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L’Umbria che Spacca all’Unistranieripg affronta il tema dell’ambiente e della crisi climatica

PERUGIA – Nell’Aula Magna di Palazzo Gallenga, dell’Università per Stranieri di Perugia, si è svolto uno degli appuntamenti più intensi dell’edizione 2025 del festival Umbria che Spacca. Il secondo panel del ciclo “Unistrapg Stage”, dal titolo Parlare di ambiente e crisi climatica, ha riunito tre voci autorevoli e differenti per stile, linguaggio e prospettiva: Adrian Fartade, divulgatore scientifico; Marco Fratoddi, giornalista ambientale; Luigi Mundula, docente di geografia presso l’Università per Stranieri di Perugia. A coordinare l’incontro Denise D’Angelilli, perfetta nel tenere un filo conduttore serrato, generazionale e mai retorico.

La domanda iniziale – Che cos’è il cambiamento climatico?” – ha aperto un ventaglio di riflessioni che ha travalicato la sfera scientifica, toccando i nodi strutturali della crisi tra potere, diseguaglianze, e modelli economici.

Luigi Mundula, con tono chiaro e diretto, ha inquadrato il tema come uno spartiacque antropologico prima ancora che ambientale. «Parlare di cambiamento climatico significa parlare della crisi dell’essere umano», ha esordito. Secondo il geografo, non si tratta semplicemente di un aumento delle temperature, ma del collasso di un sistema economico che produce marginalità, riduce la biodiversità, altera gli equilibri planetari. Ha ricordato come l’attività agricola e produttiva umana, dalla domesticazione del grano fino agli allevamenti intensivi, abbia contribuito progressivamente alla distruzione degli ecosistemi. «Il 99% della comunità scientifica conferma l’esistenza del cambiamento climatico, ma una parte rilevante del potere politico e industriale continua a negarlo perché costretto a mettere in discussione sé stesso».

Dal canto suo, Adrian Fartade ha reso accessibili le basi fisiche del fenomeno: «L’atmosfera è una coperta che ci protegge: senza di essa, la temperatura della Terra sarebbe di -18 gradi. Ma con l’aumento della CO₂ – mai così alta negli ultimi 800.000 anni – stiamo trattenendo sempre più calore». Ha invitato a diffidare delle semplificazioni: «Certo che il clima è sempre cambiato, ma oggi il riscaldamento è repentino e legato all’attività umana. Sulle responsabilità individuali e collettive, Fartade ha affermato con forza che «aspettarsi che i sistemi cambino da soli è ingenuo. I grandi cambiamenti storici sono sempre stati frutto di lotte e sacrifici. Oggi dobbiamo fare lo stesso».

Fartade ha anche sottolineato quanto sia difficile, per molte persone, accettare verità complesse e scomode: «Spesso si preferisce credere a una narrazione alternativa, più rassicurante, un complotto, una cospirazione per vendere auto elettriche». Ma la posta in gioco è altissima, e riguarda soprattutto i più vulnerabili: «I più poveri pagheranno il prezzo maggiore, anche se hanno contribuito meno alle emissioni».

Marco Fratoddi ha riportato il focus sulla comunicazione e sul ruolo del giornalismo, denunciando l’eccesso di sensazionalismo: «Si parla di ambiente solo quando avviene un disastro. Ma raccontare un’alluvione senza spiegare cosa l’ha causata è come descrivere un infarto ignorando anni di cattiva alimentazione». Il giornalismo ambientale, ha detto, deve rinnovare linguaggi e priorità. «Dobbiamo smettere di rincorrere le celebrità e imparare a narrare la complessità. La sfida non è solo informare, ma rendere la transizione ecologica desiderabile».

Nel dialogo incrociato tra i tre ospiti è emersa una visione corale della crisi climatica come crisi sistemica. In gioco, hanno ribadito all’unisono, non c’è solo il futuro climatico, ma il presente politico e morale di un’intera società; il cambiamento non è un gesto individuale, ma una scelta collettiva, una battaglia culturale, economica e sociale.
“La conversione ecologica deve essere desiderabile”, scriveva Alex Langer. È ancora così. Solo che il tempo, ora, è agli sgoccioli.

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