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E’ la laguna il nuovo orizzonte di Paolo Liberati con la mostra “Venezia è una pausa tra un antro e l’altro”

TERNI – “I delfini della montagna” fu, nel 1983, il primo spettacolo di Tradimenti incidentali, compagnia di teatro d’arte e di poesia fondata da Paolo Liberati con il fratello Andrea, Laila Santirosi, Emanuela Manini. In quell’occasione, con Enrico Bentivoglio, Paolo Liberati disegnò e colorò tutte le superfici della scena, oggetti e costumi degli “artori” compresi. Quello spettacolo segnò l’ingresso del collettivo artistico ternano nella scena del teatro d’avanguardia, ponendo le basi di una poetica fondata sull’intreccio tra teatro, pittura e visione.

Quella stessa energia performativa riaffiora oggi in Venezia è una pausa tra un antro e l’altro, mostra personale di Paolo Liberati alla Blue Gallery di Venezia a cura di Silvio Pasqualini, con testo critico di Lorenzo Mango. Un percorso che prende forma nell’intimità del suo “antro” e si apre a nuovi orizzonti, trovando nella luce veneziana il contesto ideale per rivelarsi. L’esposizione, inaugurata il 18 ottobre, è visitabile fino al 18 novembre.

Dopo anni di teatro in cui ha indagato testo, psicologia e attori come “realtà narranti”, oggi è il teatro stesso a guidare Liberati nella pittura. Le sue opere – acquerelli e graffiti realizzati con lentezza e contemplazione – nascono da un lungo processo di riflessione e sedimentazione in cui il teatro fornisce struttura, tempi e suggestioni visive. Per Silvio Pasqualini, “l’antro è la caverna dello studio dell’artista, dove tutto avviene. La stanza dell’alchimista”. Il dialogo tra antro e altro – buio e luce, interiorità e apertura – diventa metafora del rapporto tra Terni e Venezia: la prima, città “nascosta”, rappresenta il luogo della gestazione creativa; la seconda, da secoli crocevia di culture, il manifestarsi al mondo.

 

 

Nello scambio continuo tra teatro e pittura, Liberati elabora un linguaggio personale, denso e meditativo, dove sogno, memoria e cognizione si connettono in immagini di profonda intensità. Nella serie Teatri della visione a matita, la pittura si trasforma in “teatro dell’occhio e della mente”, spazi scenici impossibili da rappresentare fisicamente che si animano di tensione teatrale. Come un tempo la pittura alimentava il suo teatro, oggi è il teatro a nutrire la sua “pittura disegnata”.

“La Pittura – afferma Lorenzo Mango – è da sempre, per Paolo Liberati, la parte costitutiva di una pratica di scrittura artistica che ha coinvolto – su uno stesso piano – il Teatro e la sperimentazione mediale del video. Di questo linguaggio plurale e aperto all’ibridazione la pittura è, per molti versi, il fondamento”.

Già alla guida di Tradimenti Incidentali, l’artista perseguiva una “scrittura teatrale d’arte” basata su una forte componente visiva, espressa in spettacoli come I cervelli dai petali taglienti e Vincent, l’orecchio di Van Gogh. Il suo lavoro si inserisce nella tradizione del “teatro dei pittori”, dove pittura e scena si fondono, ma la sua ricerca visuale va oltre la scenografia, indagando tecnica, materia e forma. Allievo di Toti Scialoja, Liberati dialoga idealmente con maestri come Rothko, De Dominicis, Cucchi e Ceccobelli, esplorando le potenzialità narrative della pittura.

Negli ultimi anni predilige la grafite, mezzo che gli consente di attraversare una gamma tonale amplissima – dai neri assoluti ai bianchi luminosi – in un processo dove “vedere è un atto della mano”. Le sue immagini, sospese tra astrazione e figurazione, evocano paesaggi mentali attraversati da simboli e suggestioni in una “scrittura che si muove tra gesto e visione, tra intuizione e disciplina”.

Per Lorenzo Mango, “le immagini disegnate figurano spazi di teatri ‘impossibili’, esito di una visione assoluta, che non può tradursi immediatamente in una dimensione scenica materiale, ma non di meno è scenicamente e teatralmente motivata. Si tratta, infatti, di teatri-teatri, di drammaturgie pittoriche che portano in sé una ragione teatrale che al di fuori del foglio non può manifestarsi”.

In questa prospettiva, la mostra veneziana di Paolo Liberati si configura come un attraversamento di territori dell’anima, architetture di luce e di pensiero, dove la materia si fa linguaggio e l’immagine si rinnova in un equilibrio fragile e vitale, in continua trasformazione.

 

 

Paolo Liberati, incidentalmente a Venezia

Nato a Terni il 1° giugno 1957, Paolo Liberati è attivo come pittore dal 1973. Vive e lavora tra Terni e Roma. Dopo aver conseguito i diplomi all’Istituto d’Arte di Terni, alla Scuola di Design di Roma e all’Accademia di Belle Arti di Roma sotto la guida di Toti Scialoja e Alberto Boatto, nel 1982 aderisce alle teorie del critico e storico del teatro d’avanguardia Giuseppe Bartolucci, orientando la sua ricerca verso un teatro d’arte e di poesia con la compagnia Tradimenti incidentali. Da quell’anno realizza venti opere teatrali e numerose performance in importanti rassegne e festival, nazionali e internazionali, fondendo pittura, scena e sperimentazione visiva in un linguaggio unico e interdisciplinare.

È animata dallo stesso spirito di libertà e contaminazione la Blue Gallery di Venezia, situata tra Campo Santa Margherita e il Ponte dei Pugni. Diretta dal pittore e Maestro d’arte Silvio Pasqualini, la galleria si propone come un “cenacolo artistico, ideale e reale”, spazio indipendente e anticonvenzionale in dialogo con i linguaggi della contemporaneità, fedele a un’idea di arte fondata su stima reciproca e libertà espressiva. La mostra Venezia è una pausa tra un antro e l’altro di Paolo Liberati sembra collocarsi perfettamente in questa visione, riaffermando il valore della pittura come campo di pensiero e di esperienza, luogo di interrogativi e di risonanze interiori, di ricerca ininterrotta sul vedere, sentire, rappresentare.

                                                                                                                                                                                                                                            Lorella Giulivi

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