A Gubbio la XXVII Biennale d’arte contemporanea: intervista al curatore Ludovico Pratesi

GUBBIO – Inaugurata la XXVII edizione della Biennale d’arte contemporanea di Gubbio. Trentasei artisti provenienti da tutta Italia sono stati chiamati a dare seguito con i loro linguaggi a quella che è una manifestazione storica nata nel 1956. Potremo visitarla fino al primo maggio 2024 e di cose da vedere e da dire ce ne sono davvero molte.

L’esposizione, curata da Spazio Taverna, è promossa dal Comune di Gubbio, con il contributo dell’Università delle Arti e dei Mestieri e il supporto di Ceramiche Fumanti, Ti Style iT e Colacem. Il titolo della Biennale è “Imagina” e unisce ”immagine” con “immagina” che nelle intenzioni dei curatori indica il rapporto tra l’immagine artistica e il suo potenziale di stimolare l’immaginazione. Il percorso espositivo si sviluppa tra il Palazzo dei Consoli e il Palazzo Ducale. Tre le sezioni previste a Palazzo dei Consoli: Medioevo al femminile, poi La questione delle lingue dove il collettivo Numero Cromatico ha realizzato un lavoro legato al linguaggio elaborato da una Intelligenza Artificiale in dialogo con le Tavole Eugubine e, infine, tra Oriente e Occidente in cui un’installazione dell’artista Namsal Siedlecki dialoga con la preziosa collezione di arte orientale del palazzo.

A Palazzo Ducale la prima delle quattro sezioni espositive è La misura umana; poi Genius Loci, quindi Fotogrammi in quadreria e, infine, gli antichi sotterranei del palazzo ospitano Corporazioni Contemporanee.
Abbinata c’è l’Extra Biennale con la mostra fotografica “Il Luca di Gubbio” al Teatro Comunale e dedicata al rapporto tra Luca Ronconi, Gubbio e il Centro Santacristina. Tutti i santi giorni, invece, riunisce le opere della pittrice Cecilia Caporlingua, collocate all’interno di 8 spazi storici della città. Infine la Biblioteca Sperelliana ospita la mostra di sculture degli studenti di alcuni licei dell’Umbria. Ideatori e facitori di questa edizione sono Ludovico Pratesi e Marco Bassan.

Proprio con Pratesi (foto di copertina) approfondiamo in questa intervista alcuni temi.
– Qual è la prerogativa nuova dalla quale parte questa Biennale?
Le precedenti biennali erano tutte un po’ legate a un’idea di arte che metteva in evidenza un filone, tra virgolette, classico di arte sia nella produzione in sé che nei materiali utilizzati, con rare eccezioni.
Questa, al contrario, è una biennale che dal presente va verso il futuro. Con una specifica direttrice rivolta al coinvolgimento della città di Gubbio che in precedenza, come argomenta nel catalogo lo stesso Giorgio Bonomi, era una manifestazione che arrivava un po’ calata dall’alto.
Noi abbiamo cercato di fare sì che invece questa biennale in qualche modo nasca dalla città e dalla sua storia, a partire dai suoi cittadini, che ne recuperi pienamente ed esalti il genius loci visto anche con occhi contemporanei.
– In concreto?
Abbiamo fatto lavorare e coinvolto gli stessi artigiani eugubini assieme agli artisti.
– Che sguardo deve avere chi decide di vistare la Biennale di Gubbio?
Racconta ai visitatori la storia di Gubbio che non è così nota come meriterebbe, e che in qualche modo, rispettosamente, la reinterpreta con un linguaggio contemporaneo. Parla con materiali nuovi, con nuove installazioni sempre considerandone la storia con uno sguardo però al presente e soprattutto al futuro. E’ una Biennale che prende la storia come piattaforma e la proietta in avanti.
– Detto dello sguardo, le chiedo con che stato d’animo si entra a una mostra come questa?
Con quello che suscita la meraviglia.
– Ad esempio: cosa potrebbe suscitare questa meraviglia?
Nei giardini di Palazzo Ducale c’era in passato una fontana, uno degli artisti l’ha riproposta, l’ha fatta rivivere.
– Oltre alla fontana di Palazzo Ducale?


Molto forte sarà l’impressione d’insieme degli 8 gonfaloni nella sala dell’Arengo che, ci tengo a dirlo, sono stati realizzati da otto artiste, da donne: Sveva Angeletti, Bea
Bonafini, Ambra Castagnetti, Lucia Cristiani, Binta Diaw, Federica Di Pietrantonio, Valentina Furian, Giulia Mangoni. E Palazzo dei Consoli, ci dice la storia, era luogo deputato politicamente e civicamente alla presenza esclusivamente maschile, dove gli eletti restavano chiusi per due mesi senza poter avere contatti con l’esterno. E il gonfalone era di fatto l’emblema del potere medievale. I visitatori vedranno in questo straordinario luogo otto gonfaloni realizzati da otto donne artiste italiane contemporanee.
– Un’altra?
L’opera di Giulio Bensasson nella sala più importante di Palazzo Ducale: una torre alta 8 metri che riprende il motivo delle delle grottesche di Raffaello (la grottesca è una decorazione soprattutto parietale su imitazione di motivi dell’epoca classica con forme vegetali di fantasia intrecciate a figure umane e animali<CF1402> ndr</CF>.)in cui al posto della frutta conosciuta nel Quattrocento e Cinquecento, ci sono tutti frutti esotici di cui all’epoca non si aveva conoscenza: dall’avocado alla banana, al granturco…”.
– In generale qual è lo stato di salute dell’arte contemporanea in Umbria?
L’Umbria ha dato, e lo scrivo anche nel mio saggio inserito nel del catalogo, molte occasioni agli artisti e iniziative interessanti. Da Soleto a Foligno alla stessa Biennale. Però la continuità è un oggettivo problema: è come se l’Umbria in qualche modo riconoscesse solo il passato ma non il presente che è una una cosa abbastanza tipica dell’Italia, però diciamo che in alcune aree del Nord c’è una maggiore attenzione in tal senso, mentre l’Umbria vive un po’ di episodi, episodi straordinari, intendiamoci, importanti, però ha dei problemi sulla continuità del contemporaneo.
– Lei sarebbe contento se un visitatore le dicesse? 
Che è rimasto colpito dalla vitalità dell’arte.

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