Cultura, dai tentativi di creare una identità comune di lavoratori alla batosta del secondo lockdown: le cose da chiedere al MiBACT

La riflessione domenicale di Vivo Umbria prende spunto dall’incubo che torna più inquietante di prima per il comparto cultura. Nella prima fase del lockdown c’è stato il tentativo apparentemente compatto, comunque fortemente motivato da più parti,  di mostrarsi “categoria”. Impresa difficile viste le variegate forme di arte diversamente articolate, l’assenza di una coscienza del lavoro maturata in forma tradizionale, la totale mancanza di un sentimento convintamente corporativo. Sono comunque partite iniziative per farsi riconoscere, finalmente, perlomeno “lavoratori”. Anomali, per così dire, quanto si vuole, ma determinati a mettere in campo esigenze comuni.
Il secondo lockdown sembra aver fortemente minato questo “movimento” per la potenza della batosta che ha colpito un Paese già pesantemente fiaccato nella testa e nel corpo. Viene in mente, in maniera inquietante, quanto affermò Adriana Asti al Cortile di Francesco a settembre, poco meno di due mesi fa. Straordinariamente spietata la sua visione nel prefigurare il futuro, in questo caso del teatro, in tempi di Covid: “Il teatro è all’ultimo posto dei problemi che possono avere in questa fase i nostri amministratori. Forse al penultimo. Impossibile una chiamata a raccolta di tutti per farsi sentire. Non è accaduto in passato né accadrà in futuro. Questo per nostra natura e natura del lavoro che svolgiamo. Siamo individualisti di fatto”.
E allora, che fare dopo una sostanziale falsa partenza sia sul fronte sindacale che delle proposte artistiche che si è tentato di mettere in campo tra mille difficoltà?
Interessante ci è parso l’intervento di Stefano Monti sulla rivista Artribune di oggi. Iniziamo col dire che l’autore insegna management delle organizzazioni culturali alla Pontificia Università Gregoriana.  Da più di un decennio fornisce competenze a Regioni, Province, Comuni, Sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale. In questo senso enumera 14 proposte da avanzare al ministro Dario Franceschini, pertanto al Mibact. Inizia con alcuni dati in  premessa: in Italia, nel 2019, secondo Eurostat, il settore culturale (incluso nel cluster Arts, Media and Entertainment; other service activities) ha pesato per il 10,3% del totale dell’occupazione, generando il 4% di valore aggiunto lordo (risultato più elevato rispetto alla media EU, ma che comunque rivela un basso valore aggiunto per occupato). Poi Monti entra nel merito dell’entità MiBACT: “rappresenta una importante fetta di strutture museali e luoghi della cultura e ha un consistente organico; ha una quota significativa di professionisti, Partite IVA, lavoratori precari e anche (purtroppo) parte di economia sommersa. Le necessità di tutte queste categorie sono estremamente differenziate, così come gli obiettivi di medio periodo che il nostro Paese può raggiungere grazie a loro”. Infine Monti passa ai suggerimenti indirizzati al Ministero.

LE AZIONI SUGGERITE AL MIBACT

“Tenendo anche in considerazione le cospicue risorse che arriveranno, nel prossimo triennio, dalla politica di NextGenerationEU, la principale attività che il MiBACT dovrebbe avviare – suggerisce Monti – è una fase di confronto e di dialogo con il MISE per individuare delle sinergie economiche e finanziarie attraverso le quali creare specifici piani di sviluppo per il comparto privato delle industrie culturali e creative”.

Per l’elencazione completa rimandiamo ad Artribune, noi evidenziamo 4 punti che ci paiono una base sulla quale trovare punti d’incontro concreti per un’azione quanto più possibile comune.

  1. Creare una specifica forma contrattuale per le Partite IVA attive nel settore dello spettacolo, della cultura, della creatività, in base alla quale le Partite IVA che lavorano con società attive nei settori ATECO della cultura e della creatività possano accedere ai medesimi benefici dei dipendenti in termini di suddivisione degli oneri contributivi.
  2. Ridefinire un modello contrattuale unico per tutti i lavori del settore culturale e creativo, caratterizzato da una quota di contributi condivisa tra il datore di lavoro e l’INPS.
  3. Favorire la riconversione di quelle società (già in difficoltà prima dell’emergenza) verso attività coerenti con gli obiettivi europei, attraverso la definizione ex-ante di un programma di finanziamenti chiaro, legato all’industria dei servizi, che anticipi, anche con un grande preavviso, l’avvio reale delle attività.
  4. Soprattutto, definire un Piano di Crescita per ogni settore, che abbia fasi, obiettivi e finanziamenti precisi e trasparenti, così da consentire alle imprese di capire (ora) in quale fase possono rientrare (tra un anno o due) e quindi poter tener conto di tale sviluppo, oppure se devono cercare di trovare altre strade.

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