Cerca
Chiudi questo box di ricerca.

Due Voci e un Respiro: Ricordo di Jack DeJohnette e James Senese in Umbria

PERUGIA – Due musicisti molto diversi l’uno dall’altro, ma uniti dallo stesso senso di libertà insito della musica, ci hanno lasciato: Jack DeJhonette, l’immenso batterista del trio di Keith Jarrett è morto lunedì scorso a Woodstock. Aveva 83 anni. Ieri a Napoli l’addio alla vita di James Senese che con il suo sax ha dato voce alla rabbia e agli umori del popolo partenopeo. Aveva 80 anni.

C’è un punto d’incontro invisibile tra il jazz che nasce oltreoceano e quello che respira nel Mediterraneo. In Umbria, terra che sa di colline, silenzi e antiche pietre, quel punto ha avuto un suono preciso: le bacchette di Jack DeJohnette e il sax di James Senese.

Quando Jack DeJohnette arriva a Perugia, negli anni Novanta, porta con sé il peso e la leggerezza della storia del jazz moderno. È l’estate del 1996, e poi ancora del 2001, quando l’Umbria Jazz ospita il Keith Jarrett Trio, con Gary Peacock al contrabbasso.
La gente riempie il Santa Giuliana, le vie della città vibrano di voci e di attesa. Quando DeJohnette siede dietro la batteria, tutto si ferma: il suo tocco non accompagna, ma racconta. Il tempo diventa melodia, il ritmo diventa respiro.

Poi, nel 2006, torna con il progetto Trio Beyond — un omaggio al grande Tony Williams — insieme a John Scofield e Larry Goldings. Il Teatro Morlacchi si trasforma in una piccola officina di energia pura: jazz, rock, improvvisazione. Ogni colpo, ogni pausa, suona come un frammento di eternità.
Chi era lì quella sera, ricorda il momento in cui DeJohnette, dopo un assolo vorticoso, sorride appena: un sorriso che dice “questa musica è viva”.

In Umbria, la sua batteria non era solo percussione — era dialogo con l’aria antica di Perugia, con il tempo stesso. E chi l’ha ascoltato sa che in quelle notti il jazz ha trovato casa tra le pietre umbre.

Diversa, ma altrettanto intensa, la voce di James Senese quando risuona tra i borghi umbri. A Castiglione del Lago, alla Rocca Medievale, il suo sax con Napoli Centrale si leva contro il cielo del Trasimeno, portando con sé la malinconia e la rabbia di una Napoli che diventa universale.
E ancora, ad Assisi, nell’estate 2024, Senese sale sul palco del Cambio Festival. Davanti a lui, l’Abbazia di San Pietro illuminata di rosso e oro; dietro, il silenzio della valle. Poi, quel primo soffio sul bocchino: una nota lunga, tesa, che taglia l’aria.

James Senese non suona mai solo per sé. Ogni brano è una confessione, un atto di memoria, un richiamo alla dignità e alla fatica di chi non smette di credere nel potere del suono. Le sue parole, pronunciate tra un assolo e l’altro, sono come un sermone laico: “La musica è libertà, fratelli miei”.

In Umbria, la sua voce si fonde con l’eco dei chiostri, dei campi, dei sassi caldi di sole. E ogni volta, anche chi non l’ha mai ascoltato prima, capisce di trovarsi di fronte a qualcosa di vero: un uomo che soffia la vita nel suo strumento.

DeJohnette e Senese non hanno mai condiviso lo stesso palco in Umbria, ma le loro presenze si rispondono a distanza: due anime che fanno della musica una forma di preghiera laica.
L’uno, il batterista americano che ha trasformato il tempo in poesia. L’altro, il sassofonista napoletano che ha trasformato la voce del popolo in canto.

Entrambi, nelle notti umbre, hanno lasciato un segno che non si cancella.
Forse è per questo che, ancora oggi, quando un batterista o un sassofonista sale su un palco di Perugia o Assisi, tra le prime note si avverte un’eco sottile: il battito di Jack, il soffio di James.
Due voci, due destini, un solo respiro di jazz.

Articoli correlati

Commenti