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La natura non risparmia la magia di Piediluco e avvolge inesorabilmente la sua storica Rocca

TERNI – È a pochi chilometri da Terni, ma sembra un altro mondo Piediluco, piccolo borgo in prossimità della Cascata delle Marmore, inserito nel 2016 tra “i borghi più belli d’Italia”. Situato sulla riva dell’omonimo lago, risale al medioevo l’attuale dislocazione “ai piedi del Lucus” ovvero nel tratto di terra che si estende tra il lago e il bosco sacro del Monte Luco. Luogo di storia e leggenda, magia e religione, in epoca precristiana la selva si diceva abitata da ninfe, numi, satiri e folletti, regno di quella dea Vacuna che i Romani identificarono in Velinia e Diana Artemide. Celebra ancora il solstizio d’estate la Festa delle acque, con la sfilata notturna delle barche allegoriche allestite dalle sapienti mani dei barcaioli artigiani.

Destinazione perfetta per chi è in cerca di un’oasi di pace, San Francesco sostò a Piediluco tra il 1208 e il 1225 durante il cammino per Greccio. Con i confratelli vi avrebbe costruito una capanna ove “convenire” (da cui “convento”) a fine giornata. Tommaso Celano, il suo biografo, narra che “seduto su una barca sulle sponde del lago, il poverello di Assisi intraprese il viaggio per attraversare la terra di Luco e iniziare anche qui la sua predicazione. Durante questo percorso, ricevette in dono un pesce da un pescatore del luogo che rimise subito in acqua liberandolo. Ma l’animale costeggiava la barca e si allontanò soltanto dopo aver ascoltato il sermone del Santo e ricevuto la sua benedizione”.

Certo è che, intorno al 1298, l’Ordine insediò a Piediluco una comunità di frati e su iniziativa di Oddone Brancaleoni, duca di Luco, si avviò la costruzione del santuario al centro del paese, conclusa nel 1338. Meta dei pellegrini che percorrono la via di Francesco, tra i tesori custoditi la reliquia del Santo avuta in dono nel 1999 dai frati francescani del Sacro Convento di Assisi.

Il lago e i monti

Incastonato tra i monti, antica dimora di spiriti acquatici e di un drago, con un perimetro di circa tredici chilometri e una profondità massima di circa 19 metri, il lago di Piediluco è con i laghi di Lungo, di Ripasottile e di Ventina, in provincia di Rieti, ciò che resta dell’antico Lacus Velinus, grande bacino di origine alluvionale che venne a formarsi a partire dal Quaternario. Specchio d’acqua verde smeraldo d’estate, argento d’inverno, quando vi si riflette il Monte Terminillo innevato, è ricco di fauna ittica e popolato da una grande varietà di uccelli: svassi, folaghe, tuffetti, gallinelle d’acqua, germani reali, aironi, martin pescatori, rondini montane, gheppi, poiane e il rarissimo biancone. Gli fanno da cornice canneti, ninfee, gigli d’acqua, crescioni e boschi lussureggianti di salici e pioppi. Occupano i versanti più ripidi le leccete e i pini d’Aleppo. Vanno dritti al cuore i tramonti dorati tra gli alberi.

Meta del Grand Tour con la Cascata delle Marmore, la grande bellezza di Piediluco ispirò il pittore francese Jean Baptiste Camille Corot che nel 1826 la immortalò nei suoi celebri dipinti a olio.

Nel 1927, il paese, fino ad allora Comune appartenente alla provincia di Perugia, fu incluso con regio decreto nella municipalità di Terni. Nel dopoguerra, iniziò a sviluppare progressivamente il suo potenziale turistico. Per alcuni, ci sarebbe ancora molto da lavorare.

Sede del Centro nautico “Paolo D’Aloja”, promotore di gare nazionali e internazionali di canottaggio, oggi sul lago si fanno gite in battello e sport acquatici. Lungo il suo perimetro e sui sentieri di montagna si passeggia, si fa trekking, enduro e mountain bike, ristorandosi con l’ottima cucina locale e godendo delle numerose iniziative culturali che vi si svolgono.

A guardia del lago, uno di fronte all’altro, il Monte Luco e il Monte Caperno. La loro forma piramidale si è prestata a diverse congetture. Secondo alcuni studiosi inglesi, si tratterebbe di vere piramidi, al pari di quelle di Giza. Ma c’è anche chi azzarda che possano essere antichi depuratori delle acque o forse dei granai. Potere dell’immaginazione.

