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Intervista a Valeria Solarino stasera al Mengoni con il monologo “Gerico Innocenza Rosa”

MAGIONE – Stasera, 15 novembre, inserita nel cartellone della stagione teatrale del Mengoni di Magione allestita dal Teatro Stabile dell’Umbria, c’è la messinscena “Gerico Innocenza Rosa”, monologo che vede protagonista Valeria Solarino, testo scritto e diretto dall’attrice, drammaturga e regista Luana Rondinelli.

Il tema centrale è quello dell’entità in cerca di identità. In cui il sesso da rivendicare assume le forme di un percorso coinvolgente di transizione, trasformazione, consapevolezza di sé, rivendicazione del proprio sentire amore.
Una bella occasione per parlare con Valeria Solarino di questo spettacolo e di altro ancora come è nostro solito fare.

E’ più difficile accettarsi o essere accettati? 

“Il primo passo, forse il più difficile, è accettarsi togliere di dosso il giudizio che gli altri ci danno per consentirci una ricerca più libera. Questo spettacolo parla di identità di genere ma è soprattutto un testo sull’identità in senso assoluto”.

Per Vincenzo, protagonista delle piece, la guida positiva in questo percorso è la nonna. Una generazione che nella realtà non è poi così predisposta ad accettare il suo percorso.

“La nonna ama Vincenzo a prescindere. Intuisce subito che la sua identità non è quella maschile ma femminile”.

Però è sorprendente: si sarebbe portati a pensare che il tramite più naturale possa essere la madre. 

“La mamma si sente vittima. C’è un momento nel monologo in cui lei fa notare a Vincenzo di sentirsi osservata e giudicata quando passeggia con lui. La nonna è una entità bambina che sa relazionarsi nella piena libertà del dialogo tra bambini, tra essere puri”.

La difficoltà più grande dal punto di vista attoriale che ha incontrato nell’affrontare il testo?

“Nel momento in cui Luana Rondinelli me lo ha proposto non pensavo che a un monolgo”.

Lei, Solarino, come ha reagito?

“La cosa mi ha terrorizzata ma la vicenda non poteva che essere rappresentata in questa forma, è un racconto che scorre come un flusso di coscienza”.

Alla fine…ha detto sì.

“Interpreto tanti personaggi e c’è un gioco di luci e musiche che li introducono: a un certo punto intravedo un corridoio dove ci sono dei giocattoli. Li vedo fisicamente e questo non mi fa sentire sola”.

Recitandolo, interpretandolo, condividendolo, a questo punto non è che si sente che il testo ha scelto lei piuttosto che il contrario?

“Ho incontrato e visto i lavori di Luana Rondinelli in circostanze precedenti e sono stata io a chiederle se si sentiva di scrivere cose che fossero adatte a me. Ponendo una sola richiesta: metterci dentro qualcosa di siciliano viste le mie origini. Per il resto carta bianca. Tantomeno ho indicato la tematica. Ora, devo dire, che questo testo mi è entrato dentro, sento la bellezza e l’importanza del ribadire e del rivendicare l’identità propria come un diritto”.

L’Italia a che punto è riguardo la consapevolezza e la tutela reale nel consentire a ciascuno di vivere la propria identità?

“Partiamo dal presupposto che i diritti conquistati vanno difesi, preservati. Invece sento che sono messi in bilico. C’è sempre maggiore consapevolezza, certamente, di ciò che è prerogativa della donna, meno per quello che riguarda chi non è canonicamente e sessualmente connotabile per la nostra società”.

Dunque il gay pride ha un suo perché…

“E’ una delle manifestazioni più belle e divertenti che io conosca”.

C’è una frase che dice Vincenzo che le piace particolarmente recitare?

“Quando la nonna ferma i capelli di Vincenzo con un fermaglio rosa per farlo mangiare senza che il ciuffo vada sul piatto. Lui le dice: nonna è rosa ma io sono maschio. La nonna risponde: no, tu sei mio nipote”.

Una reazione del pubblico che l’ha gratificata alla fine di questo spettacolo?

“La sensazione della condivisione”.

Nostro tormentone finale. Lei ha fatto e sta facendo tv, cinema e teatro. Una definizione, un aggettivo per ciascuna di queste sue modalità espressive per sapere come le vive.

Per lei la tv è?

“Un’opportunità. Uno dei canali in cui ti puoi raccontare. Ora sono su una piattaforma per la serie su Bosè. Sei puntate. In un film sarebbe impossibile”.

Il cinema?

“Un’opportunità anche questa per raccontare con un linguaggio diverso”.

Il teatro?

“Emotività. L’inizio. Il mio primo amore. Non pensavo di recitare altrove.
E poi mi chiamo Valeria per volontà di mia madre in omaggio alla Moriconi”.

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