Daniele Fabbri, ovvero tutte le verità comode di uno stand up comedian

FOLIGNO – Sarà Daniele Fabbri con le sue “Verità comode” stasera, 26 gennaio, a inaugurare la stagione di stand-up comedy di Athanor Eventi “Foligno on stage” all’Auditorium Santa Caterina.

E con questa intervista entriamo nel merito del suo spettacolo e, come nostra consuetudine, di altro ancora.
– Di solito si dice che le verità sono scomode. Nel suo caso, parrebbe di no. Come la mettiamo?
Lo spettacolo parla fondamentalmente di cambiamenti. E in particolare del mio che sto affrontando l’arrivo dei miei primi quarant’anni. Parlo dunque di metabolismo che offre lo spunto per un’analisi di questa nuova fase di vita in cui mi trovo ad apprezzare molto di più alcune cose semplici, quelle che ci danno la felicità.
– Per esempio?
Il fatto che l’anno scorso, a quarant’anni per l’appunto, per la prima volta ho preso un gatto. Che ho dedicato molto più tempo alla mia famiglia frequentando i miei fratelli, che mi sono dedicato a crescere i miei nipoti. Alla fine le verità comode sono tutte quelle acquisite fin da bambini, quando ci sentiamo dire dell’importanza del dell’amore familiare, delle relazioni, del procurarsi le piccole gioie quotidiane. E ce lo diciamo così tanto che a volte ce ne dimentichiamo, perché diventano retorica.
– Invece una verità scomoda che le procura fastidio di questi nostri giorni, in questa fase diciamo particolarmente complicata. Ad esempio: la politica?
Apriremmo un parentesi incredibilmente ampia. Il momento politico che viviamo è molto figlio dei nostri tempi e lo si vede dalla nostra classe dirigente. Mi riferisco al senso di responsabilità e di serietà che si dovrebbe avere quando piuttosto i politici si mettono a fare intrattenimento, spettacolo. Al punto che talvolta mi metto io a cercare di contribuire a far maturare il pensiero dell’opinione pubblica che non dovrebbe essere il mio lavoro, ma il loro.
– Lei è considerato un veterano della stand up comedy: mi dice le tre regole auree che lei segue quando è sul palcoscenico?
La prima è che il pubblico è molto più intelligente di quello che normalmente ci raccontiamo e quindi va trattato con rispetto. La seconda è che il mio lavoro è quello di far ridere le persone, più che farle riflettere. Se riflette è meglio, ma la priorità è la risata.
La terza è che io sono molto più scemo di quello che credo di essere.
– Questa è bella ma credo invece che lei sia una persona assolutamente intelligente. E che sul palco è bravissimo a utilizzare la scuola per mimo che ha frequentato. Sbaglio?
Beh, questa è una delle cose che mi fanno notare spesso e quindi sono contento che si veda. Diciamo che la scuola di mimo mi ha aiutato per la formazione teatrale che ho fatto. Sicuramente mi dà un supporto importante, ma la cosa di cui sono contento è in realtà avere più strumenti espressivi. Questo mi dà molto più modo di giocare sul palco e quindi di trovare cose che fanno ridere mentre le faccio e fanno ridere le persone mentre mi guardano. Quindi alla fine sono molto contento di questa cosa perché lo spettacolo è molto più ricco, più variegato e quindi ci sono molto più ingredienti che contribuiscono al divertimento.
– Quello che impressiona della stand up comedy è il contatto carnale con il pubblico. Le è mai capitato di trovare una certa freddezza e di sterzare rispetto al testo e a ciò che stava recitando?
Capita a tutti i comici che fanno questo lavoro e anche più spesso di quello che si possa pensare, e ognuno trova la sua modalità per affrontare la freddezza della plate che hai davanti.
– E che si fa?
Personalmente non modifico mai quello che è lo spettacolo, però se percepisco un qualche tipo di ostilità del pubblico fondamentalmente metto un attimo in pausa lo spettacolo stesso e quello che avevo da dire. Inizio a parlare con la gente, a fare domande, perché poi a me piace molto questo rapporto molto diretto col pubblico. Mi diverto tantissimo quando il pubblico interviene, quando magari risponde con una battuta che fa più ridere della mia.
Quasi mai è un problema vero e proprio di ostilità. La maggior parte delle volte è magari una incomprensione iniziale e lì l’importante è proprio fermarti. Guardare gli occhi delle persone. Prendersi un momento per creare un contatto, un rapporto amichevole. Da lì in poi le cose migliorano sempre, sempre, sempre. Io non sono mai andato via da uno spettacolo con il pubblico che è rimasto freddo, magari la sistemiamo in corsa e alla fine ce ne andiamo via tutti contenti perché altrimenti io mi rifiuto di farmi pagare.
– C’è un comico nella sua infanzia che l’ha particolarmente colpita?
Ce ne sono tantissimi, devo dire però quello che mi piace di più in assoluto è Corrado Guzzanti, anche se lui faceva un tipo di performance diversa, basata molto più sui personaggi e sulle imitazioni, cosa che lui sa fare benissimo. Lui è stato sicuramente il primo che mi ha acceso il fuoco della passione artistica e mi ha fatto pensare: ci voglio provare anch’io
– Umbria. Terra di santi e sante. Con la religione lei non ha un gran rapporto. Come la mettiamo?
L’Umbria è una regione che adoro particolarmente per tanti motivi. Ci sono un sacco di posti bellissimi ed la regione in cui per la prima volta ho passato un weekend fuori da casa mia con una ragazza, quando avevo diciott’anni. Uno dei miei più cari amici si era trasferito vicino Perugia quando frequentava l’università e non è mai più tornato a Roma e quindi lo vado a trovare spesso.
Devo dire, tornando alla domanda, che nonostante la tradizione che la vuole terra di santi, ho trovato tantissima gente affine invece con il mio spirito che non è proprio religioso. E al di là delle ideologie, credo che debbano esistere spazi dove ognuno è libero di condividere le sue idee e il suo spirito .

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