Coronavirus, l'epidemia doccia-fredda che ridimensiona il nostro Io

PERUGIA – Forse non è una pandemia, forse riusciremo ad arginare presto l’ondata di isteria collettiva che sta attanagliando il nostro paese, ma di certo già da ora gli effetti dell’epidemia stanno producendo una lunga serie di reazioni a catena che stanno trasformando costumi e certezze che sinora apparivano granitiche e che nell’attimo di un batter d’occhi sono crollate così come si scioglie la neve al sole. Che sta succedendo? Perché abbiamo così bisogno di essere rassicurati da pareri di esperti in materia? Perché ci chiudiamo in noi stessi nel timore che qualsiasi contatto possa produrre effetti sulla nostra salute? Ci sentiamo umiliati, offesi perché alcuni Paesi europei ed extraeuropei ci trattano da untori e ci chiudono le frontiere in faccia, abbiamo già inginocchiato l’economia con un forte rischio di recessione. E’ un mondo alla rovescia quello che stiamo vivendo dove quelli che sino a ieri erano considerati reietti da respingere in mare ora rifiutano di ospitarci nei loro rispettivi Paesi di origine. L’Africa è sana, almeno sinora, l’Italia no. E chissà se non sia questo l’inizio di una nuova era, così come del resto le pandemie della peste, del colera, del tifo hanno trasformato abitudini e culture, usanze e idee a cominciare dal medioevo sino ai nostri giorni? Chissà se il nostro ego ipertrofico che si era ingigantito a dismisura in questi ultimi anni non subisca ora gli effetti di una inaspettata doccia fredda di umiltà che ricolloca anche una nuova fase di intermediazione, dopo i fasti della disintermediazione “catartica” che rifiuta il sapere e le diagnosi di chi ne sa più di noi in fatto di medicina o di economia, di scienza o di prevenzione, i saperi delle élite che fino a ieri abbiamo “seppellito” con un “vaffa” liberatorio. Rimettendo in discussione l’efficacia dei vaccini, dubitando dell’affidabilità degli intenti dell’industria farmaceutica, sospettando che le scie degli aerei potessero condizionarci nei nostri atti e nelle nostre idee, dubitando che l’Uomo sia mai allunato effettivamente, persino dando voce alle follie terrapiattiste e via dicendo. La frammentazione delle certezze, la destrutturazione dell’Io egoico di chi combatte da eroe, spesso eroe da tastiera sui social, contro un sistema corrotto con il solo intento di proliferare potere e ricchezza non è forse anche una manifestazione di hybris che ha illuso tutti sul fatto che ognuno potesse essere autentico protagonista della propria vita e delle proprie scelte, senza considerare che ogni scelta è anche politica ed è in stretta relazione agli altri, alla comunità, al mondo? E’ il modello iperindividualista che si rimette in discussione, quel modello derivato dall’ipertrofismo dell’Io e dell’anticivismo che sta crollando sotto i colpi di maglio della disgregazione diffusa. Un modello sociale di cui già Tocqueville aveva individuato i limiti nei suoi viaggi in America e che in questi anni ha pervaso la temperie politica e culturale del Paese, grazie soprattutto alla proliferazione delle esternazioni più vili e squallide a cui si prestano i social, con un intento di disinformazione e un effetto di spaesamento. Alla luce dell’oggi lo spirito critico che rimane alla base dei progressi e dei cambiamenti dell’Uomo non può non avere anche una nuova visione: quella del “noi”, dell’etica del rispetto dell’altro, del mondo e della condivisione, contrapposta a quella dell’Io.

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