Ecco i numeri dell'Aur sull'interminabile declino dell'economia umbra

PERUGIA – E’ disarmante il rapporto sull’economia umbra redatto dall’economista Elisabetta Tondini per conto dell’Aur (Agenzia umbra ricerche). Secondo i numeri e le statistiche sull’andamento dei fattori macroeconomici l’Umbria ha rallentato – e di molto – il passo anche rispetto alle regioni del Sud Italia. Numeri e statistiche non sono sufficientemente esaurienti per definire un quadro completo, ci si chiede infatti come e quando verranno introdotti anche parametri di approfondimento sugli indici della felicità, come ad esempio avviene nel lontano Bhutan pur con tutti i dubbi sorti in proposito, ma di certo contribuiscono a definire meglio paradigmi di raffronto con le altre realtà regionali nel quadro di riferimento nazionale. Ed eccoli gli spaventevoli numeri dell’Umbria. “In attesa – scrive Elisabetta Tondini – che l’Istat ci consegni l’aggiornamento dei dati di contabilità territoriale, da cui potremo verificare se mai vi sia stato un cambio di passo nella dinamica dei flussi di reddito prodotto nel territorio umbro, può essere utile ripercorrere brevemente cosa è successo nell’ultimo quarto di secolo.
L’andamento economico dell’Umbria e dell’Italia negli anni 1995-2017 – idealmente scanditi da tre archi temporali, la seconda metà degli anni Novanta e i due del nuovo millennio segnati dallo spartiacque del 2008 – mostrano come il crollo dell’ultimo periodo sia stato anticipato da un chiaro rallentamento occorso già nel primo e ancor più nel secondo (tab. 1).
Il fatto che la crisi decennale abbia colto l’Umbria – ma anche il Paese – in un ristagno pluriennale non è stato certo senza conseguenze sul tentativo di ripresa che, soprattutto per la regione, stenta a realizzarsi.
Di fatto, dopo le due recessioni (2008-2009 e 2013-2014) che hanno caratterizzato il decennio, il Paese è tornato a risalire lentamente la china almeno fino al 2017, l’Umbria invece ha continuato ad arrancare: dal 2007 al 2017 solo in due anni ha visto crescere il proprio Pil in termini reali, visto che il livello realizzato al 2017 praticamente eguaglia quello dell’anno precedente (graf. 1).
 
 
 

 
 
 

L’esito di questo interminabile declino per la regione è stato particolarmente negativo dunque anche nella seconda fase recessiva, con il risultato che il tasso di crescita reale dal 2014 al 2017 è stato solo del 2,1% (+4,5% al Nord e +2,6% al Sud Italia, tab. 2).
A causa di questo stato di difficoltà dell’economia umbra, il Pil reale cala complessivamente nel decennio del 15,6%, praticamente più del triplo di quanto occorso su base nazionale, e molto più rispetto alle altre tre aree del Paese, Meridione compreso (tab. 1). La contrazione media annua è stata dell’1,7%, lontana dal -0,2% del Nord ma anche dal -1,1% del Mezzogiorno.
Anche il raffronto con le altre regioni italiane non è molto confortante. In una classifica stilata per dinamica del Pil reale dal 2008 al 2017 l’Umbria si colloca al penultimo posto, seguita solo dal Molise (graf. 2).

Alla fine, con 21,6 miliardi di euro, l’Umbria contribuisce alla formazione del PIL italiano del 2017 per l’1,2% (tradizionalmente oscillava, superandolo, intorno all’1,4%), mentre l’incidenza in termini di popolazione, dopo aver raggiunto il suo massimo nel 2011, nel calo generalizzato degli anni più recenti, si assesta all’1,46%.
Nonostante il più accentuato calo demografico verificatosi nella regione, il Pil pro capite umbro continua il suo progressivo allontanamento dalla media del Paese, sfiorando nel 2017 una distanza di 15 punti, praticamente quella dei periodi più critici dalla fine dell’Ottocento ai nostri giorni (la prima guerra mondiale e la seconda metà degli anni Cinquanta, graf. 3).
Intanto, questo procedere a ritroso rende ancora più sconsolante il confronto con la media dei Paesi Europei che per gli umbri, da questo punto di vista, a partire dal 2010 (tre anni prima dell’Italia) comincia a diventare sempre più lontana (graf. 4).

 
L’Italia, dopo lo stallo del 2018, non mostra ancora segnali significativi di ripresa, vista la quasi stazionarietà del 2019 (+0,1% o +0,2% a seconda che le stime siano della Commissione europea o dell’Istat) che ha posto il Paese ultimo nella graduatoria degli stati europei quanto a dinamica del Pil. E le previsioni per l’anno in corso, che pure prefigurano una modesta ripresa italiana dovuta alla domanda estera e alla spesa delle famiglie, confermerebbero per il secondo anno consecutivo il deludente primato italiano. Il tutto, in attesa di vedere come si collocherà l’Umbria in questo scenario.

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