Ecco le categorie di lavoratori più a rischio contagio nella ripartenza in Umbria

PERUGIA – Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia, responsabili di ricerca per conto dell’Aur (Agenzia umbria ricerche) stabiliscono il quadro dei rischi che incorrono i lavoratori a partire dall’inizio della cosiddetta Fase 2. “È ormai chiaro – scrivono i due ricercatori – che per cercare di contenere il rischio di una seconda ondata dell’emergenza sanitaria l’allentamento delle misure restrittive dovrà avvenire in modo graduale e differenziato. I fattori che entrano in gioco per le decisioni sulla riapertura delle attività produttive sono, in prima battuta, quelli di natura territoriale e settoriale.
Tuttavia per gestire in modo efficace questa fase è fondamentale disporre di informazioni ancora più specifiche: oltre a “dove” e a “cosa” si produce, un elemento dirimente per la sicurezza dei lavoratori è il “come” si produce, vale a dire quali sono le caratteristiche di rischio associate alle specifiche modalità di svolgimento di ogni attività lavorativa. In particolare, ai fini dell’esposizione al rischio di contagio per il Covid-19, assume particolare rilevanza l’operare a stretto contatto con altre persone, che siano colleghi o clienti.
Abbiamo provato a stimare la probabilità di contagio dei lavoratori in Umbria applicando il metodo di una recente ricerca che ha messo a punto un indice di rischio collegato all’attività lavorativa riferito alla prossimità fisica con altre persone.
Il valore dell’indice, calcolato per ciascuna delle 800 professioni censite dall’indagine Icp condotta dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, è stato ricondotto a livello di settore economico tenendo conto della loro distribuzione all’interno di ciascun comparto. L’indice varia entro una scala da 0 a 100 sulla quale è stata individuata la fascia di massimo rischio che va dal 66esimo percentile in su della distribuzione. Alla fascia di massimo rischio corrisponde per ciascun settore una quota di lavoratori il cui grado di prossimità fisica – e dunque di rischiosità – va commisurato al livello dell’indice. Ad esempio, la quota di lavoratori a più alto rischio nelle Attività di servizio alle famiglie, stimata pari al 40,1%, è più alta di quella stimata per il settore Sport e intrattenimento (32,5%), ma questo secondo settore si associa ad un indice di rischio superiore (59,7 contro 41,0). Questo significa che ad analoghe quote di lavoratori a più alto rischio possono corrispondere situazioni in cui la prossimità fisica ha rilevanza ben diversa.
I settori che presentano un indice di prossimità fisica più elevato appartengono al terziario e sono, nell’ordine, Alloggio e ristorazione, Istruzione, Sanità e Commercio. Questi quattro settori sono anche quelli nei quali si riscontra la maggior quota di lavoratori concentrata nella fascia a rischio più alto, cui corrispondono complessivamente quasi 90 mila lavoratori. Nello specifico, per oltre l’85% degli occupati nelle Attività ricettive e per quasi tre quarti dei lavoratori nell’Istruzione risulta molto difficile operare evitando di trovarsi fisicamente vicini ad altre persone.
Alla classe Medio-alta appartiene il settore della Manifattura, con un’ampia variabilità di situazioni al suo interno, cui si associano quote ben più basse di lavoratori a rischio, intorno al 10%, che corrispondono complessivamente a 6 mila e 500 occupati. Una percentuale ancora più bassa caratterizza le Costruzioni. Settori con quote più consistenti di lavoratori che non possono evitare di trovarsi a stretto contatto con altre persone sono la Pubblica amministrazione e le Altre attività di servizi, che comprendono ad esempio i lavori di acconciatori e altri trattamenti estetici.
All’interno della classe Medio-bassa si distinguono per una incidenza particolarmente significativa di mestieri che richiedono la vicinanza fisica le Attività di famiglie come datori di lavoro per il personale domestico, che includono professioni quali colf, cuochi, camerieri, giardinieri, baby sitter ecc.
Il settore che si caratterizza invece per la maggior incidenza di occupazioni che richiedono poca interazione interpersonale è l’Agricoltura.
Complessivamente, alla luce di questo criterio di stima, tra i 363 mila occupati in Umbria al 2019 il 34,7%, pari a 126 mila unità, può essere considerato “a più alto rischio” di prossimità fisica, un rischio graduato a seconda delle diverse esposizioni settoriali.

Nelle riflessioni sulle modalità più opportune per impostare un piano per la ripartenza, si stanno valutando anche ulteriori criteri legati a fattori epidemiologici. Come noto, l’infezione da SARS-CoV-2 produce effetti diversi a seconda dell’età e del sesso, per quanto riguarda sia i contagi sia il tasso di letalità. Quest’ultimo infatti aumenta con l’aumentare dell’età dei casi ed è più elevato negli uomini che nelle donne in tutte le fasce di età (tranne che per gli ultra novantenni).
Sotto questa chiave di lettura, i quattro settori ad “Alta prossimità fisica” – che da soli assorbono 134 mila occupati, il 37% del totale – si caratterizzano tutti, tranne il Commercio, per una spiccata prevalenza femminile: le donne, nel complesso, rappresentano infatti il 58% degli occupati e, in particolare, il 57% delle unità al di sopra dei 50 anni. La maggiore presenza di donne, anche tra gli ultracinquantenni, presenta valori particolarmente elevati nell’Istruzione e nella Sanità.
Visualizzando graficamente tali informazioni, la più alta incidenza tra gli occupati di maschi e ultracinquantenni si riscontra nei settori posizionati nel quadrante in alto a destra.

Le stime fin qui riportate scontano un livello di osservazione che si ferma al settore. Naturalmente all’interno di ciascun settore coesistono situazioni lavorative assai differenziate, non solo tra imprese, ove possono essere presenti processi produttivi e modalità organizzative di natura molto diversa tra loro, ma anche all’interno della singola impresa, in cui convivono figure professionali diverse, ognuna con il suo specifico livello di rischio. Idealmente, di fatto, ogni singolo lavoratore di ogni singola unità produttiva rappresenterebbe un caso a sé.
Ad oggi, il protocollo condiviso sulla sicurezza dei lavoratori approvato dalle parti sociali e recepito dai Dpcm in vigore costituisce il quadro di riferimento normativo al quale le aziende dovranno attenersi per la definizione dei loro specifici protocolli di sicurezza anti-contagio. Dall’intesa si dovranno trarre gli elementi per elaborare le proprie specifiche istruzioni e procedure relative a organizzazione del lavoro, formazione dei lavoratori, dispositivi di protezione individuale, sorveglianza sanitaria, necessarie alla ripresa delle attività. Per governare la fase due, inevitabilmente molto delicata, non si potrà dunque prescindere da una forte responsabilizzazione da parte dell’impresa, dei lavoratori e dei loro rappresentanti nella gestione della sicurezza sanitaria.
 

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