Concerto ad Assisi con l'incredibile storia dei musicisti braccianti di Santa Vittoria

ASSISI – Giovedì 21 marzo al Piccolo Teatro degli Instabili di Assisi è in programma il concerto dei “Violini di Santa Vittoria”  in “Denominazione di origine popolare”, l’incredibile storia dei musicisti braccianti di Santa Vittoria. Testo e narrazione
di Orfeo Bossini; arrangiamenti di Davide Bizzarri. Musiche di Amedeo Bagnoli, Arnaldo Bagnoli, Enea Bagnoli, Davide Bizzarri, Aristeo Carpi, Fabio Uliano Grasselli, Giuseppe Verdi. Eseguite da I Violini di Santa Vittoria:  Davide Bizzarri – I violino; Orfeo Bossini – II violino; Roberto Mattioli – III violino; Ciro Chiapponi – viola; Fabio Uliano Grasselli – contrabbasso. Regia a cura di Paola Bigatto.
Nei primi decenni dell’Ottocento si diffondono nelle campagne emiliane nuovi balli di origine popolare. Sono il valzer, la mazurca, la polca. Musiche che arrivano da lontano e che subito innestano le loro melodie, i ritmi, e soprattutto un nuovo modo di fare musica, sul tronco di una cultura arcaica e contadina. Nasce il liscio e a Santa Vittoria di Gualtieri (Reggio Emilia) questa nuova tradizione musicale prende la forma di un fenomeno unico nel suo genere. Si suona con gli strumenti ad arco, in piccoli gruppi orchestrali di cinque elementi che prendono vita quasi in ogni famiglia. Sul finire del secolo questo piccolo borgo ha già assunto i contorni della leggenda, diventando nella grassa immaginazione degli uomini della bassa il Paese dei Cento Violini.
La maggior parte delle musiche eseguite, tutte originali, appartengono alla famiglia Bagnoli, una delle più importanti e rappresentative della storia di Santa Vittoria. Sono valzer, mazurche, polche, tanghi, e onestep, scritti tra gli anni venti e trenta del Novecento, ricostruiti come testimonianza del gusto musicale di un’epoca. Un lavoro di arrangiamento che è servito a ridar vita a musiche dimenticate, nel rispetto della loro originaria freschezza. Lo spettacolo si arricchisce anche di un tessuto narrativo che introduce e accompagna passo passo lo spettatore all’interno della vicenda storica. In una sorta di omaggio ai filò di stalla viene snodata la memoria di una terra che non è soltanto uno spazio geografico ma anche e soprattutto un pezzo di cultura del nostro Paese.

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