili definendo a monte ruoli, contributi, risultati attesi, prodotti, usabilità dei prodotti;
·         favorire interventi non solo nelle località in cui le scuole hanno sede ma anche nei territori dove risiedono gli studenti;
·         la scuola deve essere coinvolta in chiave propositiva nella programmazione dello sviluppo e nell’animazione territoriale ma questo non basta; occorre mettere in atto azioni dirette volte ad inserire i temi dello sviluppo locale all’interno dei percorsi educativi e occorre pianificare il coinvolgimento degli studenti affinché ne siano protagonisti attivi e consapevoli.

Al termine di questa nota l’analisi in essa contenuta conferma, secondo chi scrive, che il focus del rapporto fra scuola e territorio deve uscire dalla limitata dicotomia scuola/lavoro ed approdare ad identificare le connessioni, strategie e pratiche, che esistono fra scuola e sviluppo locale. In questo ragionamento, quindi, la scuola, intesa come istituzione e comunità educativa, in cui la trasmissione della cultura e la preparazione tecnico/professionale mette in relazione docenti, studenti, famiglie, comunità locali, non si limita alla funzione di risorsa ma acquisisce a pieno titolo lo status di attore di uno sviluppo inteso in questo senso come aumento della capacità di apprendere, non solo in chiave educativa personale ma anche in relazione alla funzione politica e strategica propria delle organizzazioni e delle istituzioni locali.

 

Note
[1] Il documento è stato adottato come manifesto programmatico di una ricerca-azione che la struttura regionale Umbria della Divisione Transizioni di ANPAL Servizi sta promuovendo con il Polo Tecnico Franchetti Salviani di Città di Castello volta a definire i confini e le azioni che la scuola, insieme agli interlocutori locali, dovrà mettere in campo per divenire risorsa e attore dello sviluppo locale.
[2] “La dimensione locale dello sviluppo. Caratteristiche, attori e processi” M. Memoli. Corso di Geografia economica A.A. 2017/2018.
Confronta anche “La geografia dello sviluppo” a cura di Memoli, Boggio, Dematteis, 2008; “Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità: il modello SLoT” Dematteis Governa, 2005; “Il progetto locale” Magnaghi, 2000.
[3] Nel documento si continua ad usare la definizione di alternanza scuola-lavoro associandola a tutte le esperienze pratiche realizzate al di fuori delle mura scolastiche che aiutano a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e a testare sul campo le attitudini degli studenti, ad arricchirne la formazione e ad orientarne il percorso di studio e, in futuro, di lavoro grazie a progetti in linea con il loro piano di studi. La Legge di Bilancio 2019 modifica il nome dell’Alternanza Scuola Lavoro (ASL) in Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO) non alterandone le finalità seppur rivendendo la durata dei percorsi.
[4] Parere autonomo del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione in materia di “Alternanza Scuola Lavoro”.
[5] È del 2014 la nota con cui il MIUR invia alle scuole di ogni odine e grado le “Linee guida nazionali per l’orientamento permanente”.
[6] “La dimensione locale dello sviluppo” G. Notarstefano in “Bene Comune” rivista online 10/2016.

 

Elisabetta Corbucci

ANPAL Servizi – Area Territoriale Umbria Toscana
Redazione Vivo Umbria: