PERUGIA – Dal gioco di carte della Briscola, si può imparare a ideare, immaginare e realizzare un impero: l’impero del cashmere, lontano anni luce dalla fatica del lavoro in agricoltura, eppure ispiratore del successo futuro. La visione è ampia, la poesia e la filosofia da autodidatta si sovrappongono al sudore e le stelle, la “stella bella”, risplende su quel ragazzo gracile, forte di un nucleo familiare numeroso e coeso, che offriva lui tutto quel che desiderava: un’esistenza al più stretto contatto con i ritmi della natura, le stagioni che si succedevano, i raccolti del grano e dell’uva, la relazione con gli animali, con le stalle, i maiali e i conigli che offrivano i prodromi, accarezzandoli con i pettini, della raccolta del cashmere in latitudini ben più lontane. E’ una storia di provincia nel passaggio tra una civiltà agreste e una urbana, dove vince chi esubera nell’intraprendenza senza limiti, pur nella distinzione tra chi ha il coraggio di osare e chi sonnecchia nella tranquillità delle ingenuità televisive. La sofferenza dà adito alla ribellione di chi non accetta di diventare schiavo della fabbrica, del lavoro da operaio come suo padre, si profilano sogni di una vita autonoma e indipendente per riscattarsi da un destino infame. Eccolo il giovane Brunello, esuberante e sognatore: forse di illusioni, ma ricolmo di progetti, suoi e del suo amore. Insieme sfidano la sorte, forse un po’ incoscienti, ma con i piedi ben piantati a terra, quella stessa terra che ha insegnato loro a vivere. Il cuore del film del Premio Oscar Tornatore sta proprio nel contrasto tra la gentilezza del personaggio e la vastità delle sue ambizioni: Brunello non è un genio irruente né un rivoluzionario rumoroso; è un protagonista che lascia che sia la grazia dei suoi pensieri a parlare. Le sue invenzioni — più simboliche che tecnologiche — diventano metafore potenti della possibilità di cambiare le cose senza perdere la propria autenticità. E se il biopic, insiste nella Briscola come oggettivazione di un riscatto tralasciando la retorica del self made man astuto e cinico, è per sottolineare che Brunello Cucinelli è sì un self made man, ma che al contrario della norma, non ha mai smesso di credere negli ideali di un’umanità intenta a costruire il proprio futuro sulla potenza dell’anima immortale, sia in senso spirituale, che nel senso di un “contenitore” di bene supremo che parte dal senso della famiglia, dalle relazioni autentiche e sincere, dalla forze e dalla coesione di un fine condiviso. Nel complesso, “Brunello, il visionario garbato” è un film che rinuncia ai colpi di scena per abbracciare la profondità emotiva. Non cerca di stupire, ma di toccare: una riflessione poetica sul valore della gentilezza, del pensiero libero e della creatività che non ha bisogno di urlare. Il film narra con le immagini una storia che parte dall’umiltà e culmina nel riscatto, un’opera che segna con le immagini – scusate il gioco di parole – il desiderio forse inconscio di Brunello Cucinelli – di fermare il passato e il presente per continuare a immaginare il futuro.


