Embodying Pasolini, Tilda Swinton è carne e anima di tutto l’amore di Pier Paolo Pasolini per l’arte

PERUGIA – Partiamo da qui. Dalle bellissime foto di Marco Giugliarelli, inserite sul profilo Facebook della Galleria Nazionale dell’Umbria. E da questo post a firma del direttore, Marco Pierini, che spiega tutto quello che contengono queste immagini a livello emotivo proprio per lo spessore dell’eccezionale visitatrice invitata nei giorni scorsi alla GNU:

E se il tu fosse Tilda Swinton?
E se le nostre porte si fossero spalancate in anteprima catapultandola in una nuova realtà straordinaria?
Le nostre Cronache di Narnia…“.

L’attrice deve aver ritrovato per l’ennesima volta in quelle sale ancora da allestire della Galleria, persino sdraiate sul pavimento e quindi a un passo da lei, tutto il senso dell’arte pasoliniana. Lei è in Umbria per celebrare proprio “questo” Pier Paolo Pasolini, con uno spettacolo unico: “Embodying Pasolini“.

Si basa infatti sull’estetica, sulla profonda conoscenza e l’infinito amore che il regista, intellettuale, poeta, l’Uomo Pasolini, nutriva per l’arte e la sua storia che ha totalmente trasposti nei suoi film a partire dai costumi di scena e dalle inquadrature sovrapponibili ai capolavori del nostro Rinascimento.

C’è una mostra a Bologna illuminante in tal senso: si intitola “Folgorazioni figurative” allestita nel Sottopasso di Piazza Re Enzo, praticamente in Piazza Grande. E’ un affascinante percorso per scoprire come le grandi opere della storia dell’arte si siano innestate nel lavoro cinematografico di Pasolini, in un dialogo senza fine che proprio Tilda Swinton incarna con una eleganza naturale stupefacente nello spettacolo portato dal direttore dello Stabile dell’Umbria, Nino Marino, al Cucinelli di Solomeo.

Pier Paolo Pasolini spiega in un filmato contenuto nella mostra di Bologna, che ha iniziato a fare cinema a quarant’anni senza avere la minima competenza in materia e di essersi completamente affidato, agli inizi e anche in seguito, alla sua conoscenza della storia dell’arte.

La mostra di Bologna si apre con una foto che è un tuffo al cuore nel passato pasoliniano, ritrae l’aula universitaria in cui Pasolini ha iniziato il suo approccio con la grandezza dell’arte grazie al professore Roberto Longhi che in qualche modo ne plasmò lo sguardo e lo fece compenetrare profondamente nell’arte figurativa che ha sorretto e ispirato Pasolini regista lungo il suo percorso creativo, dall’esordio di Accattone nel 1961, all’ultimo, postumo, Salò, del 1975.

Sul palco di Solomeo quei costumi originali rivivono nella performance che vede Tilda Swinton indossare abiti cinematograficamente ormai mitici con l’invito e la sapienza di Olivier Saillard che glieli plasma addosso con rito sacrale, anche per la diafana, aliena bellezza di Tilda. L’arte esplode in tutta la sua immensa movenza, nelle pieghe di tessuti senza tempo, nei colori raffinati de “I racconti di Canterbury”, in quelli esotici de “Il fiore delle Mille e una notte”, nei disegni liberty di “Salò e le 120 giornate di Sodoma”,  fino alla paglietta nera di “Uccellacci, uccellini” di Totò che chiude il sipario su una mostra immaginaria con cartoni che si aprono e come un grande regalo di Natale ci portano alle folgorazioni artistiche di Pasolini che, al termine di ogni vestizione, Tilda Swinton  immortala come fosse un mimo in un fermo immagine che dà il senso, denso, del film.

Lentezza ed eleganza di un’arte da rivivere, da respirare lentamente, in uno spazio senza tempo  e impellenze, come fossimo in un atelier che, proprio il teatro di Cucinelli, incarna perfettamente. Più che uno spettacolo, un’esperienza. Che resta dentro.

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