A Terni nessuno vuol gestire musei e teatri, Indiscplinarte spiega perché

TERNI – Claudio Abbado sosteneva che la cultura è un bene comune primario come l’acqua e che i teatri, le biblioteche, i cinema, i musei sono come tanti acquedotti.
Bene, se questo è vero a Terni il rischio siccità è sempre più consistente: a partire dalla questione degli spazi, eterno restauro/dibattito del Teatro Verdi per dirne una, per arrivare alla loro gestione che significa utilizzo e ovviamente proposta. Il “caso Caos” è emblematico in questo senso.

E’ notizia amara, ma a dire il vero prevedibile, quella dell’ennesimo nulla di fatto riguardo il bando, appunto, per la gestione del sistema museale e teatrale. Nessun interesse è stato manifestato. Perché? La prima e fondamentale causa deve essere riferita alla “contenuta” cifra annuale messa a disposizione per la concessione di servizi di durata quinquennale: 700mila euro. La giunta comunale spiega che la attuale gara riformulata per risultare più appetibile, prevedeva tagli di spesa gestionale con la riduzione delle aperture dei musei e l’esclusione del cespite di Carsulae  a fronte, invece, di investimenti per l’efficientamento energetico delle strutture che vuol dire risparmiare su costi di gestione. Non è evidentemente bastato dal momento che comunque la gestione è ampia e comprende l’Anfiteatro Romano, il Caos, il Paleolab, il Secci e i servizi (dalla biglietteria alla vigilanza).

E’ evidente che la situazione è complessa. E se ne parlerà a lungo. Intanto oggi Vivo Umbria vi propone il documento che stamattina, venerdì 12 luglio, è stato prodotto dallo staff di Indisciplinarte e che ha un titolo esplicito: “Del perché abbiamo deciso di non partecipare alla gara d’appalto per il CAOS – Centro arti opificio siri: “Ieri – si legge – sono scaduti i termini per la gara d’appalto del CAOS. Oggi scopriamo che la gara è andata deserta. Negli ultimi 10 anni Indisciplinarte, in ATI con altre imprese del territorio (locali e nazionali) ha investito risorse economiche e umane in questo luogo, fegato e passione, trasformandolo da un “ex qualcosa” in una delle esperienze di trasformazione del dismesso più interessanti del Paese, come testimonia la letteratura che mappa queste esperienze, e la rete di relazioni con i pubblici locali e internazionali che conoscono e amano questo spazio.  La sperimentazione all’interno del CAOS ci ha permesso di imparare molto, di sbagliare anche, di incontrare una comunità di donne e uomini di grandissimo valore e di immaginare con loro il futuro e la forma di un’istituzione culturale innovativa, al passo con i tempi e fondata sui talenti del territorio. Uomini e donne ternani e non che in forma individuale o associativa hanno scommesso sulla cultura come motore di rilancio e di crescita della città, per cui il CAOS è stata infrastruttura abilitatrice. Il contratto con il Comune di Terni è cambiato con il tempo, per natura e dimensioni, ha saputo integrare quello che questo luogo stava diventando, dimostrando flessibilità e ascolto delle pratiche e processi in campo pur riducendo progressivamente l’entità del contributo.  Un contratto che anche il Dipartimento per le Politiche dello Sviluppo del Ministero per lo Sviluppo Economico valutò come buona pratica nazionale. Negli anni di gestione del patrimonio pubblico del CAOS abbiamo affrontato un passo dopo l’altro, una montagna di difficoltà, falsità, diffidenza, abbandono, arrivando alla fine soddisfatti per le tante cose fatte, ma esausti. Abbiamo quindi deciso di fare la scelta più difficile, all’apparenza più incoerente, per certi versi contro natura: dire no a qualcosa che amiamo. Dire no all’opzione nota, che consente un margine di sopravvivenza. E lo abbiamo fatto per dire no a un bando di gara che riconosce a malapena la copertura dei costi di utenze della struttura, un bando che non chiede più progettualità ma solo servizi, un bando che riduce le ore di apertura del museo a poche decine, che non valorizza il ruolo e le competenze dell’operatore culturale, che non ritiene necessario un coordinamento manageriale degli spazi, che riduce drasticamente l’impegno nella formazione del pubblico e delle nuove generazioni.

