Coronavirus, l'Umbria "sospesa" che ripensa se stessa

PERUGIA – Irreale, sospesa, silenziosa e assorta, l’Umbria medita su se stessa. Allenta i suoi vincoli alla contemporaneità forse per ritrovarsi in un isolamento che la sublima nella sua essenza di terra sacrale e mistica, ieratica e severa. Eccola che si rispecchia in se stessa, solitaria e muta, come se di colpo il formicolare dell’uomo l’avesse lasciata andare. Non è deriva quella dell’Umbria, è terra che sembra riconciliarsi, forse stanca, forse per troppo tempo subissata del frastuono di moltitudini di passaggio che non la potranno mai percepire sino in fondo. Negli sguardi del Perugino che ne tratteggia per primo sullo sfondo l’incanto delle sue colline, o nelle “paradisiache” scomposizioni futuriste di Gerardo Dottori che ne svela le visioni aree: “Mediante gli stati d’animo delle velocità aeroplaniche – confessa Dottori – ho potuto creare il paesaggio terrestre isolandolo fuori tempo spazio nutrendolo di cielo per modo che diventasse paradiso”. Sospesa tra tempo e spazio, sembra voler dimenticare l’ansia da Coronavirus, per lasciare gli ambiti quotidiani del naïf Orneore Metelli: si spoglia delle scarpe che la calpestano e dei mille particolari descritti dal pittore ciabattino, per camminare a piedi nudi, tra l’erba fresca che la primavera le sta regalando. Oppure no. Un alter ego che giace in fondo ad ognuno dei suoi abitanti ne esalta una natura che sa essere anche matrigna, dalla quale non ci può difendere, che ne oscura tutta la sua abbagliante bellezza, si fa paesaggio notturno e temibile, assimilabile all’alterità di uno stato d’animo crepuscolare:Mi avevano lasciato solo nella campagna – sono versi di Sandro Penna –  sotto la pioggia fina, solo. Mi guardavano muti
meravigliati i nudi pioppi. Soffrivano della mia pena. Pena di non saper chiararnente… E la terra bagnata e i neri altissimi monti tacevano vinti. Sembrava che un dio cattivo avesse con un sol gesto tutto pietrificato. E la pioggia lavava quelle pietre”. E’ solo un attimo. Sospeso e ineffabile. Un attimo di distacco come quello invocato da Aldo Capitini nella poesia Invocazioni: “Oh datemi consolazioni reali, non inventate. Troppo so distinguere ciò che è dell’immagine, e ciò che è reale. Reale è un essere che nasce, reale è il dolore il piacere, reale è la morte. E non voglio essere causa di dolore a nessuno. Date parole che siano reali come cose, e più delle cose. Una realtà che unisca e liberi, da tutto ciò che è dolore. Perché non congedare anch’io, i limiti quotidiani tra me e me? La mia infelicità è che evito i sofferenti, gli ospedali, il pensiero delle prigioni. Resto con voi, ma perdonatemi se mi vedete come un pazzo talvolta. Ho bisogno ad un tratto di divario di giuoco, di mescolarmi con i parchi di giostre e di chiasso. Sosto ad ascoltare i discorsi più semplici e dialettali, delle donne nei mercati Mi allieto ad udire i passi dei bambini che corrono, le loro grida prepotenti”. Ora è tutto silente, sparuti anziani lungo le vie qualche bambino allarga la braccia per tenersi distante, come in un gioco, almeno un metro dalla mamma. L’edicolante con la mascherina che si destreggia tra gli scaffali del chiosco non si lamenta: “Bisogna informarsi per combattere il virus!”. Ma vuole anche lei rifuggire e dalla radio escono note allegre, alterne a quelle delle news. “Per fortuna la musica che mi distrae”. Chissà cosa improvviserebbe Luciano Fancelli con la sua fisarmonica? E chissà cosa sarebbe capace di inventarsi Enrico Vaime sull’esistenza ai tempi del Coronavirus? Forse, parafrasando una sua intervista direbbe che il Covid-19 è come quello strano personaggio che incrociò sulla sua strada durante un viaggio, appena diciottenne, nei Paesi del Nord Europa: “Dunque, lungo le strade c’erano pochissimi distributori. Ma lì la gente era abituata e girava con le taniche piene. E quando una volta sono rimasto senza benzina, ho conosciuto un personaggio incredibile. Vicino a una cittadina che si chiama Mo i Rana la domenica si metteva ad aspettare gli automobilisti senza carburante. Si appostava con due taniche. Questo tipo era uno spagnolo che era stato perseguitato dai Tedeschi, durante la guerra. L’avevano catturato in Spagna ed era scappato in Francia. L’avevano catturato in Francia ed era scappato in Norvegia e l’avevano catturato anche lì. Sopravvissuto a tutto, aveva deciso di organizzare una sua piccola vendetta personale e capillare. Appena si fermava una macchina tedesca, lui correva a rimboccare il serbatoio. Poi partiva. La macchina tedesca faceva 500 metri e poi si fermava per sempre. Perché nella tanica c’era l’acqua. Ne avrà seccati a centinaia!”. Ironia noir per scrollarsi di dosso la paura e per solennizzare il genio umbro di artisti e poeti, di musicisti e scrittori nell’Umbria sospesa che guarda da lontano se stessa.
 

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