Il pane, le donne, il forno: usi e costumi delle comunità dei piccoli centri dell’Abbadia

FERENTILLOIl pane è stato sempre il mezzo di sostentamento considerato ‘sacro’ dall’uomo. Fin dall’antichità. Con lo scorrere del tempo e il progresso della tecnica si sono create delle vere e proprie catene di produzione e distribuzione ma rimane il fatto che un  buon prodotto deriva dalla bianca farina e dal profumato del  lievito. E il forno, naturalmente. Fino a qualche anno fa creava anche nei nostri piccoli centri un momento di aggregazione e socializzazione soprattutto per le donne che, con le ceste in equilibrio in testa, lo depositavano con cura nelle madie in dispensa. Il forno era il luogo per parlare, spettegolare, scoprire vizi e virtù della gente del rione o del paese.

Matterella, pani benedetti per la Madonna della Pietà a settembre

Andiamo a riscoprire l’essenza de “Lu Furnu”. A Matterella fino a qualche anno fa c’era Il forno di Fulvia Grifoni che quando l’accendeva per cuocere il pane invitava le amiche e i vicini a usufruirne per cuocere arrosti di polli, piccioni, anatre, oppure  le crostate, ciambelloni; per il periodo pasquale le tradizionali pizze dolci e di formaggio. Oppure sotto Natale pampepati e tortelli. Il profumo che proveniva dal forno di Fulvia  invadeva vicolo del Municipio, via  della Vittoria; accendeva dentro una voglia matta di un’incursione nel forno e assaporare quelle prelibatezze genuine e caserecce. Fulvia, astuta come una volpe e attenta come un carabiniere, chiudeva a sette mandate la porta del forno e quindi…

Ogni rione aveva il suo forno. A Precetto il forno di Ezio Argenti una persona squisita, onesta e laboriosa. Per lui la produzione dei filoni di pane era un’arte. Dapprima il suo laboratorio era gestito insieme alla moglie Egle. Si trovava all’imbocco di via Mazzini. In molti ricordano la gustosa pizza al pomodoro e mozzarella che preparavano con cura e confezionano a mano: ogni pezzo uguale, preciso, dentro la carta come quella degli stessi sacchi di farina. Erano gli anni Settanta, era veramente una novità e preziosità quella pizza per i ragazzi che frequentavano la scuola media al palazzo del principe di Montholon poco distante! Poi con il tempo il forno di Ezio si trasferì in altra sede, sempre a Precetto, supportato dalle indimenticabili Mimma ed Egle.

La produzione si ampliò con il figlio Paolo e, ancora oggi, è una vera e propria attività su largo raggio con grande successo di prodotti dolciari supportati da ricette tradizionali per ogni ricorrenza e festività, ricavate da studi e ricerche dell’arte culinaria sul territorio a cura dei figli Alessia e Federico.

Torniamo al forno inteso in senso generale: fondamentale la sua utilità nel corso dei secoli per le comunità rurali. Era, come detto, un servizio destinato a soddisfare le esigenze della popolazione. Ogni piccolo centro ne aveva uno, aveva probabilmente una gestione e una attività autonoma sempre legata però alla governance comunale.

Ad esempio, nello Status Ferentillj del XVI secolo, la panificazione spettava al Comune che ne prevedeva la quantità, regolamentata da ufficiali, la gestione, l’igiene, la cottura e persino la forma delle “pagnotte’. Solo nel XIX secolo i forni furono lasciati al libero uso delle comunità, anche se restarono di proprietà del Comune che ne curava la manutenzione. Ad esempio il forno di Gabbio sopperiva alle necessità degli abitanti del paese e dei “casali” vicini, in relazione ai magazzini di grano che erano controllati direttamente dal Comune. A differenza dei forni dei conventi di Santo Manno a Mura e Ampognano, Santa Croce, Santa Illuminata a Precetto, in cui vigeva autonomia essendo dediti al sostegno dei mendicanti, malati, poveri e viandanti. I forni hanno anche conosciuto momenti storici difficili, ad esempio nel 1643 quelli di Gabbio, Terria, Castelleone,  Ancaiano furono assaltati dalla popolazione affamata durante un periodo di pestilenza e carestia.

Ciò che e stato trasformato dalla tecnologia è solo nei modi, non nella sostanza. Andiamo a vedere. Il buon fornaio, la sera, metteva l’impasto con il lievito in un grosso cassettone di legno (madia), ricopriva di farina e segnava con il dito indice una croce. La stanza veniva portata ad una temperatura calda. Al mattino, alle prime luci dell’alba, iniziava la preparazione dei filoni e si ponevano sulle tavole, coperti da teli di stoffa. Quando i filoni si cominciavano a gonfiare (lievitare) si accendeva il forno che arrivava lentamente a temperatura dopo circa un’ ora. Le fascine da ardere  erano per lo più di lecinetto forte e duro. Poi si ripuliva il forno da carbone e cenere e si mettevano finalmente i filoni ben allineati. Si richiudeva lo sportello della bocca del forno. I filoni cotti si ritraevano con la caratteristica pala in legno e si riponevano nelle ceste di vimini. Il pane poi si portava in casa e in media doveva mantenersi per una settimana e qualche giorno in più.

Il pane è stato sempre il massimo del  nutrimento per l’uomo. Con esso un tempo si preparavano piatti assai caratteristici, oggi riscoperti e diventati motivo di sagre paesane. A Terria è famoso “il pancotto” o “lu pancottu”, (pane bollito in  acqua salata con odore di aglio e foglie di alloro); Loreno: l’acqua cotta (erano fette di pane nel piatto coperte di acqua bollita con sale, mentuccia, e altre erbe aromatiche). Ovunque la bruschetta: una delle prelibatezze della tavola soprattutto umbra, con pane abbrustolito sopra carboni ardenti, olio di frantoio e sale. Infine la panzanella: pane bagnato e condito con olio, sale, aceto con pezzetti di sedano, finocchi, cipolle e in alcuni periodi anche ravanelli.

A Macenano un detto considerava un peccato disperdere il pane o mettere il filone sotto sopra. Si aveva in grande considerazione la preziosità: se un pezzo di pane cadeva a terra, si raccoglieva e si baciava, perché era dono di Dio.

In ogni luogo, come usanza, si distribuiva il pane per la  festa di Sant’Antonio. Pane che si lasciava poi indurire per farlo mangiare agli animali quando erano malati. Per la ricorrenza della Madonna della Pietà si confezionano le pagnottine elaborate dalle fanciulle illibate di Matterella.

Come detto, ogni frazione aveva di forni in ogni masseria, vista casa colonica. A Monterivoso c’era il forno dei Paletti, a Terria dei Rosati, a San Mamiliano dei Massarini, e così a Loreno, Nicciano. Pure a Umbriano il forno era attivissimo come quello della famiglia Massimi, situato nell’atrio della casa che aveva un grande focolare. Al pane si dava grande rilievo a Leonessa: ancora oggi lo si può costatare in occasione della rievocazione storica del Palio del Velluto. Uno dei giochi che si rievoca (foto di copertina)è la corsa del pane tra i Sesti. Protagoniste le donne con la tavola in capo con otto chili di filoni.

Filomena e il suo pane

Vince chi riesce a percorrere e superare, con meno tempo, un tragitto tortuoso e mantenere integro tutto il pane posto su una tavola in testa.

Tradizioni buone. E belle da vivere.

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