Un bando che non valorizza la curiosità dei cittadini, desiderosi di un luogo sempre attivo e in fermento in cui le attività offerte vanno oltre l’apertura della porta di un museo, che non può attrarre se non animato, un pubblico numeroso.
Tagliare i fondi e spegnere la vocazione e le attività di uno spazio per ridurlo a edificio, questo sembra esserci tra le righe del bando di gara.  Un bando che presenta una base d’asta di 700mila euro in 5 anni, è un bando miope. Un bando con 6 sopralluoghi da parte di 6 soggetti diversi tra loro e nessuna offerta è evidentemente un bando sbagliato.
Che disarma anche i soggetti con le migliori intenzioni.
Crediamo sia utile un raffronto con il principale contenitore culturale della città, che è stato spesso considerato un esempio positivo di gestione: bct, la biblioteca di Terni. Uno spazio di circa 2.000 metri quadri aperto circa 55 ore settimanali per un legittimo costo annuo di circa 2,2 milioni di euro a carico totale del Comune di Terni. Il CAOS è uno spazio di circa 6.000 metri quadri aperto per circa 80 ore settimanali, il cui costo complessivo è stato negli ultimi 5 anni di circa 850mila euro annui di cui solo 350mila (IVA inclusa) a carico del Comune di Terni.
In sintesi, il CAOS già adesso costa complessivamente circa il 40% del costo di bct con un costo a carico del Comune di Terni pari a circa il 20% del costo a carico del Comune riferito a bct. Questa città non ha bisogno di altri luoghi per la cultura senza risorse per gestirli, ha avuto abbastanza fallimenti da sopportare. Non ha bisogno di un presidio della Sovrintendenza se non si cura del proprio patrimonio storico artistico. Ha bisogno che prima di tutto venga riconosciuto il lavoro culturale qualificato. Quello che si è appena chiuso è infatti un bando che facilita la dequalificazione del lavoro culturale, che non valorizza le competenze, che non premia il merito, che ignora la progettualità, che non tiene in considerazione la sostenibilità economica e umana.
Scegliere di non partecipare – prosegue il documento – implica che giovani professionisti preferiscano rimettersi in discussione e cercare un altro lavoro piuttosto che piegarsi a condizioni insostenibili eticamente e finanziariamente; che giovani imprenditori rinuncino ai propri investimenti, che giovani ternani scelgono di lasciare questa città. Non ci sono casi al mondo di città che reagiscono alla crisi rinunciando al lavoro qualificato, anzi le uniche città in Europa e negli USA che rispondono meglio alla crisi sono proprio quelle che sostengono il lavoro qualificato, quelle che rinascono grazie alla fioritura dei suoi talenti.
Non sarà Indisciplinarte a gestire il CAOS ma chiediamo che – a prescindere da noi – vada difeso e rilanciato l’investimento in cultura di questa città. In altri termini, che Terni faccia una scelta definitiva e non più negoziabile per la cultura, il lavoro qualificato e l’impresa culturale. Indisciplinarte oggi avrebbe consegnato un luogo che funziona, in ottime condizioni, portatore di un valore che abbiamo costruito negli anni. Un luogo dove abbiamo generato trasferimento di valore tra generazioni, un luogo di connessione tra Terni, i suoi abitanti, e il mondo intero. Questo – conclude il documento di Indisciplinarte – è il senso pubblico del CAOS, questo è quello che non deve essere disperso”.
L’impressione è che la questione meriti di essere ampiamente ridiscussa non solo all’interno di Palazzo Spada, ma necessiti di uscire fino a coinvolgere l’intera città. Ammesso che si senta sete di cultura.

 

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