Quando l’autunno si fa strada, ai primi freddi, già si comincia a sentire il Natale.
Telefonate tra parenti lontani: chi cucina quest’anno? Chi è disposto a imbandire la tavola? Ma qualsiasi sia la decisione, sono sempre io a portare i cappelletti.
I cappelletti sono una Madeleine per molte persone dell’Italia del centro, ogni famiglia che si rispetti ha la sua ricetta che viene da mamma, nonna, bisnonna e andando su con le generazioni fino alla notte dei tempi.
Nella mia casa natale, il lavoro intorno alla tavola della cucina, quando si trattava di cappelletti, era preso con molta serietà ma allo stesso tempo, con l’ironia tipica che accompagna tante persone insieme con le mani ‘in pasta’ e pronte a creare un pasto importante.
Io amo la tradizione, quindi continuo, anche a casa mia, a preparare il pranzo di Natale nella maniera classica.
Al momento di fare i cappelletti, quando il tavolo è pieno di farina, il ripieno pronto per essere pizzicato da chi non può fare a meno di assaggiarlo e la pasta è sotto al mattarello, allora la festa è dietro l’angolo. C’è chi tira la pasta, chi, con la forma, prepara i tondini e chi mette in ognuno una piccola pallina di ripieno. Ma io, soltanto io li chiudo, uno per uno,  per poi stenderli sopra una bella tovaglia di lino bianco tutti in fila per poterli poi contare.
Ah che meraviglia vederli sulla tavola come tanti soldatini di piombo, pronti ad affrontare il fuoco del brodo, e  poi assaporarli, in famiglia e in silenzio perché a parlare è soltanto la Madeleine.
Auguri
A domani

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