Sulla cima del Monte Luco, le rovine della Rocca trecentesca; su quella del Monte Caperno, la Madonna dell’Eco.

 

 

La Rocca

Parlano di un’avventura straordinaria ma di un pessimo stato di conservazione quanti recentemente si sono avvicinati alla Rocca. Rudere ricco di storia e suggestioni immerso in una natura superba, la Rocca è posta sulla cima del Monte Luco e fu strategica nel medioevo per il controllo e la difesa del territorio. Il Portale turistico del Comune di Terni la descrive come “un complesso costituito da due parti distinte: il Palazzo, fatto costruire nel XIII secolo dai Brancaleoni, signori del luogo, sui resti del Castello di Luco risalente ai primi anni del millennio, e la Rocca, che assolveva a una funzione militare-difensiva”.

Baluardo di un articolato sistema di sicurezza costituito di cinte murarie e torri di avvistamento i cui resti oggi sono nascosti dalla vegetazione, per lungo tempo fu teatro delle sanguinose lotte tra papato e impero. Nel 1333, il complesso fu occupato dalle truppe papali di Roberto D’Angiò, per poi essere acquistato nel 1364 da Blasco Fernando di Belvisio, cugino del Cardinale Albornoz e rettore del Ducato di Spoleto, cui si deve il potenziamento del sistema difensivo e la ristrutturazione del palazzo residenziale.

“Di quest’ultimo – si legge nel Portale – si possono ancora distinguere la sala di rappresentanza, le stanze residenziali e alcuni vani accessori”.

Sviluppato su tre livelli, il palazzo si affacciava all’interno sul cortile d’armi, al centro del quale una cisterna raccoglieva l’acqua piovana per garantirsi l’approvvigionamento idrico. La porta d’ingresso al cortile era congegnata in modo tale che, in caso di pericolo, calasse una saracinesca, bloccando l’entrata.

A caratterizzare la Rocca di Piediluco è però il mastio dalla forma pentagonale che differenzia questa fortezza dalle altre rocche albornoziane presenti in Umbria, tutte di impianto quadrangolare. Cinto da un apparato di fortificazioni che lo univa al sottostante abitato, era sviluppato su cinque livelli. Quello inferiore fungeva da serbatoio per l’acqua.

Di tutto questo, però, non è rimasta che qualche traccia, avvolta dall’erba alta e dai rovi.

Nel terzo millennio, una strada sconnessa priva di segnaletica conduce a quel che resta degli antichi fasti, consegnati ormai all’opera della Natura che li sta inesorabilmente inghiottendo, senza che mano umana intervenga. Per qualcuno, ciò renderebbe il sito ancor più affascinante, arricchendone il mistero. Altri, davanti all’evidente degrado, non mancano di esprimere il proprio disappunto.

“Un vero peccato aver trovato, senza per altro, giuste indicazioni per salire, il totale abbandono della strada di accesso, del bosco circostante, ma soprattutto l’abbandono della Rocca stessa – scrive il fabrianese Roberto D. su Tripadvisor.

 

 

La Madonna dell’Eco

Gode di miglior salute la statua della Madonna collocata sulla cima del Monte Caperno, ripido rilievo sulla costa meridionale del lago, conosciuto anche come Monte dell’Eco per la capacità di ripetere distintamente un intero endecasillabo. Leggenda vuole che sia l’incantesimo lanciato da un druido per imprigionare tra le montagne le parole di un amore impossibile.

Realizzata dalla ditta Bertarelli di Milano con la fusione delle armi della guerra di Etiopia, la statua è alta più di due metri, è verniciata di bianco fluorescente e pesa dodici quintali. Di lei scrive il cav. Giovanni Finali: “La bianca Madonnina che domina dalla cima del monte Caperno… fu lassù portata per volere del parroco dell’epoca Marchese Canali mons. Ludovico e del popolo perché proteggesse il lago e il paese di Piediluco. Nel mese di maggio 1911 avvenne tale traslazione sulla cima del monte. La statua fu ferita più volte da schegge della aviazione nemica durante la II guerra mondiale”. Meta di pellegrinaggi, la Madonna dell’Eco è raggiungibile a piedi in una quarantina di minuti, percorrendo il sentiero di montagna. La comunità di Piediluco la celebra il 15 agosto di ogni anno con una processione notturna sul lago con le barche e i battelli.

                                                                                                                     Lorella Giulivi

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