PERUGIA – Il battito pulsante di Napoli e una vita dedicata alla musica. Questo è ‘I colori della musica’, il concerto di Tullio De Piscopo, questa sera alle ore 21.30 in piazza Agorà a Ferentillo, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anfiteatro cittadino. Il concerto, organizzato da Visioninmusica con la direzione artistica di Silvia Alunni, sarà a ingresso gratuito, con prenotazione obbligatoria tramite la piattaforma Eventbrite. Ne parliamo con lo stesso Tullio De Piscopo
I Colori della musica dal titolo del nuovo tour credo che non possano che partire da Napoli.
Da Napoli, ma anche dalla vita, dall’esperienza, dal vissuto: il blue del Blues, il rosso del Tango che ho eseguito con la batteria nel tango di Astor Piazzolla che nel tango non c’era mai stata la batteria. Si usava una percussione, tipo un guiro, un triangolo, un timpano, un tamburo, ma mai la batteria completa che è nata con il mio groove di Libertango.
Anche se il New Tango di Astor Piazzolla è musica ritmica per eccellenza…
Certamente, l’abbiamo inventata insieme e dopo quel Libertango si sono susseguiti altri dieci ellepì con il grande Maestro argentino.
Poi il verde, il verde della speranza: la speranza di quando partivo minorenne da Napoli verso Il Nord incontro alla musica… Eccolo il mio arcobaleno di tutti i colori della musica, passando per il magico fratello in blues Pino Daniele che io omaggio tutte le sere con degli accenni ritmici e musicali. Poi c’è Toledo, il grande brano strumentale che faceva parte dell’ellepì “Bella ‘mbriana”
Pino, il fratello, come lei lo ha definito.
Sì, Pino, nostro fratello in blues: tante storie assieme, tante cose belle. Facevamo insieme la storia, ma noi non sapevamo che stavamo scrivendo la storia.
Tullio De Piscopo è anche riconosciuto come uno dei padri del rap italiano, ne va orgoglioso?
Molto, perché io da bambino non stavo in casa perché non c’era neanche il posto, stavo sempre in giro e “rappeggiavo” tutto quello che i miei occhi vedevano nel quartiere di Porta Capuana: don Pasquale l’olivendolo; Mariolino o’ barrista; Rocco o’ cantaliere; gli avventori che andavano nella cantina a mangiare noccioline e scolare bottiglie di vino sfuso. Quindi io rappeggiavo tutto. Non era una novità quando arrivò l’ondata rap. Poi avevo fatto “Mbriachete tu” nel lontano 77. Poi è venuta questa magìa con Pino, “Stop Bajon”, che ancora oggi è in classifica nel mondo. L’anno scorso ho remixato l’ellepì per i 40 anni di Stop Bajon: ho fatto assieme alla Cimba Records un’edizione Gold e una versione “Picture disc” con la foto sul vinile dedicato a Stop Bajon.
Oltre 60 anni di batteria, che effetto fa?
Ogni tanto ci penso e mi dico: ma come ho fatto a inserirmi nel giro internazionale? Io ho collaborato a 3800 registrazioni, vuol dire che non ho mai dormito, non ho mai fatto vacanze. E difatti ho nel mio passato partnership con Quincy Jones, John Lewis, Jerry Mulligan, Barry White, l’esperienza bellissima con Franco Battiato dell’Era del cinghiale bianco, Fabrizio De André con le sue magie nel ritorno dell’ellepì “Rimini”, Pino Daniele con tutte le storie che abbiamo creato. Ci penso, ma la cosa forte è che sono sempre stato controcorrente per avere sempre la mia personalità.
Lei ha avuto partnership con mezzo mondo, si può dire. Un aneddoto che le è rimasto nella memoria?
Avevo una 500, dovevo andare a registrare dove poi ho registrato con Astor Piazzolla i dieci ellepì di Libertango, alla Mondial Sound di Milano che aveva l’ingresso in un cortile enorme in via Forcella. Ero un po’ in ritardo con questa 500 e avevo la batteria e i piatti dentro l’auto. Non trovavo posto. Il montacarichi era enorme e decisi di salire al piano con il montacarichi con la 500. Ho scaricato la batteria e sono risceso perché mi volevano arrestare.
Lei viene in Umbria, dove ormai è un habitué…
Vengo in Umbria sin dalla prima edizione di Umbria Jazz, nel 1973.
Cosa pensa dei silenzi umbri da napoletano Doc che viene da un mondo di suoni.
E’ chiaro che all’inizio ti affascina, ma essendo un musicista che ha trovato la sua personalità attraverso le sue origini, i rumori, i rumori della mia città, il vociferare dei vicoli di Porta Capuana, ma soprattutto, come suonano il clacson lì – aggiunge ridendo – in nessuna altra parte del mondo. Quindi all’inizio ti piace, ma poi hai bisogno di nuovo di quella cosa là.
Il richiamo delle radici?
Sì, scatta la nostalgia, l’appocundria, come direbbe Pino.
Possiamo concludere che questo viaggio musicale tra generi ed emozioni è un po’ la summa della sua vita…
Della mia vita, della mia storia anche perché io racconto aneddoti, cose vissute. Il mio è un racconto al di là di quanto accade oggi in un concerto dove suonano, suonano, suonano e non parlano mai: io, invece, racconto certe storie, i fatti, tutte le esperienze, ma è un concerto fatto amore per una passione fortissima che è la musica, la batteria. A me chiamavano la pecora nera della famiglia, non sapevo fare niente e io invece volevo dimostrare che avevo un codice, anzi avevamo un codice io e Pino, nella testa: il codice della musica. Io da bambino pensavo che dovevo fare qualcosa, non dovevo essere un numero, non volevo studiare ragioneria e studiare le poesie dei grandi poeti. Non mi interessava, quel tempo lo volevo perdere sulla musica e diventai un grande lettore di partiture a prima vista. E’ stata quella la vittoria. Ho rinunciato ad andare a scuola, ma ho dimostrato di avere una mia personalità.