Gli straordinari quarant'anni di Pac Man

C’è una stretta relazione tra il mondo dell’immagine e della creatività legata alla realizzazione di fumetti in Giappone e la nascita delle prime arcade negli anni Ottanta. Se il mondo delle immagini nel Paese del Sol Levante ha sempre rappresentato un codice di comunicazione con apici artistici di rilievo, in Occidente l’immagine è stata regno indiscusso dei temi a sfondo religioso con poche eccezioni. L’immaginazione, e con essa l’arte di raffigurare la realtà, in un processo iniziale di mimesi, a cominciare dall’VIII secolo con l’arte manga, mano a mano si sdoganò anche dai tabù sessuali sino ad arrivare al dopoguerra, quando i manga assurgono al ruolo di arte popolare, forse la forma più alta della codificazione di propri stilemi con cui vengono affrontati anche i temi del sesso, dell’erotismo e dell’omosessualità spesso anche in senso psicologico e introspettivo. E’ in questo quadro che l’arte dei manga e delle anime giapponesi compie il salto dall’analogico al digitale e allo stesso tempo dissacra ogni residuale aura tradizionale, per approdare all’arcade (videogame a tema).
Erano gli anni Ottanta e il pianeta cominciava a ridurre le distanze tra un paese e l’altro, il villaggio globale forniva tutti gli elementi per avvicinare e assimilare le affinità e le differenze tra cultura e cultura. Così apparve dal nulla, ma in realtà frutto di un progressivo processo di elaborazione, nel 1980, 40 anni fa, la creazione di Tori Iwatani che da una smisurata passione per i flipper, trasse spunto per creare il Pac Man che voleva approcciare un target diverso rispetto a quello che popolava le sale giochi, sino ad allora locali fumosi e lontani da una familiarità di massa. Il giovane designer autodidatta presso Namco, voleva creare qualcosa che anche ragazzini, donne e coppie avrebbero avuto il piacere di giocare. Prese a riferimento l’idea del mangiare, attività basica e condivisa da tutti, e ci costruì sopra la storia di una pizza – da qui le liaison con l’Italia e in seguito con il mondo anglofono – con una fetta in meno, creando il prototipo della pizza che mangiando puntini e fantasmi, passa di livello in livello sempre più complesso in cui le difficoltà aumentano gradualmente.
I giapponesi utilizzano il termine pakupaku per descrivere il movimento compiuto dalla bocca quando si mangia, da cui deriva il nome Puckman, che per evitare spiacevoli reintepretazioni in inglese fu tradotto come Pac Man al di fuori del Giappone. Fu un grande successo che decretò anche la nascita di un fenomeno legato alla cultura di massa, un nuovo medium che pose le basi di un’evoluzione dell’arcade sino ai nostri giorni e alla sofisticatezza delle play station con giochi basati su immagini sempre più realistiche e gestite per lo più dalle piattaforme streaming degli Ott (over the top). Qualche anno più tardi, sempre dal Giappone, si impose il videogioco Super Mario, in cui la figura dell’eroe-principe è interpretata, dissacrando la narrativa sino ad allora dominante e legata al mondo delle fiabe, da un operaio, un carpentiere paffutello e dotato da possenti baffi, capace di superare qualsiasi ostacolo. Anche in questo caso l’ideatore Shigeru Miyamoto prese a riferimento l’Italia per creare il suo eroe da videogame. Ma quella di Super Mario è già un’altra storia rispetto al Pac Man, anche se raggiunse la ragguardevole cifra di quaranta milioni di copie vendute in tutto il mondo. Tornando a Pac Man da dove tutto partì sino diventare fenomeno di massa che oltre al successo dell’arcade, creò anche un ricchissimo indotto di merchandising con magliette, tazze, oggettistica di ogni tipo che formarono un vero e proprio mercato, la pizza mangiatutto divorò ogni tipo di ostacolo verso il successo. La pizza, insieme ai puntini a cui si aggiungono degli “avversari” – i fantasmi Blinky, Pinky, Inky e Clyde – dotati anch’essi di una personalità e associati immediatamente all’immagine del brand, furono per anni presi a riferimento da un pubblico sempre più vasto come icone della cultura pop. Pac-Man inoltre ha bucato il video diventando prima una serie tv,   quindi un film “Pixels” del 2015 diretto da Chris Columbus. Ma a dare un’idea complessiva di quanto importante sia stato il ruolo di Pac-Man nella storia dei videogiochi, come abbiamo scritto per Gruppo Corriere, c’è da sottolineare che nel 2012 il Museum of Modern Art (Moma) di New York, lo ha scelto per inserirlo nella sua collezione permanente di Architettura e Design. Pac Man è ormai un simbolo, un’icona della postmodernità che connota anche il passaggio tra l’analogico e il digitale. Per questo è importante non dimenticare di fare gli auguri ai suoi primi 40 anni. 
 
 

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