Da Maresco a DepiStato, il racconto di una storia sbagliata

SPOLETO – Allo Zen (Zona Espansione Nord, quartiere periferico di Palermo, ndA.) non posso dire abbasso la mafia, non mi interessa. È una frase che ripetono spesso i personaggi narrati da Franco Maresco, il regista di La mafia non è più quella di una volta che quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia ha ottenuto il premio speciale della giuria e che fino a martedì 24 settembre sarà proiettato alla Sala del Cinema Pegasus a Spoleto.
Il suo è uno spaccato grottesco su come si è trasformata la memoria riguardo alle stragi di mafia del 1992, quella di Capaci il 23 maggio e quella di via d’Amelio il 19 luglio, che cosa significano quelle date e quei nomi per le nuove generazioni spesso manipolate da quelle vecchie e omertose.
Una narrazione che non può sembrare inaspettata, vista la mole investigativa che forze dell’ordine, magistratura e stampa hanno impiegato in questi ventisette anni per scoprire una verità più volte oltraggiata. Le motivazioni depositate della sentenza del Borsellino Quater l’anno scorso parlarono chiaro, pur lasciando aperte alcune domande, definendo quello su via d’Amelio “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. La Corte d’Assise di Caltanissetta, come aveva messo in luce la sentenza 20/21 aprile 2006 della Corte d’Assise d’Appello di Catania, riflette e osserva su quale potrebbe essere stato il “movente generale” che aveva spinto l’ala stragista e mafiosa guidata da Cosa nostra in combutta con alcuni apparati dello Stato ad accelerare l’uccisione di Paolo Borsellino. “L’obiettivo consiste nel ‘destabilizzare’ la compagine statale: ‘destabilizzazione che, è evidente, non poteva essere fine a se stessa ma che doveva condurre alla ricerca di nuovi referenti istituzionali in sostituzione di quelli precedenti, dimostratisi del tutto inidonei’”, (Cfr. Corte d’Assise di Caltanissetta, sentenza Borsellino Quater, 20 aprile 2017, p. 763).
Il modo, lo scempio con cui le indagini sono state più volte fatte abortire, sono state raccontate con scrupolo nel libro pubblicato a giugno scorso da Chiarelettere “DepiStato. Il mistero di via d’Amelio: tutti i buchi neri della strage nella più clamorosa falsificazione della Repubblica” di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza. Visti i processi ufficiali e quelli paralleli, come quello sulla Trattativa Stato-mafia e quello della Procura di Messina incaricata di analizzare la condotta di alcuni magistrati, gli errori, i personaggi, le manovre scomode, il coinvolgimento della mafia ma anche dello Stato e del Sisde, si è reso necessario per gli autori un dettagliato resoconto di quanto finora si è scoperto e di ciò che ancora è rimasto nell’ombra. Una scrittura, la loro, essenziale e oggettiva, che indaga la strage come se fosse una, complessiva di molte altre e che ricostruisce quali furono e cosa fecero quegli uomini in balia dello Stato che con intenzione decisero di depistare le indagini su via d’Amelio. “Quanto sapeva lo Stato (e ha taciuto) nelle sue più alte cariche istituzionali?” si chiedono Lo Bianco e Rizza prima dell’epilogo, in due pagine di domande rimaste ad oggi ancora senza risposta.
E allora come potersi meravigliare se proprio in Sicilia i personaggi di Maresco nei quartieri periferici con più alta densità di criminalità non mostrano, o non possono mostrare, dissenso e contrarietà? Talvolta non possono mostrare neanche interesse, non possono scegliere perché in loro resta impressa la cultura mafiosa che si scontra mostruosamente con chi fa passerelle all’altro capo della strada, che di memoria ugualmente non ne comprende il senso. Forse per far loro stigmatizzare una volta per tutte ciò che il contrasto alle mafie dovrebbe, oggi, rientrare nella consapevolezza individuale, è utile ricordare le parole di Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo, in poche righe che si trovano proprio in fondo al libro di Rizza e Lo Bianco e che recitano così: “È da almeno dieci anni che si è interrotto il rito delle corone d’alloro, dei simboli di morte, deposte in pompa magna in una strada che era diventata un simbolo di violenza e di sangue ma dove la madre di Paolo Borsellino ha voluto che fosse piantato un albero d’olivo, simbolo di speranza, speranza di cambiamento e di una verità e di una giustizia che a ventisette anni di distanza i martiri trucidati in quella strada ancora aspettano. È da almeno dieci anni che delle Agende rosse alzate al cielo impediscono agli avvoltoi di tornare sul luogo della strage per assicurarsi che Paolo sia veramente morto”.
Un albero d’olivo che i ragazzi raccontati da Maresco non sono in grado di capire, piantato in una strada che avrebbe dovuto insegnare il potere della legalità ma che invece attende ancora un reale e interessato dibattito parlamentare. Ci sarà un motivo se dopo ventisette anni la siciliana Commissione regionale antimafia ha aperto una sessione di lavori su quella strage. Intanto la Procura nazionale antimafia ha costituito un pool di magistrati con gli stessi obiettivi, coordinati dal procuratore aggiunto Giovanni Russo ci sono Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, titolari pm del processo sulla Trattativa. Motivazioni ce ne saranno tante come quelle avanzate dal procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho che a maggio scorso ha rimosso dal pool Di Matteo, comunicando il provvedimento al Csm, in seguito a un’intervista che il magistrato aveva rilasciato ad Andrea Purgatori su La7. Perché? “Avrebbe rivelato alcune analisi che ricalcano le piste di lavoro riaperte sulle stragi, oggetto di riunioni di lavoro riservate”. Le frasi incriminanti dell’intervista, secondo qualcuno, riguardavano però elementi noti che già da tempo facevano ipotizzare negli ambienti e nell’opinione pubblica che sulle stragi si fosse mossa qualche mano esterna. E ciò fa pensare che, tutto sommato, il clamore suscitato da questa storia non fosse abbastanza e che la falsa riga della lotta alla mafia, cantata a squarciagola sulle note di quei neomelodici siciliani, sia anch’esso il prodotto perfetto del depistaggio.
 
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, DepiStato. Il mistero di via d’Amelio: tutti i buchi neri della strage nella più clamorosa falsificazione della Repubblica, ed. Chiarelettere 2019, pagg. 247, euro 16.50.
 
 

Riccardo Regi: Direttore di Vivo Umbria, Perugino, laureato in Lettere, giornalista professionista dal 1990, vice direttore dei Corrieri Umbria, Arezzo, Siena, Viterbo, Rieti per 18 anni.