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“Sakamoto e me”: le suggestioni dell’alchimia sonora tra il piano di Danilo Rea e l’elettronica di Martux_m

CASTIGLIONE DEL LAGO – Dal momento in cui si varca la Rocca Medievale, si percepisce che non si tratti di un concerto ordinario. L’antica fortezza, con le sue pietre colte dalla luce serale, le arcate, le torri e il panorama che spazia sul lago, crea già un palcoscenico naturale che amplifica la suggestione. È una location che invita alla contemplazione, alla sospensione del tempo, perfetta per un’esperienza musicale che miscela memoria, silenzio, improvvisazione e futuro.

Il progetto “Sakamoto & Me” nasce dall’amore di Danilo Rea per Ryuichi Sakamoto, compositore, pianista, sperimentatore che ha sempre saputo muoversi tra generi, culture, elettronica e melodie minimali. Martux_m aggiunge al pianoforte di Rea atmosfere elettroniche, field recordings, manipolazioni sonore, effetti che sospendono la musica al confine tra il reale e l’evocativo. Per questo, per la possibilità di esprimere questa personale rilettura di Sakamoto, Danilo Rea ha ringraziato pubblicamente Patrizia Marcagnani, direttrice artistica di Moon in June, rassegna nella quale il concerto era inserito.

La promessa è quella di un dialogo tra memoria (le melodie, i riferimenti a Sakamoto, il legame con la tradizione del pianoforte) e futuro (le sperimentazioni elettroniche, l’improvvisazione, l’ignoto).

Il pianoforte di Rea: sicuro, espressivo, capace di passare da passaggi lirici e intimisti a momenti più sospesi, quasi sospesi come un tappeto sonoro. In questo tipo di progetto, il suo controllo dinamico, la sensibilità nel fraseggio e nella tensione armonica sono stati decisivi per costruire i ponti tra i silenzi di Sakamoto e le esplorazioni sonore di Martux_m.

Le atmosfere elettroniche di Martux_m: non mera decorazione, ma elemento strutturale. Le dissolvenze, i riverberi, le sovrapposizioni di suono digitale e rumore ambientale (o ambientazioni suggestive) servono a creare spazio, vuoto, tensione, a far apprezzare non solo “ciò che suona”, ma anche ciò che tace. Quei momenti di transizione tra piano acustico puro e manipolazione sono stati tra i momenti più intensi, ma anche probabilmente tra i più critici per quel quid di omologazione sonora che a volte è emersa nelle incursioni elettroniche.

Il coinvolgimento emotivo: la capacità di evocare in chi ascolta non solo le composizioni di Sakamoto ma anche ricordi individuali, stati d’animo interiori. In un contesto del genere – location affascinante, spettacolo per sé già di alto valore poetico – il pubblico ha apprezzato l’“andamento meditativo”, i momenti sospesi, il cielo stellato, il respiro lento.

In una fortezza medievale, il suono ha lasciato una traccia importante favorito dal fatto che si era quasi in assenza totale dei fastidiosi insetti che di solito popolano lo spazio della Rocca del Leone; il vento leggero e non fastidioso ha allontanato qualsiasi minaccia di questo tipo.

Il concerto ha lasciato una testimonianza importante: non tanto per momenti virtuosistici, ma per l’esperienza contemplativa, per la capacità di far uscire gli spettatori dal frastuono quotidiano e portarli in un luogo “altro”, fatto di suoni, vibrazioni, echi del passato e aperture sul presente con l’inesauribile vena improvvisativa di Rea in un sapiente mix tra i temi di Sakamoto e gli interstizi di lirismo che  con cui il pianista ha arricchito il continuum della musica senza alcuna interruzione tra un brano e l’altro, ma in un ininterrotto gioco di rinvii e rimandi compendiati da un sostenuto substrato di citazioni.

“Sakamoto e me” alla Rocca si è configurato come un evento in cui l’arte del suono diventa rito: non soltanto per la musica, ma per la relazione tra luogo, ascolto, pubblico. Un’esperienza che probabilmente resterà nella memoria per la sua delicatezza, per le pause, per gli spazi che non suonano ma che respirano.

 

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