Covid, è già una questione da museo

La consueta riflessione domenicale la dedichiamo oggi all’immanente. A ciò che satura da un anno la nostra esistenza partendo dal presupposto che la pandemia è di per sé già parte della Storia e, dunque, di come sostanziarla con documenti, testimonianze, materiali.

Lo Smithsonian’s National Museum of American History ha acquisito le fiale delle prime dosi di vaccino anti-Covid inoculate negli Stati Uniti d’America che, quindi, sono già parte della collezione.

Si tratta del vaccino che il 14 dicembre è stato somministrato all’ospedale Northwell Health di New York. In mostra ci sarà persino la scheda riferita alla prima americana vaccinata, l’infermiera  Sandra Lindsay, con lo scrub, il badge di identificazione dell’ospedale e la fiala Pfizer-BioNTech.

Non solo America. In Gran Bretagna, a Londra, il Victoria&Albert Museum ha creato una call che raccoglie disegni, cartelli e segnaletiche realizzati durante la pandemia.

Inevitabile viene da dire che già dallo scorso aprile si sia mosso anche lo Science Museum, sempre a Londra, che ha preannunciato l’inserimento di una collezzione che avrà per tema la pandemia da Covid. E’ facile prevedere cha altrettanto accadrà, in varie forme, in vari Stati. Italia compresa.  Al di là della valenza documentale, fissare questo momento in forma storicizzata ha evidenti rimandi: ne cogliamo due tra i più evidenti.

La funzione esorcizzante: il documento-reperto, l’analisi che lo riguarda, la collocazione temporale che si è obbligati a farne, predispone già a parlarne al passato. Dunque, il Covid che è stato, oltre a quello che al momento è. Il punto di osservazione pretende, così, il distacco. Un allontanamento. Con tutte le considerazioni che ciò comporta.

L’altro concerne l’interesse che la musealità deve esigere, ovvero il valore storico-scientifico dell’oggetto. Che in questo caso è uno spietato monito all’Umanità.

Foto di copertina: ambiente.tiscali.it

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