TODI – Con Francesca Pascale e l’interpretazione di Elena Croce nei panni di Maria José, l’ultima Regina d’Italia, si delinea con forza il filo conduttore della progettualità del festival di Silvano Spada. Il femminile, il nuovo femminile e le relazioni individuali e sociali contemporanee che emergono sono sotto i riflettori di un festival fortemente proiettato verso l’aspetto di un’antropologia che sta cambiando, vero specchio di un ponte tra passato e presente, proiettato verso il futuro. Uno spaccato che offre molti spunti di riflessione sulla condizione e sull’evoluzione della donna come animale sociale.
Nell’intenso monologo storico-teatrale di Elena Croce scritto e diretto da Silvano Spada, la figura controversa e fascinosa di Maria José – Maria Giuseppina di Savoia – prende vita sul palco grazie all’analisi che ne offre Elena Croce, attrice di lunghissimo corso nel teatro italiano, abituata a lavorare con registi della levatura di Strehler, Ronconi, Pressburger e Patroni Griffi.
La regina, sposa dell’ultimo re d’Italia, percorre con Elena Croce un viaggio tra romanità anticonformista (fuggiva dal Quirinale, frequentava trattorie, si sedeva sui gradini delle chiese), politica (contatti con Mussolini, Hitler, ma anche l’impegno nella Resistenza) e tensioni intime (un matrimonio infelice, la sua ombra nell’esilio e il desiderio di riposo accanto al marito).
Lo spettacolo sottolinea il carattere “irrequieto, anticonformista, fuori dagli schemi” della regina consorte, restituito con pathos ed energia scenica da Croce.
Prima dello spettacolo su Maria José si è svolto l’incontro con Francesca Pascale che ha insistito sull’idea liberale del rispetto dell’individuo e delle sue scelte anche per quel che riguarda l’orientamento sessuale. Un rispetto che purtroppo l’ideologia nel riferimento al centrodestra e alle sue esperienze in Forza Italia riduce al nulla. Un grave errore secondo Pascale che rievoca anche i tempi della sua relazione aperta con Silvio Berlusconi. Ne scaturisce il ritratto di una donna fuori dagli schemi e dai diktat dei partiti, pur confermando la sua adesione a Forza Italia, partito per il quale auspica un profondo rinnovamento. L’atmosfera che si respirava al Festival Point era quella di una partecipazione sentita, carica di attesa e rispetto per una voce sia simbolica sia concreta, in dialogo con un pubblico attento e attivo. Pascale anticipata da una performance improvvisata di Mariano Apicella, cantante preferito da Berlusconi, ha saputo conferire all’incontro una dimensione significativa, parlando con passione di tema di attualità, cultura e impegno civile.
I due incontri, quello con l’aspetto sociale e quello teatrale sembrano parte di una tessitura creata da Silvano Spada. C’è un filo che attraversa l’edizione 2025 del Todi Festival, sottile ma resistente, invisibile eppure onnipresente: è il filo del femminile. Non come categoria separata, non come tema “di moda”, ma come dimensione vitale che dà forma alla memoria, alla bellezza, alla resistenza, al dolore e alla speranza.
Silvano Spada, il fondatore del Festival, torna a guidarlo dopo molti anni e lo fa scegliendo una rotta precisa: non un ritorno nostalgico al passato, ma un nuovo inizio. Il femminile diventa allora la bussola, l’orizzonte, la chiave di lettura attraverso cui guardare al presente.
La città di Todi, antica e raccolta, si trasforma per nove giorni in un teatro diffuso. Le sue piazze, i palazzi, le chiese diventano palcoscenici dove a parlare sono soprattutto le donne – reali, immaginate, storiche, mitiche. Ecco Alda Merini, con la sua poesia feroce, che restituisce voce al dolore e alla follia trasformandoli in canto. Ecco Antigone, ribelle senza tempo, che rifiuta l’obbedienza per affermare un’altra idea di giustizia. E ancora Jackie Kennedy, icona fragile e potentissima, figura che racconta l’America e insieme la solitudine femminile dietro i riflettori del potere.
Accanto a loro, Émilie du Châtelet, scienziata del Settecento che seppe sfidare i confini imposti alla conoscenza dalle gerarchie maschili, o Francesca Cabrini, donna di fede e di migrazioni, santa capace di trasformare l’esperienza dell’esilio in missione.
Sono ritratti diversissimi, ma legati da un elemento comune: il coraggio di esserci. L’evoluzione del femminile, così come la immagina Spada, non è solo cronaca o biografia. È paesaggio interiore, un luogo dove si riflettono tensioni, contraddizioni, desideri collettivi. Ogni spettacolo diventa un tassello di un mosaico più grande: da un lato la memoria storica, dall’altro la risonanza emotiva. Si passa dalla dolcezza spezzata di una poesia alla ferocia di un mito antico, dalla tenerezza di una madre migrante alla freddezza dei palazzi del potere. In questo intreccio, il femminile appare come una lente capace di rivelare il presente con più forza di qualsiasi cronaca.
Non è un caso che tutto questo accada a Todi. Le pietre medievali, i vicoli stretti, la luce che al tramonto si fa dorata: l’intera città sembra farsi corpo scenico, quasi incarnasse essa stessa un femminile arcaico e accogliente. Il Festival non occupa semplicemente gli spazi, ma li trasforma. Una piazza diventa agorà, un palazzo diventa luogo di intimità, una chiesa si apre come ventre sacro. È come se la città stessa respirasse con i personaggi e gli spettatori, coinvolta in un rito collettivo.
Scegliere il femminile come filo conduttore significa anche prendere posizione. In un’epoca in cui i diritti, le libertà e le rappresentazioni delle donne sono ancora oggetto di dibattito, il Todi Festival sceglie di non restare neutrale. Non si limita a celebrare figure esemplari, ma interroga le ombre, le ferite, le ambiguità. Il femminile non è dunque un tema estetico, ma un atto politico e poetico insieme. È la possibilità di raccontare un mondo che cambia e, nello stesso tempo, di chiedersi quale posto vi occupano le donne, le loro voci, i loro corpi, le loro storie.
Silvano Spada parla di “nuovo inizio”, non di ritorno. È una distinzione sottile ma decisiva. Il passato del Festival, glorioso e coraggioso, non viene riproposto come reliquia. Viene piuttosto trasfigurato in una nuova stagione in cui l’arte non è evasione, ma specchio e interrogativo.
Il Todi Festival 2025, con i suoi oltre cinquanta eventi, appare come un grande affresco corale in cui il femminile non è una parentesi, ma l’ossatura stessa della narrazione. Un festival che guarda al futuro, ma lo fa con la consapevolezza che il futuro non può esistere senza le voci di chi, troppo a lungo, è rimasto ai margini. Alla fine di questa edizione, forse non ci sarà una risposta definitiva. Ma resterà una domanda, semplice e radicale, che lo spettatore porterà con sé tornando a casa: Cosa significa oggi, per ciascuno di noi, accogliere l’evoluzione del femminile? Ed è in quella domanda, più che in qualsiasi spettacolo, che risiede la forza di un Festival capace di farsi rito collettivo, riflessione, e – come direbbe Spada – nuovo inizio.