Avviso ai naviganti Bollettino n°24

STOP ALLA MORIA DI EDICOLE

STOP ALLA MORIA DI EDICOLE
PAROLA DI GIORNALAIO-GIORNALISTA

PERUGIA – Giornalaio e giornalista, forse giornalista e giornalaio, non so.
Sta di fatto che credo di avere inchiostro di giornale al posto del sangue, perché la mia vita è costellata da una strettissima relazione con i giornali, con la carta stampata. La mia famiglia a Terni proveniva a sua volta da una genìa di edicolanti, a cominciare dal mio trisavolo, un omone di circa 130 chili, alto circa 1,95, Giovannone lo chiamavano. Il mio esatto contrario che ho eredito i geni materni, mia madre supera di qualche centimetro il metro e 50 e io a malapena raggiungo il metro e 70.
Un “piccolo prodotto” del mondo dell’editoria che sin dalla più tenera età ha vissuto una vita sul filo dei tempi totalizzanti di chi è impegnato in questo settore: i giornali, dalla redazione, alla stampa, alla distribuzione, alla vendita non lasciano scampo: fanno parte di quei lavori che possiedono le caratteristiche del tritacarne; tutto nel giro di qualche ora è già vecchio ed è necessario ricominciare daccapo ogni giorno. Dei giornali, della carta stampata, conosco ogni più piccolo dettaglio, perché, nato in una famiglia di edicolanti che poi passarono alla gestione di un’agenzia di distribuzione di giornali e periodici, ho vissuto la prima fase della mia vita – diciamo sino ai venti anni – già stritolato nella corsa contro il tempo per trasportare e distribuire giornali di edicola in edicola.
Nel frattempo, comunque affascinato dal meccanismo della carta stampata, cercai di approfondire gli aspetti della fattura dei giornali, della redazione, là dove le notizie arrivano, vengono scritte e trasformate in articoli. Frequentai un corso di giornalismo a Roma e non appena seppi che in Umbria stava prendendo vita una nuova iniziativa editoriale, un quotidiano locale, non esitai un attimo e chiesi un colloquio con il direttore del giornale che era nato in un clima di improvvisazione totale e molto lontano dai criteri di un prodotto professionale. Quel giornale era il Corriere dell’Umbria, nato tre mesi prima del mio arrivo in redazione a Perugia, il 18 maggio del 1983. Fu un avvio drammatico per il Corriere dell’Umbria, per tre mesi sospeso tra la sopravvivenza e la prospettiva di imporsi nel mondo editoriale alla ricerca di nuovi lettori che avessero gradito un’informazione capillare su quanto accadeva in Umbria, ma diversa da quella che offrivano le testate dominanti, Messaggero e Nazione, sino a quel momento.
Iniziò la mia avventura da giornalista che combaciò con la decisione dell’editore di perseguire con maggiore convinzione il progetto di un giornale locale. Fu chiamato a tre mesi dal primo numero del Corriere dell’Umbria in edicola, un nuovo direttore, Giulio Mastroianni, con esperienze consolidate come direttore di altri giornali locali, come il Tirreno, ed ex caporedattore di La Repubblica. Fu l’inizio di una prima “rivoluzione” al Corriere dell’Umbria, sia nell’impostazione grafica che in quella organizzativa e contenutistica. Per questo mi sento di poter rivestire il ruolo di fondatore o ri/fondatore del giornale, perché solo da quel momento il Corriere dell’Umbria cominciò a fare sul serio, pur tra mille problemi ancora da risolvere.
Ricordo ancora che non ancora del tutto distante dal ruolo di giornalaio-giornalista, spesso dopo aver assolto ai miei doveri di redattore e chiuso il giornale, dopo la fase di stampa in rotativa, caricavo di pacchi di giornali la mia macchina per trasportarli sino a Terni, dove i miei genitori mi aspettavano per cominciare la fase della distribuzione alle edicole. Un lavoro che si svolgeva interamente di notte con sveglie alle tre del mattino e notti insonni per me. Giornalaio e giornalista, o giornalista e giornalaio dunque. Nel frattempo – sembrano passati secoli – il mondo è cambiato, soprattutto quello dell’informazione, tra i molti che hanno subito una profonda trasformazione.
L’affermazione del Web ha sconvolto le carte in tavola e alla carta stampata rimangono spazi che stanno mano a mano diventando marginali, ma non per questo – e non è questione di nostalgia – la carta stampata può essere relegata ad un settore passatista. Il mio inchiostro nelle vene ribolle quando constato che quello dell’edicolante è lavoro che non può reggere l’impatto del tempo. Eppure l’edicola è quell’esercizio di prossimità che oltre a rappresentare presidio di cultura e democrazia assolve anche alla importante funzione sociale di presidio territoriale che contribuisce a rendere vitale e partecipata la vita sociale del quartiere urbano di riferimento, luogo di scambio di opinioni e di vissuto quotidiano. E’ anche questa la funzione dell’edicola che, se ammodernata nella sua progettazione e arricchita di una multifunzionalità contemporanea come hub e infopoint multimediali sul modello, ad esempio, di quelle parigine, potrebbe continuare a svolgere un ruolo importante di presidio civico.
Questo senso della cittadinanza, dell’appartenenza ad una comunità che presidia i suoi valori come quello di una riflessione e di un approfondimento dei fatti offerta dalla carta stampata, al di là del puro momento informativo, ormai dominio degli altri media, tivù, radio e web, è stato già adottato, ad esempio, a Firenze dove il Comune sta cercando di detassare gli edicolanti delle imposte e delle tasse più gravose. Anche questa è una modalità per riconoscere alle edicole la funzione sociale che hanno sempre ricoperto.

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