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8.390 imprese hanno già investito in sostenibilità e oltre 22mila addetti operano nella transizione

PERUGIA – Elaborazione della Camera di Commercio dell’Umbria su dati GreenItaly–Unioncamere–Excelsior: la regione accresce il proprio peso nella green economy nazionale: imprese che investono, occupazione verde in crescita, filiere che si trasformano. La sfida ora è strategica: crescita strutturale, competenze tecniche, autorizzazioni più rapide e reti di filiera. Il potenziale c’è — e può diventare vantaggio competitivo stabile, se la transizione non resta sommatoria di casi ma diventa sistema.

 

La dichiarazione:

Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “I dati che presentiamo oggi dimostrano che l’Umbria sta avanzando con concretezza sul terreno della sostenibilità: 8.390 imprese che hanno investito e oltre 22mila addetti coinvolti indicano una transizione che non è più solo prospettiva, ma realtà in corso. Nel programma di mandato della Camera di Commercio la doppia transizione – digitale ed ecologica – è un caposaldo, e su questo stiamo investendo con iniziative, servizi e accompagnamento alle aziende. Un numero crescente di imprese sta facendo la propria parte, con scelte che migliorano i processi e rafforzano la competitività. Il compito delle istituzioni economiche è sostenere e facilitare questo movimento con formazione tecnica, autorizzazioni più rapide, strumenti stabili e reti d’impresa che permettano di crescere insieme. L’Umbria ha le qualità per consolidare questo percorso e renderlo strutturale: continuità, collaborazione e visione saranno gli elementi determinanti per trasformare l’attuale dinamica in vantaggio duraturo per tutto il territorio”.

Umbria verde: numeri reali, sfide concrete, una scommessa da giocare.

In Umbria sta succedendo qualcosa. Non un boom improvviso, non una narrazione cosmetica: un cambiamento graduale ma misurabile, che parte dai bilanci delle imprese e si allarga – secondo i dati del nuovo Rapporto GreenItaly uscito di recente – all’occupazione. 8.390 imprese con dipendenti hanno investito in prodotti, tecnologie e processi green, segnando una crescita rispetto alle 7.271 del quinquennio precedente. La sostenibilità sta diventando fattore produttivo, non solo valore etico. E questo mutamento — silenzioso ma concreto — è già inciso nei numeri.
Il mercato del lavoro conferma la tendenza. 22.680 contratti green attivati o programmati nel 2023/24 mostrano una domanda crescente di tecnici energetici, installatori, progettisti ambientali, ingegneri di efficienza, profili legati a riciclo materiali, bioeconomia e digitalizzazione industriale. Non è un margine del mercato: è una quota consistente, espressione di un’economia che vuole cambiare pelle. La Regione non è la locomotiva d’Italia, certo — ma per densità di green jobs dimostra un livello di reattività superiore a quanto spesso ci si aspetta.
Eppure la storia non finisce qui. Perché se la crescita c’è, il rischio è che non basti. Che l’onda verde umbra rimanga una successione di casi positivi senza compattarsi in un sistema competitivo.

Una crescita reale, ma ancora fragile
L’Umbria investe, assume, innova — ma si muove dentro un territorio produttivo frammentato. Molte imprese sono piccole, faticano ad accedere a tecnologie costose, necessitano di competenze tecniche rare. Il quadro è chiaro: esiste un potenziale di trasformazione, ma ancora non una piena massa critica. E la distanza rispetto alle regioni italiane più strutturate deriva soprattutto da tre elementi: burocrazia, skills tecniche e continuità degli incentivi.
Prima criticità: molte imprese sono piccole, spesso micro: installare impianti efficienti, ottenere certificazioni ambientali, digitalizzare processi può essere un salto impegnativo. Serve continuità, serve rete, serve visione condivisa.
Seconda criticità: le competenze. Le imprese cercano tecnici energetici, installatori evoluti, project manager della transizione, esperti in materiali riciclati, profili ingegneristici capaci di ridisegnare processi industriali a basso impatto. Alcuni di questi profili semplicemente non esistono in numero sufficiente. Senza capitale umano preparato, ogni rivoluzione industriale si interrompe.
Terza criticità: gli incentivi. Troppo spesso intermittenti, a sportello, con finestre brevi. Una Pmi pianifica in orizzonti lunghi: non si investe su bandi che durano tre mesi. Senza politiche stabili il rischio percepito cresce, e l’innovazione rallenta. La sostenibilità richiede fiducia e orizzonte, non solo fondi a scadenza.

Nonostante questo, l’Umbria ha una caratteristica che non tutte le regioni possiedono: diversità settoriale + compattezza geografica. Significa che le filiere sono corte, i passaggi tra comparti più rapidi, la capacità di integrare agroalimentare, manifattura, artigianato ed edilizia è più naturale che altrove. È questa la leva che può trasformare la transizione in vantaggio competitivo

Il posizionamento nazionale
Guardando l’Italia nel suo insieme, le regioni manifatturiere — Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna — dominano per numeri assoluti di imprese green. Ma il confronto utile non è sui volumi: è sul peso della transizione nell’economia locale. Qui l’Umbria emerge: meno grande, ma più dinamica in proporzione, con una quota di assunzioni green superiore alla media e un ritmo di crescita costante nelle imprese che investono in sostenibilità. Il vantaggio competitivo non è la dimensione, ma la direzione.

Settori che corrono — e chi può fare il salto
L’economia verde regionale vive su quattro colonne:
1. Agroalimentare & bioeconomia
Olio, vino, cereali, produzioni certificate, filiera corta. La sostenibilità qui è già un driver di mercato: meno chimica, più qualità, più tracciabilità.
2. Manifattura & industria
Efficientamento energetico, riciclo materiali, nuovi macchinari: il green non è estetica, è competitività industriale.
3. Edilizia, restauro, bioedilizia
Riqualificazione energetica, materiali a bassa impronta ambientale, recupero dei borghi: qui la transizione può creare lavoro stabile e visibile.
4. Artigianato e design
Dal legno alla ceramica, dal riuso all’eco-materiale: la cultura del saper fare si rinnova con linguaggi circolari.
Il valore non è solo ambientale: è industriale. Ogni kWh risparmiato è margine, ogni tonnellata riciclata è risorsa, ogni filiera circolare è un vantaggio competitivo contro mercati più grandi.

Le quattro mosse per non sprecare il vantaggio

  1. Permitting più rapido e standardizzato
    La transizione energetica si blocca se i progetti impiegano anni per ottenere un via libera. Una Regione dinamica deve poter autorizzare con tempi certi e verificabili.
  2. Competenze, competenze, competenze
    Senza tecnici, nessuna transizione regge. Servono ITS, formazione continua, upskilling rapido. Non nel 2030: adesso.
  3. Incentivi stabili e misure pluriannuali
    Le Pmi investono quando sanno che le regole non cambieranno ogni stagione. Il green non può vivere di bandi spot: ha bisogno di continuità.
  4. Un Atlante pubblico delle imprese green umbre
    Chi fa cosa? Dove? Con quali tecnologie? Con quali capacità di filiera? Un Atlante permetterebbe di unire puntini oggi isolati, trasformando casi in ecosistema.

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