Far away, singolare canto libero fra note jazz e racconti poetici di Filippo Timi e Emanuele Cisi

A Perugia si dice “ma alora c’arcaschi sempre…”. Leggi diligentemente la presentazione dello spettacolo. Esamini uno per uno i brani in pre ascolto gentilmente allegati al comunicato stampa. Prepari coscienziosamente le domande. Le numeri progressivamente dando loro una rigorosa consequenzialità. Chiami Filippo Timi convinto che il compitino è ben fatto e… lui scompagina tutto. Più che un’intervista, uno show.

Tant’è, l’occasione in premessa è quella del concerto- spettacolo “Far away” all’auditorium San Francesco al Prato di Perugia sabato 30 marzo nell’ambito della stagione Sanfra  promossa da Mea Concerti in collaborazione con l’amministrazione comunale di Perugia.
Alle ore 21 Filippo Timi salirà sul palco assieme al musicista, compositore, jazzista Emanuele Cisi. Proporranno il loro viaggio fatto di note e racconti poetati nato sul mare Tirreno a bordo di una barca a vela di quindici metri, il Raji, munita di registratori, microfoni e mixer.
Da qui la realizzazione dell’album “Far away”, uscito lo scorso mese di settembre anticipato dal videoclip del singolo “Sailing”, versione speciale del celebre brano di Christopher Cross.
Di fatto è una navigazione sulla scia della lontananza che lo spartito descrive a seconda che si tratti di “distanza fisica, di relazioni umane, di isolamento spirituale, di voglia di libertà” afferma la presentazione nel comunicato stampa.
Alla fine quello che ti viene di fare è semplicemente lasciarti andare a quello sciabordio di suoni straordinari di sax e parole di un lirismo incontinente, ironico, seducente.
Di questo e altro, stavolta con alterni risultati ma nella premessa come nostra consuetudine, abbiamo parlato con Filippo Timi.

– A chi è venuta l’idea di questo particolarissimo viaggio?
Assolutamente a Emanuele, me lo ha presentato un amico e devo dire che come primo impatto a colpirmi, al di là della sua immensa bravura di musicista, è stata la sua umanità; l’ho trovato un uomo fantastico. Poi, quando si è messo in bocca il bocchino del sax ed è partito il primo soffio…no! Ragazzi, ho visto incarnarsi il dio Eolo, il dio dei venti e a un certo punto mi è apparso un oceano di suoni, mi sono sentito spettinato dentro e mi sono detto: che è successo?
A quel punto gli ho chiesto di mandami le sue scorregge.
– Come?
Sì, nel senso che ti trascina il suo semplice soffio sul sax, il suo suono, la sua voce.
Perché in questo lavoro a parlare sono le voci, e se devo personalmente pensare a un complimento da ricevere, vorrei che qualcuno mi dicesse che mi avvicino al canto, anche se recito.

– Come si è concretizzato Far away?
Gli ho semplicemente imposto una regola: scrivo quello che cazzo voglio.
– In effetti si sente…
E’ così, perché se anche il brano può suggerire, che ne so, l’immagine di una coccinella, io ci vedo una zecca, tristemente brutta, cieca, sorda, muta. Lei sta aggrappata a un filo di esistenza d’erba e ha una sola chance: buttarsi alla cieca nel vuoto e sperare di aggrapparsi a un polpaccio per morderlo. Questa è la storia sentimentale della mia vita.
– Emanuele Cisi, suppongo, non ha opposto alcuna resistenza.
Mi ha dato carta bianca.
– In effetti è proprio così, ho sentito i brani in pre ascolto…
No, non hai capito niente.
– In che senso non ho capito?
Non hai idea di cosa sarà questo concerto, cosa accadrà sul palcoscenico.
E’ un’altra cosa. E’ come vedere Rocco Siffredi in un film porno o dal vivo.
– Ci sarà spazio anche per il donca, per un po’ di dialetto perugino?
Qualche frase che gli assomiglia, ma per il resto si deve ballare in coppia sul palco: non è che uno fa il casquè e l’altro continua a ballare il rock ‘n’ roll. Di fatto presentiamo delle track-trance.
Bisogna trovare un punto d’accordo.
– A proposito di viaggio in mare e approdi, che effetto fa da perugino poter entrare finalmente al San Francesco al Prato?
Da ragazzi quando lo vedevamo da fuori sembrava un rudere, pareva non poterci fare niente.
Ora è come avessimo finalmente ricevuto un premio. Probabilmente non lo avremmo apprezzato così tanto se non fosse trascorso tutto questo tempo da quando sbirciavamo da quelle porte. Mi fa venire in mente quando, a 22 anni, ho visto il film Andrej Rublev di Andrej Tarkovskij.
C’è una scena in cui i cavalli entrano in una chiesa, proprio nel bel mezzo della navata centrale.
Per me era San Francesco al Prato.
– Già che ci siamo: che resta dell’essere perugino?
Quando non sono a Perugia mi sento super perugino. Ricordarmi il ceppo da dove arrivo è molto importante perché, adesso, mi dà forza; adesso che ho avuto la forza di uscire dal quel luogo. Adesso che ho capito che quel luogo sono io. Quindi quando torno mi sento un pochino straniero, non do per scontate quelle cose che sembravano naturali quando ci abitavo.
Sono straniero e quindi godo di quelle vie alle quali prima neanche facevo caso. Adesso che torno sono più gentile con Perugia.
– E quando torni ti senti più amato o stimato, o comunque quale sentimenti vorresti che la città avesse nei tuoi confronti?
E che cazzo ne so! Francamente non lo so, sono entrambe cose gratificanti. Belle.
La stima da una parte mi piacerebbe di più perché affetto vuol dire che si perdona anche se quella cosa magari non è riuscita come dovrebbe. Del resto va anche detto che non siamo tutti Michael Jordan. Io ci provo, giuro, ci provo a “zompà ‘n alto e a schiaccià”, ma niente. E allora alcune volte è doloroso. Poi mi dico: ricordarti che non sei Michael Jordan ma ci hai provato. Quindi, magari, con l’affetto arrivi a capirlo meglio. In quell’altro caso mi puoi stimare anche per delle cose che per me sono meno fondamentali. La mia mamma alcune volte arriva a casa mia e apprezza l’ordine ma magari non ce la fa a godere dell’armonia di quest’ordine, e quello mi spiace perché è una gioia che non riusciamo a condividere insieme.
Che dire, Far away ha portato questa intervista a molti approdi: personalmente, una gradevolissima mezza odissea.

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