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Ci siamo, è Natale, l’enfasi che ci ha accompagnato negli ultimi giorni, trova il suo picco in queste ore e, svanirà, come per magia, appena ci siederemo a tavola.
Tutto sarà perfetto, o quasi:
“Che spettacolo la galantina quest’anno!”
“Mai come quella del 2001, ma la gelatina è fantastica”.
Da un Natale all’altro si gioca a superare se stessi ma ogni volta si trova il pelo nell’uovo, un pelo che nessuno vede a parte chi ha preparato il piatto con l’amore che gli dedica ogni anno.
“I cappelletti? Divini come sempre, anche se ci avrei messo una puntina di buccia di limone in più!”
I cappelletti sono il piatto più atteso.
In realtà sono sempre perfetti e il brodo che li avvolge ha un gusto unico, che va oltre le carni e le spezie che lo compongono, ha il sapore dell’appartenenza, quell’appartenenza che fa nascere le tradizioni.
Il pranzo di Natale può avere derive strane: il ripieno del cappone non è sempre lo stesso, la parmigiana può essere rossa o bianca, possiamo servire torrone alle mandorle o alle nocciole.
I cappelletti no, loro sono una costante, l’unica vera certezza, immutabili e stabili come colonne portanti in una vita di Natali che ci ha visto crescere, cambiare e diventare ciò che siamo.
Il tempo vola e i piatti si susseguono, il cappone è squisito e il suo ripieno gustosissimo, la parmigiana ok, l’insalata sgrassa. I bicchieri si riempiono e si vuotano ad un ritmo frenetico e le parole fluiscono lontane dai pensieri di sempre.
Poi la fine, dopo dolce e caffè, ci si alza sazi, si rientra nella realtà e per un anno tutto questo tornerà ad essere una Madeleine.
Un consiglio ve lo voglio dare, dopo tale pasto fate un regalo a voi: una passeggiata lungo le sponde del Tevere, così a cena potrete mangiare gli avanzi senza alcun rimorso!
Buon Natale.
A domani.

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